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Molino, sì al mediatore dalla maggioranza dei gruppi in Cc

Davvero critici solo Verdi e Udc, possibilista la Lega ma a determinate condizioni, più favorevoli gli altri. Tutti concordi sul fatto che ci voglia dialogo

Basterà un fiore? (Ti-Press)
9 giugno 2021
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Dialogo, sì. Ma come? A dieci giorni dallo sgombero e della demolizione della sede del Centro sociale autogestito (Csoa) Il Molino nell'ex Macello di Lugano, e in seguito alla conseguente levata di scudi a favore dell'autogestione e alla partecipata manifestazione di sabato scorso, crescono gli appelli al dialogo. Un dialogo che tuttavia appare difficile: non solo era fermo già da almeno un lustro prima del 29 maggio, ma quei fatti difficilmente possono essere letti come un invito al tavolo delle discussioni. Eppure queste vanno avviate, se si vuole trovare una qualche soluzione. Toccherà quindi a un mediatore? Il sindaco Marco Borradori e la capodicastero Karin Valenzano Rossi non sono sembrati troppo favorevoli all'idea. Nell'attesa che sulla questione si pronunci il Consiglio di Stato, abbiamo chiesto ai capigruppo in Consiglio comunale cosa ne pensano.

Plr favorevole, Lega possibilista

«Credo che il Municipio abbia cercato il dialogo senza trovarlo – sostiene Lukas Bernasconi (Lega) –. Se gli autogestiti vogliono portare avanti un programma culturale alternativo, con delle idee chiare in questo senso, delle persone di riferimento, allora secondo me troveranno un interlocutore nel Municipio. Dal mio punto di vista, il centro autogestito non dovrebbe essere unicamente un posto dove andare a bere la birra e ascoltare la musica. Nulla contro un mediatore, che però a sua volta anche deve avere delle controparti con le quali dialogare. Una formula come quella della Rote Fabrik di Zurigo credo che potrebbe tranquillamente trovare un interlocutore nel Municipio. Ma deve esserci apertura anche da parte dei giovani a una soluzione di questo tipo». Più stringato il commento di Rupen Nacaroglu (Plr): «Siamo favorevoli a trovare un mediatore credibile e riconosciuto da entrambe le parti per una soluzione condivisa. Auspichiamo in tutti i casi un dialogo».

Ppd e Ps d'accordo

«La cosa più importante è che le parti si parlino – condivide Lorenzo Beretta Piccoli (Ppd) –. Se tramite mediatore o filo diretto è meno importante. Il vantaggio di questa seconda variante sarebbe quello di velocizzare le cose e portare a una soluzione in tempi più brevi. Non abbiamo comunque nulla contro un intermediatore, anzi: potrebbe far tornare al tavolo delle discussioni anche il Cantone, qualora fosse quest'ultimo a nominarlo. E forse per questo è preferibile questo scenario, perché è importante il coinvolgimento del Cantone, che purtroppo negli ultimi mesi ha un po' latitato sulla questione. E poi, dopo gli ultimi accadimenti, non so quanto sia fattibile il dialogo diretto». «Siamo a favore di un mediatore – l'opinione diretta di Carlo Zoppi (Ps) –, come di qualsiasi cosa costruttiva che ci aiuti a risolvere questa questione. Non sono un esperto, ma credo che in questi casi sia importante che il mediatore sia riconosciuto in quanto tale da entrambe le parti, che goda di fiducia e stima. E dovrebbe essere una persona che ha già avuto esperienza in situazioni simili, che sappia come muoversi. Non necessariamente ticinese, ma che conosca il contesto». Per il capogruppo socialista l'aspetto più urgente è tuttavia un altro: «È primario ora trovare una nuova location il prima possibile. Senza, una soluzione non la vedo. Bisogna rompere l'impasse e per farlo la parte più indicata è sicuramente il potere istituzionale, che ha tutte le carte in mano per fare il passo d'apertura. Ha anche un ruolo che gli impone di essere la parte più ragionevole».

Udc e Verdi, per motivi diversi, critici

Il capogruppo più critico è certamente quello dell'Udc: «In questo caso il mediatore serve a ben poco – per Tiziano Galeazzi –. È solo uno dei punti della discussione. Sì, c'è bisogno del dialogo e spetta agli autogestiti iniziarlo. Devono avere dei portavoce che possano dialogare con Cantone e Comune. Se deve esserci un eventuale moderatore, spetterebbe al Consiglio di Stato nominarlo: aspettiamo da mesi che intervenga sul tema. Vedremo poi cosa uscirà dalla Commissione sanità e sicurezza sociale del Gran Consiglio. Il rapporto (sulla mozione del 2012 di Fabio Schnellmann, Roberto Badaracco e Gianrico Corti, del quale Galeazzi è correlatore con Raoul Ghisletta, ndr) verrà stravolto e non è detto a questo punto che ce ne sia più d'uno. Giovedì ci sarà l'incontro con tre consiglieri di Stato (da nostre informazioni: il presidente Manuele Bertoli, Norman Gobbi e Raffaele De Rosa, ndr). Vorremmo che si creasse una task force fra Cantone e Città per affrontare la questione». «Non ne abbiamo ancora parlato in gruppo, ma la mia posizione personale deriva da quella che abbiamo in Gran Consiglio, dove noi non abbiamo firmato il rapporto sulla famosa mozione poi rimandata in commissione – gli fa eco invece Nicola Schönenberger (Verdi) –. Per me, onestamente, la figura del mediatore è un po' un'operazione ‘alibi’ della politica per dire “noi la nostra parte l'abbiamo fatta”. Il primo passo per avere un mediatore è che questo sia desiderato dalle parti in conflitto. È la premessa sine qua non affinché funzioni. E prima di arrivare al dialogo ci vogliono le premesse: bisogna prendersi reciprocamente sul serio. Qualcuno deve farlo questo primo passo, e dovrebbe essere il Municipio: l'ente pubblico per definizione è superiore. La non volontà di dialogare del Molino è una debolezza, certamente criticabile e poco saggia, ma è probabilmente una risposta testarda a un Municipio che non li ha mai presi sul serio. Per questo l'esecutivo dovrebbe uscire da questa dialettica “voi avete lanciato il sasso e quindi noi vi distruggiamo la casa”, ma riconoscere invece le funzioni sociali e culturali che l'autogestione può svolgere. Il Municipio deve riacquistare credibilità su questo dossier e prendere seriamente la controparte. E a quel punto la Città potrebbe anche pretendere qualcosa, un calendario di eventi per esempio. Se poi dall'altra parte non ci fosse risposta, a quel momento si giustifica la fine dell'esperienza. Ma non ho visto questo da parte del Municipio».

Sulla questione non siamo riusciti a sentire il parere di Sara Beretta Piccoli, esponente del Movimento Ticino&Lavoro e a capo del gruppo misto con Più Donne.

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