In esclusiva con ‘laRegione’ parla l’imprenditore, promotore di progetti in Alta Vallemaggia, arrestato nel giugno del ’23 e ancora sotto inchiesta
«Ho sempre investito ogni centesimo sul territorio. Quel che mi ha ucciso è la burocrazia. Lì sì che posso rimproverarmi qualcosa. Quando girano certe cifre ci vuole un contabile, un segretariato serio; il volontariato non basta più. Lo ammetto: non sono mai andato d’accordo con le carte. Sono stato leggero e probabilmente anche pasticcione, ma mai disonesto».
Per la prima volta dopo il suo arresto, avvenuto un anno e mezzo fa, parla Giacomo Fiori, l’imprenditore valmaggese promotore – attraverso l’Associazione Pro Brontallo, la Fondazione Monti e Paesaggio, l’Associazione “Vallemaggia è viva” e la Fondazione Lavizzara – di una miriade di progetti legati alla valorizzazione del territorio e dell’economia locale in Alta Vallemaggia. Fiori, difeso dall’avvocato Roberta Soldati, è accusato di amministrazione infedele e truffa per mestiere (oltre che di infrazione alla Legge federale sulle armi) per presunte malversazioni nella gestione dei fondi raccolti tramite una società con sede nel Canton Lucerna, la Alnovis Ag, il cui amministratore (come altre tre persone) è pure finito sotto inchiesta.
La vicenda ha gettato una luce sulle modalità di reperimento di ingenti fondi, fra privati e fondazioni in tutta la Svizzera, a favore delle zone periferiche. Ma, come spiega lo stesso Fiori, forma e sostanza non sempre vanno d’accordo. E quando si scontrano, il suono può essere quello metallico delle manette che si chiudono.
Il 6 giugno 2023 è un martedì. A Cevio, nell’Azienda forestale della Comunità dei Patriziati di Vallemaggia (la Copavam) arriva la polizia e immediatamente si dirige negli uffici. Fiori, da oltre 20 anni a capo della stessa Azienda, è sul posto e osserva l’andirivieni degli inquirenti. «Non capivo cosa volessero, mi hanno solo avvisato che ne avrebbero avuto per tutto il giorno perché c’erano diverse verifiche da fare. L’Associazione “Vallemaggia è viva” – che opera in un ufficietto all’interno dell’Azienda forestale – da circa due mesi si era dotata di una segretaria, assunta per fare finalmente un po’ d’ordine nell’amministrazione». Un po’, ma ancora non del tutto.
Agli inquirenti apparivano come le prime conferme di quanto ipotizzato dal Municipio di Lavizzara, autore, un anno e mezzo prima, di una segnalazione al Ministero pubblico per presunta truffa. L’imprenditore veniva accusato di raccogliere fondi per finanziare un progetto di ripari valangari che in realtà era già economicamente coperto (versione, questa, poi contestata dal diretto interessato).
«Il giorno del fermo mi hanno tenuto in Gendarmeria a Locarno fino alle 23.30, poi è arrivata la procuratrice contestando il giro di soldi attorno ai vari progetti che stavamo gestendo. Sosteneva fosse necessario “verificare più dettagliatamente”, perciò dovevano trattenermi. Così mi hanno infilato in una specie di cuccia del cane per trasferirmi, in stato di arresto, alle Pretoriali di Mendrisio, dove sono stato trattato come un delinquente. Il giorno successivo mi hanno portato alla Farera, dove per 8 giorni non ho più avuto nessuna possibilità di comunicare con l’esterno: né con i familiari, né con l’avvocato». Racconta Fiori che «all’inizio potevo parlare soltanto con il compagno di cella, un rumeno che è poi risultato essere coinvolto in diverse rapine, e che a un certo punto è stato trasferito. Poi è arrivato un altro compagno, che fumava in continuazione, anche di notte, impedendomi di respirare. Infine, ho ottenuto di stare in una cella singola».
Il periodo di carcerazione preventiva è durato 39 giorni «ed è stato molto complicato – annota l’imprenditore – innanzitutto perché non capivo come mai ero dentro, ritenuto che non ho mai assolutamente tenuto nulla per me; anzi, non ho mai nemmeno fatturato nulla per il lavoro che facevo a favore dell’Associazione “Vallemaggia è viva”».
La segnalazione del Municipio sfociata nell’indagine giungeva oltretutto dopo che la Fondazione Lavizzara (finanziata dall’Associazione “Vallemaggia è viva”) aveva promesso proprio al Comune 4’000 franchi al mese, per 10 mesi, per sostenere il Centro internazionale di scultura di Peccia. «Ma siamo riusciti a pagare solo 2 mesi, visto che dopo il mio arresto si è bloccato tutto».
Il “tutto” cui si riferisce Giacomo Fiori è la prosecuzione di un insieme di iniziative portate avanti fin dalla metà degli anni 90 partendo da Brontallo, soprattutto facendo capo alla Alnovis Ag di Lucerna, società specializzata nella raccolta fondi, il cui ruolo è stato fondamentale. «I progetti proposti e sostenuti sono stati molti e alcuni anche parecchio costosi. Per questo cercavamo finanziatori facoltosi. Fra gli ultimi progetti c’erano le due case a Brontallo per portare famiglie a vivere in valle; le case erano state ideate con la Fondazione Monti e Paesaggio, che ha sede proprio in paese. Essendomi trovato nell’impossibilità di fare alcunché, tutto si è però purtroppo bloccato, anche perché chi collaborava con me si è spaventato».
Un’altra idea da realizzare a Brontallo è il lift sotterraneo che partiva da sotto, in corrispondenza di un parcheggio, per evitare di intasare il paese: «Si tratta di un progetto da 7 milioni di franchi che era stato proposto all’Ente regionale di sviluppo nell’ambito del Masterplan Alta Vallemaggia. Avremmo potuto raccogliere importanti contributi, ma bisognava trovare altri 3 milioni circa. Sono tanti, ma io so come muovermi. O almeno lo sapevo, fino al giorno dell’arresto…».
Agli inizi, ricorda Fiori, «avevo provato ad arrangiarmi da solo, ma era complicato. Così nel ’97 ho proposto una collaborazione alla Alnovis, che allora si occupava solo di raccolte fondi per sistemare le chiese (e infatti si era mossa anche per quella di Brontallo). Avevo detto loro che ben oltre le chiese, lì da noi, c’era tutto un territorio da sistemare e da promuovere. Così hanno cominciato a mandar fuori le buste, 100mila in tutta la Svizzera, che tra spese postali e altro costavano quasi 200mila franchi. Ma non ci chiedevano di saldare tutto subito: erano disposti a rientrare in seguito, lasciando a noi una parte dei fondi raccolti, affinché li utilizzassimo sul territorio».
Degno di nota quanto successo nel 2003, con l’avallo di Berna alla partecipazione della Pro Brontallo (che proprio in quell’occasione avrebbe appositamente costituito la Fondazione Monti e Paesaggio) al progetto pilota nazionale nel settore agricolo per i comparti in zone discoste: «Con la segretaria della Pro abbiamo fatto un piccolo miracolo preparando il dossier in pochissimo tempo e venendo selezionati unitamente a Saint-Martin, in Vallese. Il nostro preventivo era di 5,5 milioni di franchi, di cui 3 garantiti da sussidi cantonali e federali. Per coprire il resto la Alnovis ci aveva proposto una pubblicazione esplicativa, ben fatta, con tutte le spiegazioni dei singoli progetti. Parallelamente, per perorare la nostra causa era necessario recarsi spesso in Svizzera interna per confrontarsi – io e la segretaria, che sa il tedesco – con i possibili finanziatori. Tutte le spese di trasferta andavano a carico della mia famiglia. Insomma, alla fine il progetto pilota si è ingrandito fino a costare 8 milioni, che siamo comunque riusciti a finanziare fino all’ultimo centesimo».
Visto che il metodo del giornale funzionava, prosegue Fiori, «abbiamo continuato a farlo uscire, sempre aggiornandolo e migliorandolo. Bisogna dire che per realizzare diversi progetti i contributi federali e cantonali non erano sufficienti e v’erano dei costi residui, anche per la futura manutenzione. I vari enti pubblici (Patriziati e Parrocchie) non hanno la forza finanziaria per coprirli, per cui era (ed è) necessario far capo a raccolte fondi».
Oggi, precisa Fiori, «con i vari progetti diamo lavoro a 5-6 persone, di cui due e mezzo nel ristorante e una che gestisce vigneti e alambicco. Il tutto solo a Brontallo. Era naturale che cominciassimo a guardare anche al resto della Lavizzara, proponendo e finanziando diversi altri progetti. Alcuni funzionano bene, altri un po’ meno: l’errore che ho commesso, e che mi è stato prontamente contestato, è aver utilizzato i soldi destinati a certe opere per coprire gli scoperti di altre. Ma nessuno dei donatori ha mai avuto da ridire perché l’importante era che portassimo avanti i progetti. Tramite il foglio informativo che veniva loro inviato ogni anno, essi erano sempre al corrente dell’avanzamento dei lavori per i quali avevano donato il loro denaro; alcuni sono venuti personalmente a vedere progetti e relativi conti».
Un altro aspetto ritenuto sensibile è quello del pre-finanziamento: «Per poter iniziare nuovi progetti era fondamentale presentarsi dai finanziatori con qualcosa di concreto, di visibile. Per questo la Alnovis era disposta a farsi pagare le spese di promozione solo dopo: potevamo usare subito i soldi raccolti e solo dopo saldare».
Quanto al coinvolgimento dell’Azienda forestale, che Fiori dirige dal 2002, «ciò che mi ha dato un enorme fastidio nel “battage” mediatico sono state le false notizie televisive diffuse a un certo punto riguardo a presunte malversazioni. Per smentirle era stato convenuto con la procuratrice pubblica – quindi con l’avallo della Procura – di diramare un comunicato in cui veniva sottolineato che l’Azienda ha sempre operato nella totale trasparenza e correttezza, e nell’esclusivo interesse della valle, dei suoi abitanti e delle amministrazioni patriziali. Ricordo che i vari progetti hanno permesso di dare lavoro all’Azienda e con essa ai dipendenti residenti in valle. Purtroppo quel comunicato, che per me era molto importante, è passato quasi in sordina e oltretutto chi aveva diffuso le false notizie non si è degnato né di riprenderlo, né di scusarsi. Una grossa delusione».
Per Giacomo Fiori rimane pendente un’accusa che, dice, «ha stravolto la vita a me e alla mia famiglia». A tre anni dalla segnalazione del Municipio e a un anno e mezzo dall’arresto, l’imprenditore è in attesa di una decisione del Ministero pubblico su un eventuale rinvio a giudizio.