No a una fase transitoria di 5 anni, chiesta una durata senza limiti di tempo. Al vaglio anche il lancio di un'iniziativa per modificare la Legge ospedaliera cantonale
In una lettera inviata in settimana al Consiglio di Stato – che un mese fa si è proposto come mediatore fra Ente ospedaliero e Cardiocentro – il vertice di quest'ultimo ha risposto picche alla proposta governativa di fissare una fase transitoria di 5 anni al termine della quale il cosiddetto ospedale del cuore confluirebbe nell'Eoc in ossequio a quanto fissato nel 1995 quando fu costituita la Fondazione che ha poi realizzato la struttura accanto al Civico di Lugano. Lo rivela oggi il 'Caffè'.
La fase di transizione – ricorda il domenicale – concederebbe autonomia clinica, gestionale e amministrativa, ma non finanziaria visto quanto stabilisce lo statuto di fondazione, e cioè che dal 2021 tutto il patrimonio del Cardiocentro dovrà confluire nell’Ente ospedaliero. Cinque anni che in precedenza il direttore sanitario della struttura, Tiziano Moccetti, a titolo personale aveva già giudicato negativamente, parlando di "un piatto di lenticchie". La lettera inviata a Bellinzona è ora sottoscritta da Moccetti e dal presidente della Fondazione Cardiocentro Giorgio Giudici. La lettera va oltre i 15 anni di transizione chiesti in aprile dal Cardiocentro: per quanto riguarda le condizioni di impiego del personale ora si parla di “durata indeterminata e senza limiti di tempo”. Il Consiglio di Fondazione mira a “un istituto indipendente sia dal profilo clinico che da quello amministrativo, con ciò intendendo anche gestionale e non evidentemente subordinato alla direzione dell'Ente ospedaliero. E un’indipendenza gestionale non può astrarre da un’indipendenza finanziaria. Da qui la nostra proposta di un business plan rinnovabile ogni cinque anni".
Il 'Caffè' scrive pure che i vertici della struttura sanitaria luganese stanno approntando un piano B, ossia il lancio di un’iniziativa per modificare la Legge ospedaliera cantonale (Leoc), e meglio gli articoli che oggi non permettono uno stretto matrimonio tra pubblico e privato. Quegli articoli che la maggioranza dei ticinesi, nel giugno 2016, volle mantenere in vita.