Storia di Azad, espulso tre anni fa dalla Svizzera dopo quindici anni, e di Ida, che si è innamorata di lui e ha coronato il suo sogno facendolo rientrare
«Amore, svegliati, prepara la valigia!». È arrivata lo scorso agosto ad Azad Mohammed la chiamata che ha cambiato la vita al 38enne curdo. Al telefono, Ida Mohammed Schipani, che circa un anno e mezzo prima era diventata sua moglie. Era appena arrivata la notizia a lungo attesa: l'autorizzazione al rientro in Svizzera. Della vicenda avevamo già riferito nel 2017: Azad, a soli 20 anni e dopo un viaggio di fortuna fra Turchia, Grecia e Italia, era giunto in Svizzera nel 2001. Satabilitosi a Tesserete, ha vissuto in Ticino per 15 anni lavorando per 11 come lavapiatti, finché non è arrivato il mancato rinnovo del permesso B e l’ordine di espulsione. Nonostante la mobilitazione di amici e conoscenti, che inviarono a Palazzo delle Orsoline una petizione sottoscritta da 166 persone, Azad ha dovuto comunque lasciare il Paese. Allontandosi anche dall’amore di Ida. Oggi i due ci raccontano della propria Odissea e del rientro in Svizzera dell’uomo.
Il precedente articolo risale a febbraio 2017. L’espulsione è avvenuta subito?
Azad: No, a luglio dello stesso anno.
Ida: Intanto noi ci siamo conosciuti a maggio e a giugno ci siamo messi assieme. Non volevamo separarci. Abbiamo quindi cercato di fare di tutto per restare assieme: abbiamo cercato di capire se vi fosse la possibilità che restasse in un centro per richiedenti l’asilo in Italia vicino al confine e successivamente se fosse possibile il ricongiungimento familiare con un cugino che abita in Germania. Purtroppo nessuna delle due varianti è stata fattibile: essendo stato espulso dalla Svizzera, non poteva restare in nessun Paese che ha sottoscritto gli accordi di Dublino. Rifiutando il rimpatrio, è rimasto in Germania sei mesi. Abbiamo sempre mantenuto il contatto tramite Whatsapp, Facebook, finché a febbraio 2018 i contatti si sono interrotti.
Come mai?
Ida: Sono andata in Germania a cercarlo ma nessuno sapeva dirmi nulla, finché lui è riuscito a contattarmi: si trovata nel penitenziario a regime aperto di Realta (Grigioni, ndr), che funge da carcere amministrativo per i rimpatri. È stato portato lì nell’ambito della procedura take-back prevista dagli accordi di Dublino. Lì è rimasto fino a settembre 2018. Andavo tutte le settimane a trovarlo. Abbiamo cercato il modo di restare assieme e avremmo voluto sposarci in Svizzera. Siamo anche stati intervistati dalla polizia, con due interrogatori separati. Tante domande per testare la nostra relazione. Tuttavia per questioni di documenti non era possibile: Azad aveva il passaporto iracheno scaduto e siccome aveva ricevuto l’ordine di espulsione l’ambasciata non glie l'aveva rinnovato.
Cos’è successo quindi?
Ida: Ha dovuto lasciare il Paese. A settembre 2018 gli hanno permesso di venire da me a Balerna in attesa di ottenere il lasciapassare per il rientro nel Kurdistan iracheno. In quel periodo abbiamo convissuto, ha conosciuto i miei genitori: hanno capito che è una brava persona, lo hanno accettato. Mio padre inoltre un giorno gli ha fatto fare una prova, andata bene, per il lavoro di giardiniere (e infatti Azad non appena otterrà il permesso B lavorerà per il padre di Ida, ndr). Infine, tramite la Croce Rossa è stato organizzato il viaggio di rientro e a novembre è partito per il Kurdistan.
Com'è stato il rientro in Iraq?
Azad: Non vedevo i miei genitori da quasi 18 anni. È stato davvero emozionante. Hanno faticato a riconoscermi. Sono partito ragazzo e sono tornato uomo. E anche il Paese è molto cambiato. Nel 2000 al potere c’era ancora Saddam Hussein. Poi c’è stata la guerra, la ricostruzione. Oggi è tutto diverso. Era diventato un Paese straniero per me, non era più casa mia. Quando sono arrivato a Dohuk (la città d’origine, ndr) ho dovuto chiamare mio padre per farmi venire a prendere perché non riuscivo più a ritrovare la strada per casa. Ho faticato a riambientarmi anche perché molti amici che avevo non c’erano più o avevamo perso i contatti.
A gennio 2019 il matrimonio. Come mai?
Ida: Era l’unico modo per ricongiungerci. Desideravamo stare assieme. Sono stati mesi molto duri, ho pianto tanto, mi mancava. Per fortuna con Whatsapp facevamo le videochiamate tutti i giorni, anche più volte al giorno. Però la mancanza di un bacio o un abbraccio c’è stata.
La tua famiglia che cosa ha detto?
Ida: Inizialmente non era molto d’accordo che io andassi in Iraq. Mi dicevano di fare attenzione, che il Paese non ero sicuro. Avevano un po’ di pregiudizi, però a 38 anni ero grande abbastanza per fare le mie scelte. Sono partita comunicando la mia decisione solo all’ultimo e solo a mia madre e a una zia. E non sapevano che stessi partendo per sposarmi (sorride, ndr). Comunque la mia famiglia lo ha conosciuto e hanno capito, al ritorno mi hanno detto: ’l'importante è che vi vogliate bene’.
E l’impatto con la famiglia e il Paese di Azad invece come sono stati?
Ida: La sua famiglia mia ha accolta molto bene, ci hanno aiutato a fare i documenti necessari. Non parlando la lingua non capivo tutto alla perfezione, Azad mi ha fatto da interprete. Ma mi andava bene così: l’importante era sposarci. Siamo poi andati dal giudice per la cerimonia civile. Lì la donna deve essere rappresentata da un uomo: il padre o un altro familiare, generalmente. Siccome ero sola, il mio rappresentante era il giudice stesso. Qualche giorno dopo il matrimonio abbiamo fatto una festa a casa di suo fratello.
Azad: Avevo il timore che mi stesse facendo delle proposte che non avrebbe poi onorato, avevo sentito storie simili. Ma poi ho capito che avrebbe mantenuto la parola data e che è davvero innamorata. È stata una grande prova d’amore.
Ida: Finora non c’è stato il tempo, ma vorremmo organizzare una cerimonia simbolica anche qui.
Da allora però è passato ancora molto fino al 19 settembre, quando Azad è rientrato.
Ida: Sì, c’è stato un iter burocratico molto articolato. Ho dovuto far registrare il matrimonio in Svizzera, un procedimento lungo. Una volta registrato ho richiesto il certificato di famiglia da consegnare all’Ufficio della migrazione di Bellinzona per richiedere il ricongiungimento familiare. Ho dovuto presentare tanti documenti legati all’affitto, alla cassa malati, al contratto di lavoro per lui.
Azad: Io intanto sono dovuto andare in Giordania, perché in Iraq non esiste l’ambasciata svizzera.
Poi ad agosto è arrivata la bella notizia.
Ida: Ad agosto del 2019 sono tornata a trovarlo perché mi mancava. Ad agosto di quest’anno invece sono andata in Calabria, dove abitano i miei anziani nonni: visto il contesto desideravo vederli, finché sono in vita. E proprio il giorno prima di partire è arrivata la lettera relativa all’autorizzazione all’entrata in Svizzera. È stata un’emozione unica: ho riso e pianto allo stesso tempo. L’ho chiamato subito: amore, svegliati, prepara la valigia!
Un ritorno in piena pandemia...
Azad: Sì. Abbiamo dovuto richiedere il visto sempre in Giordania. Poi, siccome l’aeroporto di Erbil era chiuso sono andato fino a Diyarbakir (in Turchia, ndr) e da lì ho preso un volo fino a Istanbulm, dove sono rimasto due giorni con mio fratello e mio cognato: mi hanno fatto il tampone che è risultato negativo e ho preso l’aereo per Zurigo. In Ticino ho poi rispettato una quarantena preventiva di dieci giorni. Spero di poter andare presto a Tesserete, a rivedere anche gli amici. Con alcuni sono rimasto in contatto in questi anni.
Non pensate che la vostra storia possa essere letta come un matrimonio finto?
Ida: Sicuramente c’è chi penserà che sono stata abbindolata per i documenti, ma io sono sicura di quel che faccio. Sì, ci saranno sicuramente dei casi finti, ma sono certa che l’Ufficio della migrazione valuti attentamente tutte le situazioni. Il nostro è amore vero. Quando una coppia si ama veramente, non importano i documenti e le distanze: l’amore vince sempre.