Condannato un 30enne algerino che ha aggredito un uomo al Ciani. Sarà espulso dalla Svizzera per cinque anni. La vittima: 'Non chiudiamo gli occhi!'
Ha avvicinato la vittima con la scusa di chiedergli una sigaretta. Poi gli ha sferrato una gomitata sul mento sottraendogli la catena d'oro che portava al collo. Oggi, l'autore dell'aggressione, un 30enne algerino comparso in aula penale, è stato condannato per rapina a sette mesi di prigione da espiare e all'espulsione dalla Svizzera per cinque anni. L'imputato di fronte al presidente della Corte della assise Correzionali di Lugano Amos Pagnamenta si è scusato affermando di non ricordare cosa sia successo quella sera del 13 agosto scorso al Parco Ciani di Lugano a causa dell'assunzione cocaina, marijuana e crack.
La vittima che ha assistito al processo, invece, se la ricorda molto bene quella sera. «Stavo passeggiando tranquillamente quando una persona mi ha chiesto una sigaretta, poi mi ha colpito strappandomi la catena d'oro che avevo al collo - racconta il 38enne di origine eritrea -. Mi sono parecchio spaventato. Non ho reagito ma ho chiamato subito la polizia e nel giro di due ore l'aggressore e i suoi due complici (poi rilasciati) sono stati fermati. È stata premiata la mia fiducia nella polizia e nella legge. Oggi ho avuto la dimostrazione che la giustizia in Svizzera funziona».
Una storia che merita di essere raccontata quella della vittima. L'uomo è arrivato in Ticino nel 2006, con lo statuto di richiedente l'asilo e si è rimboccato subito le maniche. «Ho cercato lavoro e dopo qualche tempo una ditta attiva nell'impiantistica mi ha assunto e ho così potuto svolgere quattro anni di apprendistato ottenendo buoni risultati. Trascorsi i quattro anni, l'azienda mi ha dato fiducia attribuendomi un ruolo di responsabilità come capo di un gruppo di lavoratori», ricorda l'uomo che oggi è titolate di una società che lavora sempre nel settore dell'impiantistica e nella refrigerazione.
Gli amici lo chiamano lo 'svizzero nero'. Lui ci ride sopra ma ci tiene al rispetto delle regole e non vorrebbe che si tenda a ridimensionare la 'piccola' rapina che ha subito. Non tanto per i valore della catenella d'oro, quanto piuttosto, sostiene, «perché la libertà e la democrazia sono principi che vanno coltivati ogni giorno, ognuno di noi nella sua quotidianità. I vostri genitori e antenati hanno lottato e sofferto molto per le conquiste che oggi tendiamo a considerare scontate. Per questo ci tengo a essere io l'esempio di persona straniera che arriva in Svizzera, non l'uomo che mi ha aggredito».
La storia che la vittima ci ha raccontato nella pausa ha surclassato la vicenda penale e il processo che si è concluso dopo un breve dibattimento condotto dal giudice e con le parti che hanno ratificato l'accordo sulla pena nei confronti dell'imputato. Sia il giudice che l'avvocato Fabrizio Colucci e il procuratore pubblico capo, responsabile dell'antenna di Bellinzona Arturo Garzoni hanno considerato la condanna giusta.