A parlarci di ‘pubblica utilità’ è Monique Bosco-von Allmen, presidente della sezione della Svizzera italiana di Cooperative d’abitazione Svizzera
Quando si parla di alloggi il pensiero va alla sempre più paventata bolla edilizia e all’alto tasso di sfitto che il Ticino, pare senza preoccuparsene più di tanto, continua a registrare. Eppure sono molti gli aspetti legati a questa necessità insita nell’uomo. «Mi sono impegnata molto perché personalmente credo che dobbiamo apportare dei cambiamenti in grado di trovare nella nostra società un nuovo equilibrio e quello dell’alloggio penso sia un tema assolutamente fondamentale. In primo luogo perché è un’esigenza di tutti, un bisogno fondamentale, quello di avere un’abitazione, che dev’essere anche adeguata». A parlarci di ‘pubblica utilità’ è Monique Bosco-von Allmen, presidente della sezione della Svizzera italiana di Cooperative d’abitazione Svizzera (Cassi). Se, su territorio rossocrociato, esistono circa 2’000 committenti di abitazioni di utilità pubblica, proprietari di oltre 185mila alloggi, essi rappresentano ancora solo il 5% del mercato immobiliare svizzero. Percentuale che in Ticino è dell’1%: «È stato anche per questo motivo che ci siamo attivati, in primo luogo abbiamo chiesto all’Ufficio federale delle abitazioni di tradurre in italiano la Carta statutaria dei committenti di abitazioni di utilità pubblica in Svizzera, perché non c’era fino a quel momento. Da qui l’idea, nel 2017, di rivitalizzare l’associazione. Da allora cerchiamo di fare informazione perché, in effetti, nel nostro cantone non ci sono, o quasi, cooperative di abitazione. Un lavoro impegnativo su tutti i livelli, a partire dalle amministrazioni comunali, perché se non sanno non possono prenderla in considerazione come interessante alternativa, non solo per chi ci abita ma per la società intera. Uno dei tanti problemi sta proprio nel fatto che molti credono che sia qualcosa di diverso da quello che effettivamente è... Non è ‘la comune’, del vogliamoci tutti bene e basta, non è questo, è un tipo di società che è gestita dai propri soci in maniera democratica e trasparente. L’intento della cooperativa di abitazione è di rispondere perciò alle esigenze dei propri soci».
Come si spiega questa ‘mancanza’ ticinese? Solo una questione di mentalità?
Penso che siano tantissimi fattori che si sommano. Uno è sicuramente la storia: le cooperative sono nate per rispondere a un’esigenza di alloggi per gli operai, sia pensati dagli stessi lavoratori sia dagli imprenditori, e in questo la Confederazione ha fatto parecchio (i Domus a Chiasso sono uno di questi esempi). A me piacerebbe che anche in Ticino gli imprenditori cominciassero a prendere in considerazione questa forma di aiuto ai dipendenti, magari così riusciremmo a trattenere qualche frontaliere in più con relativi benefici non solo economici, ma vantaggi legati anche alle maggiori relazioni che si instaurano tra le persone. I Domus sono stati un esempio di come le famiglie si aiutano le une con le altre e alla fine tutti traggono vantaggio. E se il sistema si ampliasse, come detto, non sarebbero solo le famiglie a trarne guadagno ma tutta la collettività. Le porto un esempio, a Zurigo un uomo che abitava in una cooperativa, colpito da un infarto, è riuscito a tornare a casa anziché optare per una casa anziani, perché aveva venti famiglie vicine che lo aiutavano. Lui non è dovuto andare in un centro di riabilitazione e tutta la collettività, ancora una volta, ne ha tratto vantaggio in merito ai costi della salute e delle casse malati.
La costruzione di alloggi di utilità pubblica è una questione più privata? Fatta di imprenditori o filantropi lungimiranti oppure dovrebbe maggiormente coinvolgere anche il settore pubblico?
Stiamo lavorando per questo motivo su tanti livelli. Una causa legata alla scarsa realizzazione di questo tipo di alloggi sta, per esempio, nel fatto che in Ticino non abbiamo avuto una vera realtà industriale. E poi, ribadisco, non c’è ancora completa conoscenza. C’è chi dice che non fa parte della nostra cultura? Io rispondo sì e no. In passato, è necessario ricordarlo, le famiglie condividevano un cortile, un bagno, gli attrezzi di lavoro, il forno, perché non si potevano permettere altro. Gli stessi Patriziati sono una proprietà collettiva e non pubblica. Certo è che vi è una mancanza di conoscenza anche da parte degli operatori del mondo immobiliare, eppure la nostra associazione mantello nel 2019 ha festeggiato i cento anni, per cui non è una realtà nuova ma esiste da tantissimi anni, seppur si sia sviluppata a ondate, pensiamo ai progetti nati soprattutto dopo le due guerre. Alla fine degli anni 80 vi è stato un nuovo slancio che è ancora molto attivo in molte città a nord delle Alpi.
Come si concretizza un progetto di alloggio di utilità pubblica?
Va detto che non siamo noi, Cassi, che portiamo avanti l’operazione, noi possiamo aiutare, cercare dei fondi, degli aiuti finanziari, possiamo mettere insieme le persone, possiamo sostenere. Il problema attuale in Ticino è quello di trovare la proprietà giusta. Da architetto mi sento di dire che nel nostro cantone tendenzialmente non dobbiamo più costruire, abbiamo costruito già troppo, per cui bisogna riutilizzare quello che già c’è. Perché, per esempio, non trovare un edificio di un unico proprietario che preferibilmente non lo voglia vendere ma che non ha i soldi per rimetterlo a posto? Perché non invitarlo a darlo in diritto di superficie, in affitto a lungo termine, a una cooperativa, così da avere una sola figura di riferimento, magari partendo dagli stessi inquilini che ha già e cercando quelli che mancano? Famiglie che dovranno investire del capitale proprio per realizzare la cosiddetta terza via, ovvero quella di porsi fra proprietari e inquilini. Del resto, il capitale sarebbe nettamente inferiore a quello che si dovrebbe mettere se si volesse diventare proprietari e che la maggior parte delle famiglie non si potranno più permettere nel prossimo futuro. Con la possibilità anche di poter accedere al Fondo di rotazione della Confederazione e al Fondo di solidarietà (soldi prestati a tassi d’interesse ridotti e da restituire in vent’anni). Il resto ce lo metterebbe, tramite una ipoteca, un istituto bancario.
A chi si rivolgono soprattutto questi alloggi?
Volendo a tutti, dai single alle famiglie numerose, magari creando un mix di generazioni e di strati sociali. Le cooperative, di base, sono fatte per la fascia media, medio-alta, includendo anche la medio-bassa. Se la cooperativa, per esempio, nella sua Carta dei valori desidera che vi siano anche rifugiati, che chiaramente non hanno disponibilità finanziarie tali da considerare un capitale iniziale, allora nella cooperativa potrebbe scattare quel senso di solidarietà in grado di reperire al di fuori di questo nucleo familiare il capitale necessario, anche magari tramite soci non abitanti. È un progetto dal quale si può sempre uscire secondo le modalità definite nello statuto della cooperativa stessa; a Zurigo è facile perché ci sono lunghe liste d’attesa, magari non è così dove le cooperative non sono così diffuse.
Parlavamo anche di ente pubblico.
Non mi è chiara quale sia la vera politica dell’alloggio in Ticino. Gli aiuti che si danno sono spesso sotto forma di sussidi, diretti cioè alle singole persone. Se un comune, porto l’esempio di Massagno, anziché investire 100mila franchi per venti famiglie li avesse investiti in un progetto di abitazioni di utilità pubblica che rimane tale a lungo termine, sarebbero stati soldi che anziché coprire solo dei costi presenti avrebbero rappresentato un investimento anche per il futuro. Perché con i sussidi soggettivi, chi ci guadagna, oggi, è soprattutto chi continua a costruire, ma ciò non è un investimento a lungo termine per il Comune se desidera avere più alloggi a prezzi accessibili. Se, invece, anche gli enti pubblici si impegnassero affinché ci fosse un investimento oggettivo, con stabili di qualità e di utilità pubblica, allora la città andrebbe sì a realizzare un vero e proprio investimento risolvendo in maniera meno onerosa la ricerca di abitazioni adeguate.
Quali i vantaggi delle cooperative d’abitazione?
Un vantaggio importante è che non si creano ghetti. Se mischiamo famiglie che hanno mezzi con quelle che ne hanno di meno si crea condivisione e unione, i bambini giocano insieme, chi ha più tempo libero lo potrebbe dedicare a chi ne ha meno. Perché non aiutarsi come vicini? E allora chi ne trae vantaggio? Ancora una volta tutti. Se una famiglia ha un reddito più alto può pagare magari di più di una famiglia che ne ha uno più basso, oppure contribuire con un surplus in una cassa dedicata all’organizzazione, per esempio, di eventi (feste, attività in comune ecc.). Di nuovo, quindi, le persone si incontrano di più, si conoscono con maggiore facilità, aumenta la fiducia e ci si aiuta di più in maniera naturale. Perché dico che è importante per la società? Perché più le persone si aiutano tra loro e meno vanno a chiedere aiuto allo Stato. Dal momento che siamo una società che sta invecchiando velocissimamente lo Stato a un certo punto non ce la potrà più fare.
In questi ultimi quattro anni ha trovato un’inversione di marcia? Riesce a essere ottimista?
Lo devo essere! Sono fiduciosa nel fatto che le nuove generazioni porteranno un cambiamento che dovrà essere fatto. Forse il momento si sta finalmente avvicinando. Purtroppo, attualmente siamo ancora nella fase delle parole e non nella concretizzazione di progetti. Basterebbe che partissero alcuni piccoli progetti, da 7-8-10-15 appartamenti. Perché, se non proviamo, come facciamo a portare un esempio per gli altri? Non dico che sono sempre soluzioni senza svantaggi, senza problemi, ma nelle cooperative dovrebbe essere più facile risolverli rispetto a un progetto di proprietà per piani, per esempio, perché i soci abitanti si riconoscono nei valori della propria Charta.
Rispetto alla Svizzera interna come siamo messi in Ticino?
In Ticino ci sono alcuni esempi di cooperative che erano state realizzate per il personale della Confederazione, vi è a Lugano la speciale Società cooperativa residenza Emmy e a Tegna la cooperativa Viv Insema che sta terminando il cantiere. A Zurigo, invece, il 27% degli alloggi sono di utilità pubblica di cui il 25% di cooperative. Nel 2012 gli zurighesi hanno votato affinché entro il 2050 si arrivi al 33%. Il Cantone di Ginevra attua una politica dell’alloggio dagli anni 50. Dal 2007 dispone di un fondo alimentato con 35 milioni all’anno, destinati in gran parte all’acquisto di terreni da dare in diritto di superficie a diversi committenti di abitazioni utilità pubblica affinché la classe media possa continuare a vivere in città. A Berna, nel 2014, più del 70% dei cittadini ha votato perché aumenti il numero di alloggi accessibili, anche Bienne dimostra una grande esperienza e una grande volontà.
E Lugano, è una città ricettiva?
Lugano è una città in trasformazione... Il concorso per Lambertenghi non era idoneo per cooperative i cui soci versano capitale proprio per la realizzazione, ma comunque contribuirà ad aumentare il numero di alloggi a prezzi accessibili e sono fiduciosa che anche dal concorso di architettura ne uscirà un bel progetto. Voglio rimarcare che le cooperative spesso rispondono a concetti di flessibilità e non costruiscono a basso costo perché investono a lungo termine, per cui molto spesso i progetti vengono realizzati con materiali adeguati perché devono durare. Per il resto ormai i comuni più grandi ci conoscono e spesso sentiamo nominare le cooperative d’abitazione, la tematica sta diventando di interesse, ma a me piacerebbe concretizzare.
È forse perché spesso manca un dialogo autorità-cittadini e cittadini-cittadini?
Direi di sì. L’architettura, volendo, potrebbe fare moltissimo. Non si fa città pavimentando con la pietra ovunque che peraltro ha un costo esorbitante e lascia il tempo che trova. Cominciamo dal creare degli spazi in cui i cittadini si riescono a incontrare senza stare sempre sul piede di guerra. Andare in bicicletta è un mezzo suicidio a Lugano, ci sono persone distratte, vi è una mancanza di attenzione all’altro. Il dialogo deve perciò ricominciare e perché può aiutare l’architettura? Nel concepire nuovi punti di incontro sia spazi esterni che interni, come la lavanderia posta all’ingresso principale con accanto un salottino e la macchinetta del caffè, dove gli abitanti dell’edificio si possono intrattenere, nel gestire meglio l’occupazione degli spazi, in una nuova concezione di parti comuni o semi-private, che permettono di aumentare gli scambi e ridurre i costi di gestione della vita quotidiana. Il risultato? Una rete che si sostiene vicendevolmente. Le case ballatoio, che stanno tornando attuali, sono un ulteriore prezioso esempio, perché costano di meno e la gente passando discretamente davanti agli altri appartamenti finisce per incontrarsi e conoscersi. Quando si è comproprietari c’è più volontà di risolvere i problemi così da non rimetterci tutti. Spesso non ci sono neppure barriere, magari piante che non sono un muro o un cancello con la chiave. Un terrazzo per l’utilizzo di tutti, l’orto condiviso. Se dobbiamo sempre fare progetti di speculazione difficilmente partirà un progetto di questo tipo.
E la politica in tutto questo che ruolo ha o che invece dovrebbe avere?
L’ente pubblico non deve mai vendere, ma comperare. Se c’è un bene che non possiamo rinnovare né ampliare è la terra e noi in Ticino, purtroppo a volte, siamo ancora nella fase di vendita delle proprietà. Ma se l’ente pubblico avrà poche proprietà, e sarà sempre più in difficoltà a possederne di nuove, le prossime generazioni come faranno a fare progetti che gli servono? Sono quindi problemi complessi che richiedono una visione a lungo termine e finché la politica ha una visione da elezione a elezione è difficile... Il problema è che non abbiamo neppure la spinta dal basso. Se le persone si mettessero insieme e capissero e facessero leva sulla politica, i nostri governanti sarebbero obbligati a reagire. Ma se noi accettiamo la formula dell’aiuto diretto ovvero il sussidio, tutti vorranno sempre di più senza comprendere la vera differenza fra costo e valore. In Svizzera interna sono entusiasti che qualcosa si possa muovere in Ticino, gli unici non entusiasti sa chi mi sembrano? I ticinesi. Per ora il Comune di Mendrisio è quello che nei confronti di Cassi ha mostrato più interesse, attraverso anche due studi di fattibilità. Forse perché i momò sono diversi, hanno una diversa attitudine, forse perché c’è una costellazione di politici che ci sente un po’ di più o forse perché lì il problema dell’alloggio è più grave che altrove. Nel Mendrisiotto esiste una cooperativa abitativa che è alla ricerca di una proprietà adeguata e a cui si possono iscrivere altri soci, anche che non intenderebbero andare ad abitarci. Si tratta della cooperativa CAam’On! (cooperativaabitativamendrisiotto.tumblr.com). Il Ticino nel suo insieme, ma soprattutto Lugano, ha vissuto anni ‘di platino’ grazie ai soldi delle banche ma da quando la situazione è cambiata non mi sembra ci sia stata una chiara idea di che cosa fare della città, oltretutto è tutto troppo costoso in relazione alle possibilità economiche di tante famiglie. È una città con alcuni quartieri poco abitati che si riempie per eventi che portano momentaneamente un sacco di gente e un sacco di traffico. Alcune famiglie ticinesi hanno deciso addirittura di trasferirsi in Italia, perché? Nessuno ne parla. Perché non trattenerli? Cosa facciamo in Ticino per la politica dell’alloggio? Altrove è il tema numero uno.