Il sindaco lamenta poco dialogo con il governo sul rientro in aula, ma assicura che non ci sono dissidi all'interno della Lega.
«Io e il Municipio di Lugano sappiamo dove stiamo di casa. Se la guardiamo in termini più squisitamente politici, mi pare che anche la Lega, in parte almeno, abbia assunto una posizione. Ora bisognerebbe chiedere ai Consiglieri di Stato quali siano le loro ragioni, e io posso benissimo dirle che magari non le condivido». Non lesina le critiche al governo il sindaco di Lugano Marco Borradori, dopo quelle mosse ieri al piano di rientro scolastico presentato dal Dipartimento della scuola, dell’educazione e dello sport (Decs).
Nel comunicato della città le contestazioni sono molte: la difficoltà di garantire la presenza in aula a classi dimezzate e al contempo i servizi di accudimento, la sospensione dei servizi di mensa che costringerebbe i genitori al vai-e-vieni per ritirare i figli e riportarli a scuola, il rischio igienico legato a trasporti pubblici che inevitabilmente si ‘ripopolerebbero’ e le uscite cadenzate che sottrarrebbero tempo all’insegnamento. Si ripropone così quel contrasto che vide le ‘ribelli’ Lugano e Locarno sfidare il governo e il direttore del Decs Manuele Bertoli quando le scuole cercò di tenerle aperte, mentre i sindaci ne invocavano la chiusura.
Sindaco Borradori, quello che chiedete è di prevedere un rientro solo per le ultime classi delle scuole d’infanzia ed elementari. Ma così facendo non si renderebbe ancora più difficile l’accudimento dei figli di chi lavora?
La presenza di sole due classi consente di rispettare le misure di sicurezza in modo molto più facile, mentre l’accudimento potrebbe continuare a contare su più risorse, un po’ come avviene ora. A ciò si aggiunge la questione della mensa: il fatto di sospenderla costringe i genitori che lavorano a situazioni logistiche ingestibili. Infine c’è la questione dei trasporti pubblici: da territori distanti come la Val Colla o Carona si tratta di un servizio inevitabile, ma anche problematico dal punto di vista del rispetto delle norme igieniche. La preoccupazione principale è la salute dei bambini, ai quali di per sé è già difficile fare rispettare certe distanze e norme di profilassi.
I bambini però, oltre a contrarre la malattia di rado e con decorsi generalmente lievi, non sono considerati gravi veicoli di contagio. Una posizione che appare consolidata tra gli scienziati, dopo che in una prima fase la limitata conoscenza del virus aveva fatto temere il contrario.
Non mi permetterei mai di entrare in un ambito che non conosco, ma le opinioni mi paiono divise: ho letto Koch (il delegato Covid-19 dell’Ufficio federale di sanità pubblica, ndr) che sostiene quanto dice lei, ma anche il professor Massimo Galli (primario di malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, ndr) che invece ritiene che i bambini possano infettarsi eccome. Vale il principio della precauzione.
Ma non c’è il rischio che partendo ancor più a rilento ci si trovi a dover affrontare gli stessi problemi che comunque ci troviamo di fronte ora, senza la necessaria esperienza?
Beh, intanto avremmo tre mesi in più. Poi noi non diciamo di non riaprire, comprendo benissimo la necessità per i bambini di ritrovarsi e recuperare le relazioni con amici e insegnanti. Ma chiediamo di fare le cose meglio, e in modo più semplice: non con un’ordinanza di 9 pagine, con deroghe e controderoghe per quelli che di fatto sono solo 13 giorni di scuola per allievo.
La sua posizione l’ha messa in netta contrapposizione rispetto al Consiglio di Stato, la cui maggioranza relativa appartiene al suo stesso partito, la Lega. Perché lo strappo?
Non esageriamo. Quali che siano le scelte, in questi casi, è inevitabile che le opinioni si dividano. Ed è legittimo. Certo, per noi non è stato sempre facile dialogare col Consiglio di Stato sul tema delle riaperture.
Non teme però di additare i Consiglieri Norman Gobbi e Claudio Zali all’elettorato leghista come asserviti a Bertoli, e a quello che il Mattino chiama il ‘triciclo’ Ppd-Plr-Ps? A pensar male, si potrebbe ipotizzare che stia cercando di accreditarsi come guida dell’ala ‘movimentista’ della Lega. O che vi siano dissidi più profondi sulla direzione da dare a un partito rimasto privo dei suoi ‘nocchieri’ storici.
Le assicuro che non è proprio questa la mia intenzione. In un’emergenza come questa ci possono essere opinioni divergenti. Io mi attengo alla linea della cautela di fronte a un virus sempre un passo davanti a noi. Per il resto trovo che il governo abbia lavorato molto bene, facendo prevalere gli interessi del Cantone anche a Berna. Quindi nessuna volontà di rottura. Mi sono solo permesso di evidenziare alcuni aspetti che secondo me richiedevano un po’ più di prudenza.
Com’è andato il dialogo con Bellinzona?
Ci sono state due videoconferenze con una decina di comuni, non so quanti altri siano stati consultati. Abbiamo dialogato con lo Stato maggiore cantonale di condotta e abbiamo fatto presente che avendo seduta solo giovedì mattina, avremmo potuto comunicare la nostra presa di posizione solo in tarda mattinata. Ci è stato detto che andava bene, ma quasi in contemporanea all’invio della nostra presa di posizione è uscita l’ordinanza del Consiglio di Stato. Una consultazione un pochino zoppa, tanto più che Lugano è pur sempre una città con 3'700 piccoli allievi e 50 sedi dagli asili alle elementari.
Alcuni critici sostengono che la contrapposizione dei sindaci di Lugano e Locarno al Decs sia nata come megafono per una campagna elettorale non ancora sospesa, e poi sia continuata per motivi di visibilità. Cosa risponde?
Noi non abbiamo mai cercato uno scontro. Abbiamo cercato di coalizzarci anche con Mendrisio e Bellizona, anche se poi per vari motivi – in primis le tempistiche molto ristrette – la cosa non è andata in porto. Non si tratta dunque di manie di protagonismo, ma della necessità di far sentire la nostra voce, la voce di chi il territorio lo conosce e lo vive più da vicino.