Il Piano direttore comunale intende rendere accessibili al pubblico i corsi d’acqua e inserire più verde nelle zone densamente urbanizzate della piana
«Il paesaggio è un contenitore di sogni, di miti(...), è una componente assolutamente imprescindibile per riprogettare il mondo nel quale viviamo». Il geografo Claudio Ferrata, stasera al Lac, nella seconda serata pubblica del ciclo di conferenze "Una visione per Lugano" dedicate ai temi del Piano direttore comunale (Pd), ha citato la definizione del geografo genovese Massimo Quaini, illustrando alcune coordinate per comprendere la forza e l’identità del paesaggio luganese. Una seconda serata che ha condotto i partecipanti in una città che, nella prospettiva del Team dello studio di Paola Viganò, mette al centro la natura e il paesaggio con i quali Lugano vuole saldare un nuovo legame. Un nuovo legame necessario dopo le tre fasi aggregative (2004, 2008 e 2013) che hanno ampliato il territorio divenuto estremamente diversificato, dal lago agli oltre duemila metri del Camoghé. La prima serata pubblica è stata invece dedicata alle costellazioni.
Ferrata ha raccontato com’è cambiata l’immagine della città e il suo spazio urbano: dopo la Seconda guerra mondiale e il boom economico, il rapporto con il lago, quale elemento estetico, ha passato il testimone ai valori della crescita economica e finanziaria, privando l’agglomerato e tutti i suoi residenti di alcuni luoghi identitari, suscitando un senso di smarrimento. In altre parole, il paesaggio è stato trasformato, nel bene e nel male e reinventato, non senza contraddizioni. Secondo il geografo, l’elaborazione del Pd dimostra che c’è la consapevolezza del cambiamento in atto e della rapida trasformazione in una città della cultura e della conoscenza: questo rappresenta una grande opportunità, per la comunità, di fare del paesaggio in cui vive una risorsa, di curarlo e quindi di farlo crescere come patrimonio. Sì, perché, ha spiegato Ferrata, il progetto del Pd consente una coevoluzione tra gli insediamenti e l’ambiente e, solo con la coscienza del luogo in cui si vive, si forma l’identità. Un’identità che nella nuova Lugano pare smarrita, perciò, c’è bisogno di riappropriarsi del proprio territorio.
L’architetta Paola Viganò, capofila del team incaricato del mandato all’elaborazione del Pd, una ‘prima’ ticinese, ha delineato le proposte sulla tematica dell’ipotesi di lavoro. Viganò ha parlato della transizione in un contesto nel quale il verde occupa la maggior parte del territorio, ma nella piana densamente urbanizzata è scarso e senza un vero rapporto con gli insediamenti. Una transizione nella quale non c’è distinzione tra il costruito e il non costruito: «Vogliamo connettere con la città le lingue di bosco e i corsi d’acqua che confluiscono nel Cassarate, in modo di creare un sistema di aree verdi aperte al pubblico, e di relazioni di interdipendenza fra i paesaggi», ha detto Viganò. In altre parole, l’idea è quella di consentire al Parco del Camoghé di scendere fino in città. La lettura del territorio consiste in una struttura urbana allungata (di oltre 20 chilometri) che segue il corso del fiume Cassarate e arriva fino alla foce del riale Scairolo. L’architetta paesaggista Sophie Agata Ambroise, che fa parte dei Team Viganò, ha insistito sulla fruibilità degli ambienti. Un esempio calzante e appropriato è la foce del Cassarate, la cui rinaturazione è particolarmente apprezzata dalla popolazione e dai turisti. Occorre riaprire all’accessibilità pubblica anche gli spazi intermedi, i corsi d’acqua, i terrazzamenti, creando la transizione tra il bosco e la città densamente urbanizzata. L’intervento di Stefan Rotzler, architetto paesaggista e membro della giuria di esperti del concorso, ha sottolineato l’importanza della lettura del fiume Cassarate come una sorta di cerniera che lega la città e i due versanti.
Al dibattito con il pubblico ha partecipato anche la municipale di Lugano Karin Valenzano Rossi: «Siamo all’inizio del processo, un momento costruttivo per poter raccogliere osservazioni e spunti provenienti dalla cittadinanza. Questa è un’occasione: vogliamo coinvolgere la popolazione, perché l’anima della città è formata dai suoi cittadini. Il rischio è di suscitare aspettative che non potranno concretizzarsi, visto che bisognerà arrivare a una sintesi, ma ce lo assumiamo. Non c’è alcuna garanzia di attuazione per tutti i suggerimenti che arriveranno, c’è ‘solo’ la trasparenza del processo e il fatto che l’approccio collettivo si basa sulla fiducia reciproca». Valenzano Rossi ha auspicato una maggiore partecipazione dei giovani. È intervenuto pure il giovane agricoltore Luca Ferracin, titolare di un’azienda agricola in Capriasca, che ha posto il tema legato alla difficile integrazione di queste belle visioni con le esigenze degli agricoltori che subiscono la pressione della città, dei nuovi insediamenti e della concorrenza estera sui prezzi. Ciò rende quasi impossibile fare l’agricoltore nel Luganese: «Noi vogliamo produrre cibo di qualità, non fare solo i guardiani del territorio». La serata è stata moderata da Ludovica Molo, direttrice dell’Istituto internazionale di architettura che ha rinnovato l’invito a visitare a Villa Saroli le visioni dei tre Team finalisti del mandato di studio in parallelo.