Luganese

Abusi all'ex Macello: 'Vedevo un'energia che mi attraeva'

Le 'attenzioni' su due bambini al centro autogestito di Lugano: 24enne condannato alle Assise criminali a trenta mesi da scontare in un istituto terapeutico

Giochi proibiti (Ti-Press)
28 luglio 2021
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«Gli ho detto di leccarlo come se fosse un ‘Chupa Chups’». È la frase che un uomo di ventiquattro anni - arrestato il 19 gennaio di quest’anno - ha detto nel 2018 a un bambino di soli otto anni, all’interno di una sala dell’ex centro sociale 'il Molino' di Lugano (dove ha vissuto per un periodo), dopo essersi fatto toccare le parti intime. L’imputato, comparso davanti alla Assise criminali di Lugano, riunite a Mendrisio, era accusato di ripetuti atti sessuali con un fanciullo, infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti e per aver ripetuto dei furti ed essersi reso protagonista di un danneggiamento di lieve entità. La Corte, presieduta da Siro Quadri e dai giudici a latere Monica Sartori-Lombardi e Aurelio Facchi, ha inflitto una pena di trenta mesi che l’uomo dovrà scontare in un istituto terapeutico: «La perizia psichiatrica ha confermato che l’accusato non è un pedofilo, ma soffre di un disturbo 'schizotipico' e di altri disturbi psichici. Questo, però, non esclude il pericolo che potrebbe causare ad altre persone, con rischio di recidiva troppo elevato», ha rimarcato il presidente, evidenziando che i bambini «non vanno assolutamente toccati».

Due i casi di abuso

Due i casi di abuso: il primo, come detto, riguarda un bambino di otto anni che, saltuariamente, faceva visita al centro sociale. Il giorno dei fatti, la vittima venne accompagnata dal nonno che poi se ne andò. L’accusato, notando che il bambino – che aveva già conosciuto nei giorni precedenti – era rimasto solo, lo portò a fare un ‘’tour’’ del centro, che terminò con l’abuso: rimasti soli in una stanza al primo piano dell'ex Molino, il 24enne ebbe un’erezione, che lo portò a estrarre il pene e a chiedere al bambino di toccarglielo per «dieci secondi e anche di più, ma meno di un minuto», come dichiarato dalla vittima durante l’audizione con la polizia. Ma perché il bambino accettò di seguire l’uomo? «Lui vedeva nell’accusato una specie di idolo: suonava la chitarra ed era bravo a fare i graffiti, tutte cose che hanno incuriosito la piccola vittima spingendola verso di lui», ha spiegato la procuratrice pubblica Pamela Pedretti. Quando poi il nonno tornò a prendere il nipote, l’imputato porse il plettro della sua chitarra al bambino, un regalo che voleva simboleggiare il loro «segreto». Un ‘’patto’’ che il giudice Quadri ha definito «spregevole».

Quanto al secondo caso d'abuso l’uomo si trovava all’interno di un bagno, intento a masturbarsi, con la porta aperta. Neppure il sopraggiungere di un bambino di nove anni lo fece desistere, anzi chiese al ragazzino se gli piaceva quello che stava guardando. Solo nel vedere il bambino andarsene decise di fermarsi. Quadri ha posto proprio la domanda sul perché si sia fermato invece di continuare: «Mi sono immedesimato in lui. E mi sono detto che non era giusto». Il giudice, che ha ricordato che «quella sera era presente il padre del bambino, conoscente dell’imputato, venuto per una festa che si stava svolgendo proprio in quel momento», è stato di diverso avviso: «Ha stoppato l’atto sessuale solo per la paura di essere scoperto, e non per proteggere il bambino». La giustificazione dell'imputato? «Ero in apprensione e cercavo attenzioni in generale, per quello ho tenuto aperta la porta».

«Non me lo spiego»

Durante il dibattimento l’uomo, alla domanda posta dal giudice se fosse o meno attratto dai bambini, ha risposto che ancora adesso non si spiega del perché fece quelle azioni: «Non sono attratto sessualmente dai bambini. So però di soffrire di parafilie (comportamenti sessuali atipici), ma non sono un pedofilo. È che aveva un'energia solare che mi attraeva. Vedevo in lui quella spensieratezza di vita che io non ho mai avuto». Il 24enne, infatti, è stato abbandonato quando aveva solo due anni e ha subìto abusi sessuali. «Le azioni che ho compiuto sono indicibili. Ma, di nuovo, non sono attratto dai bambini. Le droghe che prendevo in quantità ingenti – crack, lsd, funghi allucinogeni, eroina, metanfetamina – e l’abuso di alcol mi fanno pensare che sono state le principali cause di quello che ho fatto. Hanno accentuato le azioni che ho commesso». Il giudice Quadri, però, spiega che solitamente si accentua qualcosa che esiste, come in questo caso una fantasia sessuale: «Quindi lei aveva questa fantasia?», ha chiesto. «Sì, ma accentuata dalla droga», ha risposto l’accusato.

«Non è un orco o un abbietto»

La difesa, rappresentata da Alessia Angelinetta, ha spiegato come il suo assistito sia «visto come un orco. Un abbietto. Solitamente – ha continuato l’avvocato – questi casi vengono visti dall’opinione pubblica con repulsione, rabbia e senza possibilità di rimedio. E capisco anche che sia difficile valutarli al di fuori di chi pratica la psicoterapia e queste tipologie di studi. Ma soffre di disturbi psichici, e come tale va curato». La soluzione carceraria di trenta mesi, chiesta inizialmente dalla procuratrice pubblica, «non sarebbe dunque la soluzione giusta. Deve essere seguito passo per passo così che lui possa comprendere i suoi disagi e quelli che ha causato, per permettergli di non procurarne mai più». Secondo la perizia, l’uomo è attratto dai bambini in generale, anche a causa del suo passato: «Lui si è immedesimato in questi bambini. La frase del ‘’Chupa Chups’’ non deve essere vista come abominevole, ma piuttosto goffa e immatura, derivata dal suo passato», ha spiegato Angelinetta, che ha poi evidenziato alla Corte come il suo cliente abbia sempre collaborato fin dall’inizio dell’inchiesta e che il pentimento è totale e sincero. «Ma pentirsi non basta –, ha spiegato la procuratrice –. Anche se ci sono crimini più gravi nella sfera dei reati sessuali, dobbiamo ricordare che tutto quello che è successo ha segnato e segnerà per sempre questi due bambini. A loro è stata negata quella spensieratezza tipica della loro età, ed è inaccettabile».

L’uomo, nel corso del processo, si è detto più volte pentito e rammaricato per le sue azioni. Quando gli è stata concessa l’ultima parola, ha voluto leggere una lettera da lui stesso scritta. Una lettera indirizzata principalmente alla prima vittima di otto anni: «Chiedo scusa. Grazie al percorso fatto nell’ultimo periodo, che mi ha permesso di disintossicarmi dalla droga e smettere di bere, sono ora pienamente consapevole delle mie azioni. So quello che ti ho causato. Mi dispiace tantissimo».