‘Non volevamo più entrare nella questione legale’. I giudici decideranno a giorni. Il pp Garzoni rievoca uno dei casi più complessi della sua carriera
Anche il Ministero pubblico ticinese, segnatamente il procuratore capo, Arturo Garzoni, ha saputo nelle scorse settimane della richiesta di scarcerazione avanzata alle autorità giudiziarie russe dall’autore dell’assassinio di Ponte Capriasca, il ceceno Alexander Bakaev, condannato a 19 anni dalla Corte di Cassazione di Mosca. Ma il magistrato - assicura, da noi interpellato il procuratore pubblico e titolare dell’inchiesta penale - non sapeva invece della morte del mandante del delitto, Klaus Ingo Opris, avvenuta in carcere oltre nove anni fa, il 27 settembre 2012. La notizia, anticipata da laRegione ieri, è stata postata su Facebook dal marito di Flavia Bertozzi, Andrea, dopo essere stato informato dal comandante delle Guardie di confine, Silvio Tognetti. L’udienza dei giudici russi è attesa per i prossimi giorni. Giudici che hanno contattato a dicembre i familiari, chiedendo il loro parere sulla richiesta. Andrea Bertozzi, da noi interpellato, dichiara: «Ci hanno chiesto se ci opponevamo alla richiesta di scarcerazione. E nessuno di noi era contrario. Abbiamo preferito così. Confidiamo sulla giustizia russa. L’autore ha preso una pena di 19 anni e ora è suo diritto richiedere la scarcerazione. Questa persona è stata il mezzo ma da parte mia non è mai stata importante. È il mandante (Opris, ndr) la persona importante e per me è importante che non ci sia più. Non volevamo più entrare nella questione legale. La scarcerazione non è tuttavia certa, dal momento che saranno i giudici a decidere e ad avere l’ultima parola». Lei, Bertozzi, non rimprovera nulla alle autorità giudiziarie rumene di non averla informata tempestivamente della morte di Opris? «Assolutamente no. Non credo che giuridicamente fosse un loro dovere».
Il pp Garzoni, che nei prossimi mesi lascerà come noto la sua carica dopo trent’anni di Magistratura, rievoca quella che non esita a definire una delle inchieste più complesse della sua carriera sul delitto di Flavia Bertozzi avvenuta la sera del 3 dicembre 2002: «A Bucarest, parlo ormai di quasi due decenni fa, quando ho potuto farvi visita personalmente durante l’inchiesta, il regime di carcerazione era molto rigido e precario. Opris ha trascorso in cella 9 anni, dal momento che è stato arrestato nel 2003 ed è morto nel 2012». Il magistrato non ha dubbi: «Il delitto è stato tra i più efferati, l’uccisione di una donna incinta, legata, sgozzata sotto gli occhi di un’amica, per un’atroce vendetta, dopo aver assoldato il killer ceceno, Alexander Bakaev. Ricordo che i killer che avrebbero dovuto arrivare in Ticino erano cinque o sei, perché il disegno criminoso prevedeva l’uccisione di tre guardie di confine. Gli uomini ingaggiati erano tutti ex militari, russi, ceceni e moldavi. Due di loro, unitamente alla moglie di Opris, estradata dalla Germania, erano stati condannati a Lugano per complicità in assassinio. Pene nel frattempo già scontate dai due moldavi (la donna era invece stata rilasciata dopo una condanna sospesa con la condizionale, ndr). Opris è stato arrestato in Romania e condannato all’ergastolo. Mentre il killer, soprannominato “Sasha”, è stato condannato a 19 anni dalla Corte di Cassazione di Mosca». Ricorda date, nomi e circostanze a memoria sul delitto di Ponte Capriasca, il pp Garzoni. «È stata un’inchiesta molto complessa. Ho dovuto eseguire rogatorie in Germania, Romania, Federazione russa, Francia, Moldavia, in mezza Europa, insomma, e ci siamo recati personalmente, con la polizia giudiziaria, sia in Russia sia in Romania. E abbiamo potuto prendere visione dell’ambiente in cui è ruotata la vicenda. Abbiamo naturalmente spiccato numerosi ordini di arresto internazionali.E siamo poi riusciti a chiudere il cerchio – cosa davvero non evidente – con l’ultimo arresto, quello di Bakaev, un ex militare delle forze speciali che ha compiuto la guerra in Cecenia».
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Il procuratore pubblico, Arturo Garzoni
Non sono stati tuttavia catturati tutti gli esponenti dell’organizzazione criminale assoldata da Opris. «Esatto. C’erano ancora quattro cittadini moldavi, ex militari, che nel 2012 dovevano arrivare in Ticino per eliminare le tre guardie di confine – era questo il progetto di vendetta spietata, non quello di uccidere Flavia Bertozzi – che fermarono Opris, a suo dire, trattandolo in malomodo durante una perquisizione alla dogana di Chiasso-Brogeda. Per queste quattro persone moldave le autorità giudiziarie locali non ci hanno dato assistenza. Opris è invece stato arrestato, su mio mandato, a Bucarest e, dal momento che era cittadino rumeno, non poteva essere estradato ed è dunque stato processato e condannato nel suo Paese. Analoga sorte per Bakaev, che essendo cittadino russo non gli è stata concessa l’estradizione. Non sto a spiegare quanto è stato difficile assicurare che Opris e Bakaev venissero processati: ho dovuto inviare prove su prove e numerose carte a Bucarest e a Mosca. È stata per me una delle inchieste più impegnative e complesse sia dal lato tecnico sia dal profilo giuridico e operativo, nonché dal lato umano». Tra le più difficili indagini della sua carriera? «Sì, penso proprio di poterlo affermare, al termine di 22 anni come pp capo del Ministero pubblico. Devo comunque evidenziare che in questo caso, la Romania ci ha prestato un buon lavoro di collaborazione giudiziaria, ancorché su nostra grande insistenza. Hanno concretizzato l’arresto di Opris, abbiamo potuto svolgere numerosi interrogatori grazie al loro aiuto».
Del delitto di Capriasca, la sera del 3 dicembre 2002, con l’uccisione di Flavia Moroni-Bertozzi, moglie del doganiere Andrea Bertozzi, la stampa ha parlato per anni, seguendo passo a passo ogni capitolo dell’inchiesta internazionale. Incluso il processo a Bucarest, svoltosi nell’estate 2003 a carico di Klaus Ingo Opris, difeso dall’avvocato Calin Farcasiu, nel quale, sin dalla prima udienza – durata lampo di una decina di minuti, alla quale assistemmo di persona – si era sempre professato innocente: “Non mi sento colpevole e non ci sono prove che sia stato io a uccidere la donna” – dichiarò l’allora trentaduenne germanico di origini rumene. Poi riconosciuto dalla Corte, presieduta dalla giudice unica, Viorica Lolea, colpevole di omicidio premeditato e sequestro di persona e condannato alla massima pena, l’ergastolo, interrotto dalla morte del detenuto il 27 settembre 2012. Una morte rimasta per quasi un decennio nel silenzio ed emersa soltanto nelle scorse ore grazie all’interessamento delle Guardie di confine che hanno avuto la notizia, informandosi direttamente alla fonte, a Bucarest, e trasmettendola poi ad Andrea Bertozzi.