Luganese

Lugano, se l'Aeroporto fallisce, la Città potrebbe pagare

Vincessero i referendisti, le ditte attive allo scalo potrebbero fare causa alla detentrice della concessione

Aeroporto al tramonto? (Ti-Press)
13 febbraio 2020
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Come ha fatto Lugano Airport Sa (Lasa) presentando una causa di risarcimento danni alla Swiss che aveva delegato ad Adria la concessione federale per il volo di linea su Zurigo, così potrebbero muoversi le varie società attive all’aeroporto di Lugano-Agno nei confronti della Città di Lugano se dalle urne uscisse un esito favorevole ai due referendum. Questa ipotesi non è solo un argomento in mano a chi lo scalo luganese lo vuole salvare. Sì, perché la concessione federale è in mano alla Città che l’ha delegata a Lasa, società pubblica che opera ad Agno, dove sono attive diverse società, fra le quali citiamo solo la francese Dassault Aviation che ha acquisito dalla Confederazione gli stabilimenti Ruag degli aeroporti di Ginevra e Lugano. Anche di fronte all’esito di un voto popolare, la responsabilità è della concessionaria – la Città di Lugano –, che potrebbe ricevere una serie di richieste di risarcimento.

Licenziati anche i manager dell'Aeroporto

Questa ipotesi non vuole commentarla il direttore dell’aeroporto Maurizio Merlo che tiene però a sgombrare il campo dagli equivoci: «Anche io e gli altri membri di direzione, abbiamo ricevuto la disdetta come tutti gli altri dipendenti di Lugano Airport Sa». Il direttore vuole smentire alcune voci che circolano con insistenza secondo cui il management di Lasa sarebbe stato escluso dal provvedimento cautelativo adottato dal Consiglio di amministrazione. L’avvicinarsi della data della votazione sul doppio referendum, indetta a sole tre settimane delle elezioni comunali, sta generando una serie di prese di posizione che alimentano confusione perché la campagna sull’aeroporto si sovrappone a quella elettorale.

Le lettere di disdetta e il referendum

In merito alle lettere di licenziamento, «le disdette sono da considerare nulle, come se non fossero mai state inviate, nel caso in cui i due referendum contro i crediti stanziati dalla Città e dal Cantone venissero bocciati dalla maggioranza della popolazione ticinese e luganese il 26 aprile. Questa è stata la volontà e la decisione del Cda di Lasa che ha inserito la clausola nelle lettere di disdetta», precisa il direttore dello scalo luganese.

Chiaro che, prosegue il direttore dell’aeroporto, «i dipendenti quando leggono gli argomenti dei referendisti si sentono frustrati. Fa davvero male sentire commenti e prese di posizione critiche, spesso senza cognizione di causa. E non stanno vivendo bene questo periodo di avvicinamento al voto. Il dibattito pare centrato unicamente sui costi mentre dovrebbe essere considerato l’indotto generato dallo scalo e i crediti stanziati come un investimento. Eppure, non a torto, si chiedono quante aziende pubbliche o parapubbliche (basti ricordare le polemiche su Rsi, Officine e Navigazione) potrebbero continuare a sopravvivere senza alcun contributo pubblico?». 

Nullità giuridica dei licenziamenti?

Torniamo sulla nullità giuridica della disdetta cautelativa, come scritto su tio.ch ciò che conta, anche nell’eventualità di una contestazione di fronte al pretore, è quello che sta scritto sulle lettere ai dipendenti. In altre parole, ribadisce il sindacalista Ocst Lorenzo Jelmini, «nel caso di esito positivo dei due referendum al voto, questa disdetta è da considerarsi nulla e non avvenuta. Come d’altra parte può capitare in qualsiasi altro contratto di lavoro in cui si possono inserire clausole che indicano l’inizio e la fine del rapporto di lavoro. Anzi, succede abbastanza spesso che un datore per varie ragioni dettate da problemi e difficoltà presenti ai suoi dipendenti lettere di disdetta di questo genere». Nulla di cui scandalizzarsi, come fanno invece i promotori del referendum (vedi qui sotto), da questo punto di vista, agli occhi di Jelmini, «le accuse di ricatto sono da respingere al mittente».

‘La disdetta? Una cinica porcata’

Non usa mezzi termini l’Mps nel presentare l’interpellanza al Consiglio di Stato su quello che considera un licenziamento collettivo a tutti gli effetti in spregio ai relativi obblighi legali. E il movimento parla di un annuncio che ha “logica ricattatoria” nel porre le dieci domande al governo. I tre deputati del movimento (Simona Arigoni, Angelica Lepori, Matteo Pronzini) citano gli articoli 335 e 336 del Codice delle obbligazioni (Co). Dapprima chiedono se corrisponde al vero che la decisione di licenziare tutto il personale Lasa sia stata presa dal Cda con decisione unanime da parte di tutti i rappresentanti dei partiti del governo e dell’esecutivo.  

Poi, chiedono conferme: anzitutto vogliono sapere se i licenziamenti effettuati si configurano come un licenziamento collettivo ai sensi dell’articolo 335d del Co (almeno 10 licenziamenti in stabilimenti che occupano tra 20 e 100 dipendenti entro un termine di 30 giorni). L’interpellanza chiede pure se il datore di lavoro abbia seguito la procedura indicata dalla legge, ossia la consultazione della rappresentanza dei lavoratori per dare loro almeno la possibilità di formulare proposte per evitare o ridurre i licenziamenti nonché attenuarne le conseguenze, e informare l’ufficio cantonale del lavoro di questo previsto licenziamento collettivo.