Si è concluso con la condanna rispettivamente a quattro anni e mezzo e ventun mesi il processo a carico di due ladri seriali di 23 e 26 anni
Un incendio «brutto», appiccato per motivi «inaccettabili». Ma semplice, senza l'aggravante dell'intenzionalità: «L'imputato sapeva che sarebbero intervenute le guardie carcerarie, in quanto si era attivato l'allarme anti-incendio», ha detto il presidente della Corte della assise criminali Marco Villa. Si è concluso infatti il processo a carico del 23enne algerino che nel dicembre dell'anno scorso scatenò un incendio nella propria cella alla Farera – dove si trovava da poco più di un mese per una serie di furti –, con l'obiettivo di evadere una volta ricoverato in ospedale. Il giovane è stato condannato in totale a quattro anni e mezzo: tre anni per i furti commessi in Ticino e Grigioni nel giro di tre giorni e per reati minori e un anno e mezzo per reati legati all'episodio dell'incendio.
Condannato anche l'altro imputato, un 26enne marocchino, corresponsabile dei furti nella Svizzera italiana. La Corte non ha tuttavia ravvisato l'aggravante della banda: «È necessario essere più di due e con un'organizzazione degna di tale nome». I due sono invece stati entrambi prosciolti dai furti loro imputati in Romandia, basandosi sul principio dell'in dubio pro reo: in casi dubbi, senza prove certe, la giustizia segue le dichiarazioni degli imputati alfine di evitare la condanna di un innocente. Il 26enne è stato condannato a ventun mesi di detenzione e a una pena pecuniaria di 550 franchi complessivi. La procuratrice pubblica Margherita Lanzillo ha chiesto ieri, ricordiamo, sei anni per il 23enne e trenta mesi per il complice.
I due saranno entrambi espulsi, ma non per quindici anni – il massimo – come chiesto dalla pp, bensì: dodici anni il 23enne e dieci il 26enne. La particolarità è che la Corte ha deciso di inserirli entrambi nel Sistema d'informazione di Schengen (Sis): in tal modo i due saranno espulsi non solo dalla Svizzera, ma da tutti i Paesi che hanno sottoscritto i trattati di Schengen. Una misura corretta secondo la Corte, «visti i loro precedenti in diversi Paesi europei».