A colloquio con l’architetto Renzo Bagutti, proprietario di alcuni rustici sui Monti di Canedo, frazione di Medeglia, Comune di Monteceneri
C’è tutto il sapore di un viaggio nel tempo incamminandosi sui Monti di Canedo, frazione di Medeglia, Comune di Monteceneri. Lassù nel suggestivo nucleo di Troggiano, a 1065 metri, l’aria fine riporta ai tempi in cui, stazione intermedia del nomadismo alpino, la transumanza era ancora un’attività fra le principali della regione. Oggi, seppur pare ancora di scorgere le mandrie di bovini che facevano la spola fra primavera e autunno, nella ventina di edifici presenti l’atmosfera è soprattutto quella di un paese ‘addormentato’, pronto a risvegliarsi solo quando i moderni proprietari salgono in quota per sfuggire all’afa estiva o per il piacere di un po’ di tranquillità. Fra di loro vi è l’architetto Renzo Bagutti che, rapito dalla bellezza del luogo, ha acquistato sei rustici con il principale obiettivo di mantenerne non solo la forma ma soprattutto la sostanza. Con lui abbiamo visitato queste preziose testimonianze e ne abbiamo raccolto l’insegnamento che si è voluto tramandare.
Qui, fra cascine, dove si lavorava il latte per farvi formaggio e burro, stalle (per capre e mucche), fienili, e cassinelli (ovvero cantine con acqua corrente portata dalle sorgenti dove venivano conservati il latte e le formaggelle), la parola restauro ha tutta una sua speciale interpretazione: «Devo premettere che su questo monte i contadini sono rimasti più a lungo, hanno cioè maggiormente resistito, per cui i rustici sono stati utilizzati per molto più tempo rispetto a quelli dei Monti di Medeglia. E questo fatto, con la mancanza di una vera e propria strada, ha garantito una sopravvivenza a questi edifici nelle condizioni originali. Non sono stati ‘trasformati’ perché utilizzati più a lungo per la pastorizia» ci spiega l’originalità del nucleo Bagutti che si è fin dall’inizio distinto per la tutela di Troggiano: «Nel riattare i tetti dei piccoli rustici abbiamo utilizzato le piode ricavate dallo smontaggio dei tetti di quelle più grandi, piode, non va dimenticato, che provengono tutte da questo territorio. Dove non è stato possibile si è utilizzata la lamiera, in quanto, una volta ossidata, riporta gli edifici a quella povertà che avevano all’inizio. Il resto è stato tenuto com’era: i gradini in sasso, i muri di sostegno che spuntano direttamente dall’erba. Così come sono stati utilizzati due soli materiali: il legno e la pietra. Del resto basterebbe poco per distruggere tutto, è difficile spesso riuscire a trattenersi, bisogna lavorare con il freno a mano tirato. Un esempio? La posa di un tavolo in granito, magari rustico, porterebbe a ‘costruire’ un falso. Per questo gli abbiamo preferito un tavolo di legno mobile, dichiaratamente estraneo al contesto».
Scuola tecnica superiore a Trevano, con successive collaborazioni con famosi professionisti ticinesi, Renzo Bagutti ha, ad esempio, collaborato con Giovanni Buzzi alla pubblicazione dell’Atlante dell’edilizia rurale in Ticino. Da trent’anni guida uno studio a Lugano, dove, accanto alla costruzione di nuovi edifici, cura restauri di tipo conservativo. A Troggiano, infatti, non si parla di trasformazione ma di sistemazione: «Delle cinque cascine, restaurate così com’erano, una è completamente rimasta come l’originale: tetto e pavimento in piode, arredamento fatto di poche cose, qualche mobile costruito con le cassette del sapone. Semplicemente pulita e lasciata come trovata, cosa ormai rarissima. Per questo sono usate soprattutto nella bella stagione, quando la vita si svolge all’aperto e tutto intorno diventa un soggiorno esterno. La mia idea è stata proprio quella di acquistare per conservare. Soprattutto per una questione di piacere».
Renzo Bagutti, mentre saliamo, ci spiega come il paesaggio sia composto da un elemento naturale e da uno culturale, «che altro non è che la sovrapposizione di una civiltà, in questo caso contadina, al paesaggio naturale. È dunque la civiltà contadina che è andata via via scomparendo, mentre il paesaggio rimane. Io e la mia famiglia volevamo, perciò, recuperare questo paesaggio culturale rurale e l’abbiamo fatto semplicemente pulendo, raccogliendo quintali di sassi, restaurando, dove necessario, senza aggiungere nulla, né tavoli fissi, né grill, né muretti. In Ticino si è spesso optato per altre forme di ristrutturazione, più invasive, meno rispettose dell’anima dell’edificio, ma bisogna riconoscere che ultimamente vi è una presa di coscienza diversa e qualcuno inizia a togliere quanto aggiunto negli anni. È la necessità di creare anche un certo ordine». In particolar modo agli occhi: «In effetti, quando parliamo di intervento conservativo si intende tutto quello che riguarda l’aspetto esterno. Tutto quello che è paesaggio è infatti una questione pubblica, è di pubblico dominio. Per cui si ha una responsabilità verso il prossimo. Mettere a posto un rustico non è una questione privata, perché tu influisci fortemente sul paesaggio; modificandolo, questa modifica non la vedi solo tu, la vedono tutti. Ciò comporta, dunque, la necessità di mantenere le caratteristiche dell’edificio, nel nostro caso anche in modo molto rigido. Invece, all’interno, è più una cosa privata, dove ciascuno può fare quello che vuole per avere tutte le comodità possibili. Dentro, lo ripeto, lo si può fare. Ciò non toglie che anche dentro, come abbiamo fatto noi per una delle cascine, possa essere bello conservare le caratteristiche originali».
Non solo villeggianti: «Di più. Ci siamo adattati a quello che la cascina e i monti offrono. Io sono del parere che sia giusto così: conservare il più possibile e viverli secondo quello che possono offrirti, né più né meno. Oggi, peraltro, vi sono regole ben precise per intervenire sui rustici con il Piano di utilizzazione cantonale dei Paesaggi con edifici e impianti protetti. In passato in Ticino si è, infatti, intervenuto troppo; per questo Berna aveva chiesto al Cantone di regolamentare maggiormente. In più il Cantone si è dotato di una linea guida più severa, ovvero di un vademecum destinato ai proprietari, agli artigiani e agli architetti. Passo per passo viene indicato come realizzare un restauro conservativo: sono state regolamentate, per esempio, le dimensioni delle finestre, il materiale dei tetti, come intervenire sui muri ecc. Perciò adesso è un po’ più facile. Dobbiamo ricordare che è purtroppo ormai rimasto molto poco della nostra tradizione rurale e quel poco deve essere tutelato se vogliamo tramandarlo alle future generazioni».
Edilizia rurale, quindi. Ma come ci è arrivato l’architetto Bagutti? «Un po’ per caso, ma non sempre tutte le cose capitano... per caso. Già da bambino, sono del 1964, ero affascinato da queste costruzioni contadine che, a partire dagli anni Cinquanta, venivano gradualmente abbandonate con l’avvento dell’industrializzazione e del settore terziario. Molti edifici sono stati abbandonati repentinamente più o meno da un anno all’altro, quasi tutti assieme. Non tagliando più il fieno, non essendoci più gli animali al pascolo, il bosco in un attimo si è impossessato di tutti i prati e di tutto lo spazio che prima era dedicato alla pastorizia. Così le stalle, le cascine e tutti i manufatti della civiltà contadina non sono stati più curati fino anche a crollare. E allora cosa si è fatto? Si è cominciato, volendo comunque bene a questi monti, a restaurarli, a metterli a posto, a trasformarli in residenze secondarie. Ma, non essendoci regole, perché questo è avvenuto prima dei Piani regolatori, ognuno ha fatto più o meno come pensava fosse giusto, secondo i propri canoni di bellezza, cercando di fare del proprio meglio. Per cui non possiamo ad ogni modo biasimare questi interventi, anche se anziché conservare si andava ad ‘aggiungere’, a cambiare, e adagio adagio si andavano a perdere le tracce di quella civiltà contadina che durava da 500 anni. In pochissimo tempo, purtroppo, è stato cancellato quasi tutto».
Già da adolescente Bagutti intuiva questo processo: «E me ne dispiacevo perché gli edifici che erano rimasti originali erano pochissimi, non ce ne erano quasi più. Certo oggi vediamo luoghi ‘carini’, però li apprezziamo perché arriviamo su in macchina, al caldo, con vestiti hi-tech, ma pensiamo a quando si era su quei monti malvestiti, malnutriti, a fare tutte quelle fatiche... È chiaro allora che quelli che hanno restaurato i rustici all’inizio non volevano sentir parlare di questa concezione di restauro. Era anche una precisa volontà di cancellare tutto quello che riconduceva a quella vita piena di sacrifici, di povertà, di mancanza di comodità. È perciò successo che, trasformando gli edifici, si cercasse di avere anche sui monti tutti i comfort della vita moderna. E non parlo di avere semplicemente un bagno o una doccia, che è il minimo che oggi si deve avere, ma del fatto che si è cercato di fare delle vere e proprie case d’abitazione su in montagna, trasformando interi edifici. Quello che, invece, facciamo noi è adattare lo stile di vita a quello che ti offre l’edificio».