Raffaele Mautone, dopo essere stato accolto in Vaticano da Papa, ha ricevuto dal presidente della Repubblica italiana l’onorificenza di cavaliere
Dopo il Papa, il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella. «Una nuova grande emozione», Raffaele Mautone, infermiere comasco impiegato al Cardiocentro di Lugano, ha la voce spezzata dall’emozione quando lo raggiungiamo l’indomani della consegna da parte del prefetto e del sindaco della città lariana del papiro che attesta il conferimento, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri italiano, Mario Draghi, dell’onorificenza di Cavaliere. Registrato al numero 17’291 (serie VI) Mautone entra così, per meriti professionali, nel prestigioso ordine istituito nel 1951 e volto a "ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, della economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici e umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari”. Con lui sono stati premiati tutti e tre i fratelli, anch’essi infermieri e al fronte pandemico, fra il Ticino, il Lario e Napoli, nel pieno dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19. «Porterò nel cuore le bellissime motivazioni, quelle cioè di aver portato una luce di speranza in uno dei periodi più bui dell’umanità» continua il racconto di quell’indimenticabile giornata.
Raffaele fu il protagonista della raccolta di una serie di toccanti lettere scritte dal corpo infermieristico nei giorni più dolorosi della pandemia, quando nelle corsie si registrava sofferenza e morte. Sentimenti e timori che furono poi consegnati direttamente nelle mani del Pontefice: «Fu un gesto semplice che va al di là della professione e delle competenze specifiche di ciascuno di noi, ma che ha dato un‘energia in più sia ai pazienti sia ai miei colleghi». Ora, il nuovo riconoscimento, riporta quei camici nel loro ruolo di protagonisti. Raffaele è però tornato in Ticino senza medaglia: «Ho voluto regalarla alla vedova del dottor Luigi Frusciante, medico di base e uomo di sport, morto a Como agli albori della terribile malattia, nel marzo 2020. Lei mi ha detto ‘i nostri figli già sapevano quanto era bravo il loro papà, questo gesto ce ne dà conferma e ci aiuta ad andare avanti e a ricordarlo con gioia’. Mi ha toccato il cuore... Finalmente, dopo tanti anni di lavoro duro, le professioni sanitarie, da sempre caratterizzate dall’umanità, ma non sempre riconosciute come tali, trovano un apprezzamento, anche istituzionale, per quell’impegno, di medici e infermieri, dal Cardiocentro a Bellinzona, da Locarno alla Clinica Moncucco, a non tirarsi mai indietro rischiando anche la propria vita. Perché assistere alla sofferenza degli altri, me lo faccia dire, è tosta! Non è mai facile, penso a mio padre e ai trent’anni passati nei reparti di rianimazione che finiscono per segnarti nell’animo. E, quindi, ben venga questo riconoscimento che ci ricompensa, seppur in piccola parte, dei sacrifici».
Due anni intensi, impegnativi, coinvolgenti, anche pesanti. Eppure Raffaele Mautone continua a guardare al futuro con fiducia tanto da fondare, insieme al fratello, a gennaio, l‘associazione ‘Il sentiero dell’infermiere’: «Questo perché abbiamo scoperto che con la pandemia abbiamo superato il confine delle corsie e abbiamo capito che per uscire da questa emergenza sanitaria, ma anche da altre malattie e disagi come la solitudine, bisogna percorrere insieme una strada che, seppur resa tortuosa dalle difficoltà dovute al virus, ha lasciato una traccia, ovvero quella del bisogno l’uno dell’altro. A quasi due anni da quell’inizio mi rendo conto che i pazienti continuano a riconoscere questo aspetto, e noi infermieri ad aver necessità di vivere appieno questo percorso. Quando un infermiere lavora in reparti fra i più difficili, cerca di alzare un muro, così da distaccarsi una volta a casa. Ma se, invece, si cerca di affrontare questo percorso insieme ai pazienti, come abbiamo realizzato attraverso le lettere e nel pellegrinaggio che abbiamo portato a termine quest’anno verso Roma, non possiamo che riappropriarci della nostra libertà, sia spirituale sia emotiva. Una necessità di cammino che si fa ascolto e condivisione piena, la fratellanza che noi rappresentiamo anche concretamente. La nostra associazione avrà, dunque, lo scopo, anche passata la pandemia, di ascoltare le persone».
Ascoltare proprio tutti, anche coloro che si dicono ‘no vax’? Come reagisce un infermiere che quella malattia l’ha vissuta e sofferta in prima persona? «Probabilmente coloro non accolgono l’invito a vaccinarsi sono persone che hanno paura. Io non posso far altro quando li incontro in ospedale, o per essere stati contagiati dal coronavirus o perché accompagnano familiari, di spiegare loro le difficoltà e i pericoli insiti in questa malattia. Dunque, non li contrasto nella loro scelta, ma porto anche la mia visione su quella che è una concreta e tremenda malattia».