Solide indicazioni emergono dalla ricerca storico-tecnica realizzata per conto della Città di Locarno dall’architetto Chiara Lumia
- La scoperta ha preso forma negli ultimi tempi, approfondendo gli studi già avviati
- Il patrimonio archeologico del Castello è grande e meriterebbe di essere maggiormente valorizzato
Il Castello di Locarno potrebbe avere un secondo rivellino oltre a quello che Marino Viganò ha permesso di attribuire a Leonardo. La suggestiva ipotesi emerge dalla ricerca storico-tecnica realizzata tra il 2018 e il ’19 dall’architetto Chiara Lumia per conto del Comune di Locarno. Ricerca che sarebbe servita come base di conoscenza per i partecipanti al concorso per la valorizzazione e il restauro del Castello di Locarno; concorso, poi vinto, nel 2021, dal progetto “Pivot” della comunità di lavoro Sanchez Garcia Architetti e Krausbeck Santagostino Margarido di Salorino.
«La scoperta ha preso forma negli ultimi tempi, approfondendo gli studi già avviati – dichiara Chiara Lumia a ‘laRegione’–. Ora credo che sia giunto il momento di parlarne apertamente. Anche perché il patrimonio archeologico del Castello è davvero molto grande e importante e meriterebbe di essere valorizzato».
Il nutritissimo curriculum di Chiara Lumia indica gli stretti legami fra l’architetto, Locarno e il suo patrimonio storico. Nel 2013 era stata incaricata di una collaborazione scientifica per la stesura di un programma di massima per lo studio e la conservazione del Castello; dopo di allora l’interesse verso il Castello non è mai venuto meno e ha trovato via di sbocco in diverse tesi di laurea degli studenti del corso di laurea in Conservazione della Supsi, di cui è stata relatrice, e in alcune pubblicazioni. Tra il 2014 e il 2016 ha curato il restauro delle facciate del Palacinema, seguendone l’intero iter, dalle ricerche preliminari, al capitolato d’appalto, alla direzione del cantiere. Nel ’18-19 aveva appunto realizzato la ricerca storico-tecnica riguardante il complesso castellano e quest’anno ha curato la mostra “L’arte del restauro. Edoardo Berta al Castello di Locarno”, che attualmente è esposta al Castello stesso.
Architetto, quando parla di un secondo possibile rivellino a cosa si riferisce esattamente e cosa le fa credere che ci potremmo trovare di fronte a un altro bastione difensivo?
Mi riferisco a uno sperone triangolare innestato sulla cinta muraria dell’antica Rocca, parzialmente scavata e studiata da Berta e dalla Commissione federale negli anni Venti-Trenta del Novecento. In quel momento però non si riesce a identificarne la funzione. Recentemente, riguardando il manufatto stesso, i rilievi che ne sono stati fatti e le fotografie degli scavi, mi sono resa conto che le sue caratteristiche architettoniche sembrano corrispondere a quelle di un rivellino: un possibile secondo rivellino del Castello di Locarno. Un manufatto del genere si distingue infatti da tutto il resto delle strutture difensive del Castello, salvo il rivellino leonardesco che già conosciamo e che ha una forma analoga. Un rivellino può avere forma triangolare o pentagonale ed è un bastione che veniva costruito per rendere più efficienti le difese di una fortezza contro l’artiglieria. Rappresenta tutto un altro sistema di difesa rispetto a quella piombante (ovverosia il sistema che permetteva di gettare pietre, pece o altro sui nemici che tentavano di scalare le mura difensive) utilizzata per i castelli costruiti in precedenza.
Cos’altro avvicina lo sperone a un rivellino?
Per esempio le feritoie, che sembrano a doppia strombatura per facilitare il fuoco della moschetteria; è ancora da verificare, ma potrebbero esserci anche delle aperture specifiche per il fuoco dei cannoni. Quando, in corso di ricerca, mi sono occupata di questo elemento architettonico, dovevo rispettare precisi limiti, ero già andata molto oltre rispetto al necessario, il tempo stringeva e a malincuore avevo dovuto fermarmi. Nella ricerca ho rintracciato alcune fotografie e un rilievo, ma dai documenti risulta che ce ne dovrebbero essere altri. Il problema è che tali rilievi non si trovano né a Bellinzona, né a Berna. Potrebbero forse essere in un settore dell’archivio di Locarno, che però al momento non è possibile consultare perché in riordino.
Per diversi anni ha “covato” la sua ipotesi senza mai uscire allo scoperto. Perché?
In realtà della presenza di questo bastione ho dato ampiamente conto all’interno della ricerca, ma non l’ho definito apertamente come un possibile secondo rivellino, né tantomeno se ne parla in questi termini nella mostra permanente di cui mi è stata affidata la curatela al Castello; sarebbe stato fuori luogo. Diciamo che ho voluto pensarci bene; l’occasione giusta è arrivata con l’invito da parte dell’Associazione Cristiano Castelletti (a cui sono molto grata) a tenere una conferenza pubblica sul patrimonio archeologico del Castello.
Nel corso dei saggi di scavo per il restauro condotti a partire dal 1922 da Edoardo Berta non ci si era interessati soltanto all’edificio esistente, ma all’intero complesso castellano, ricercando le vestigia delle strutture demolite nel 1531-32. Cent’anni fa si era capito che quello sperone rappresentava qualcosa di importante, ma per varie ragioni non si era potuto andare oltre, anche perché poi il Berta era deceduto e nessuno era in grado di proseguire su quella traccia. La Commissione federale ci aveva provato, ma a un certo punto si era fermata anche perché il cantiere era stato chiuso ed erano stati lasciati in sospeso molti lavori all’interno del Castello. Comunque l’ipotetico secondo rivellino è fra i pochi elementi che Berta, unitamente alla Commissione federale, aveva deciso a suo tempo di mantenere in vista, pur essendo su un terreno di proprietà privata. Questa speciale considerazione dimostra la grande importanza che gli era stata attribuita. Oggi risulta sotto il livello del terreno, chiuso in una sorta di gabbia di cemento, con una grata sopra.
Dove lo situiamo il secondo bastione difensivo?
In una zona che doveva essere difesa dal lato verso Cannobio. Ricordo che in occasione dell’assedio del 1503 gli Svizzeri arrivarono proprio da lì e abbiamo antica testimonianza di altre fortificazioni riprese o rinnovate per difendere quel lato.
Lei nella sua ricerca fa un parallelismo con i due rivellini del Castello di Milano.
Una riflessione sull’ipotesi più suggestiva, e cioè che siamo effettivamente di fronte a un secondo rivellino, non può non tenerne conto. Nei disegni cinquecenteschi del Castello Sforzesco di Milano che Marino Viganò ha pubblicato (‘Leonardo a Locarno’, Bellinzona, 2009) il primo bastione è pentagonale, verso la città, mentre l’altro, più piccolo, è triangolare, realizzato dalla parte opposta; entrambi sono collocati in modo da difendere le parti più vulnerabili del Castello. A Locarno il grande rivellino che tutti conosciamo doveva proteggere il lato della fortezza esposto verso il Piano di Magadino con una struttura all’avanguardia; forse il secondo rivellino, verosimilmente più piccolo, avrebbe dovuto fortificare la Rocca, esposta verso Cannobio. È quindi possibile che possa esserci un legame, anche considerando che la committenza sarebbe stata la stessa.
A quando risale?
Non lo sappiamo con precisione. Il primo pensiero va al periodo Francese (1499-1512), ma esiste documentazione del 1478 che attesta opere su quel lato, e un altro documento del 1495 ci parla di una “fortezza nuova” da costruirsi a Locarno; ma non sappiamo di cosa si tratti. La questione resta da approfondire.
Se vogliamo ancorare il secondo rivellino alle certezze riguardanti l’ampio complesso locarnese, come bisogna procedere?
Prima di tutto è necessario prendere piena consapevolezza del fatto che siamo di fronte a una struttura molto importante riguardo il complesso castellano. È altrettanto necessario e urgente metterlo in sicurezza: quando, alcuni anni fa, l’ho visto per l’ultima volta, le travi di ferro che sostengono la sua gabbia di cemento erano molto malmesse, al limite della loro resistenza. Dopodiché bisogna studiarlo, cioè approfondire la ricerca, andare a vedere in archivio a Locarno se si trova qualcosa, cercare meglio nei documenti dell’epoca in altri archivi. Poi lo studio continuerebbe sul posto, liberandolo dai detriti, tenendolo pulito, analizzando con grande attenzione quanto è in vista e, possibilmente, allargando lo scavo per capire cosa c’è di fianco (una porta della Rocca?), verificare se è ancora possibile scoprire la planimetria completa della struttura, di cui è stata scavata solo una minima parte. Le domande sono molte: c’era un fossato intorno? Era una struttura a più piani? E via così. Sarebbe necessario – e importante – fare una ricerca specifica.
Stando alla sua ricerca, lo stesso concetto della “maggioranza invisibile” (e cioè che gran parte di quanto è ancora presente non è messo nelle condizioni di venire individuato e apprezzato) si può applicare a tutto il complesso castellano.
In effetti una parte delle mura della Rocca e di altre parti del Castello sono lì, visibili, ma non c’è alcun cartello che lo indichi. Chi può sapere che le tante testimonianze sopravvissute facciano parte del complesso castellano? Pochi, di certo. Ci sono almeno due camminamenti sotterranei e un altro grande tema è quello della grande torre rotonda. Parliamo di una struttura colossale, di circa 15 metri di diametro, oggi ancora in parte esistente ma dimenticata fra case, giardini e fili per il bucato! Sappiamo che all’interno della grande torre rotonda c’è una scala discendente la cui parte visibile è ancora ben conservata, ma non sappiamo con certezza dove conduca anche perché vi sono discrepanze fra i rilievi di Rahn di fine Ottocento e quelli del 1940. Sappiamo che la grande torre rotonda è stata costruita su di un’altra, più antica, pure in parte sopravvissuta. Abbiamo un enorme patrimonio archeologico costituito da parti ancora visibili e da altre sotterranee che potrebbero venire recuperate e valorizzate, pur rispettando la proprietà privata.
Già, i privati…
Sappiamo che questo è sempre stato in passato, e in parte continua a essere, ‘il’ problema per definizione della tutela pubblica. Prima Berta, con la Commissione federale, poi il Comune di Locarno avevano dovuto soffocare qualsiasi velleità di ulteriore valorizzazione del Castello. Non si parlava di demolire nuove costruzioni esistenti, ma di acquisire (a prezzo di mercato) piccole porzioni di terreno. Eppure non è stato possibile. La documentazione che ho potuto vedere riporta di strenue resistenze per 6 metri quadrati con sopra un pollaio. A un certo punto il Comune ha desistito, pur curandosi di far mettere sotto tutela i terreni.
Cosa dire a proposito della politica, da cui potrebbe germogliare una nuova consapevolezza?
In passato, dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta, il Comune di Locarno ha compiuto sforzi notevoli in favore del Castello, dimostrando grande lungimiranza e determinazione. Più recentemente mi permetto di ricordare il generoso tentativo del Municipio di Carla Speziali di acquistare il rivellino, purtroppo con i risultati che tutti conosciamo. Oggi abbiamo a disposizione una ricerca importante, che traccia un nuovo profilo della storia del Castello di Locarno; a mio modo di vedere sarebbe bene che fosse portata alla conoscenza di tutti e utilizzata al meglio anche nel processo di progettazione per il futuro restauro – il grande impegno di oggi del Comune di Locarno – come negli allestimenti museali e nelle diverse forme di comunicazione dei contenuti del Castello che si realizzeranno.
Appunto: com’è noto, si sta lavorando al progetto di restauro del Visconteo che potrebbe costare attorno ai 15 milioni di franchi. A novembre terminerà la fase della progettazione di massima. La ricerca storica e tecnica che lei ha realizzato era propedeutica al concorso che è poi stato vinto dal progetto “Pivot”. Progetto che però non prende in considerazione il recupero dell’invisibile o la valorizzazione del visibile. Com’è possibile che da questa sua ricerca non sia scaturita una visione più ampia del restauro e della valorizzazione dell’intero complesso?
Francamente non credo di essere nella posizione di poter dare una risposta completa. Certamente parliamo di una questione molto complessa, in cui giocano diversi fattori, non ultimi quelli economici e – ancora – quelli legati alla proprietà privata. E il mandato di progettazione non includeva queste parti del Castello. Pur con tutto ciò è almeno da auspicare che in futuro questo grande patrimonio possa tornare a essere in qualche modo fruibile; che possa effettivamente divenire patrimonio comune per tutti i locarnesi, ticinesi, per gli studiosi, i viaggiatori e i turisti, indipendentemente dal fatto che si trovi su proprietà privata o pubblica. Già il Berta, un secolo fa, in seguito alle sue scoperte aveva cercato di avviare “un progetto di restauro per mettere in relazione i sotterranei della Rocca e quelli verso il rivellino col Castello restaurato”. Il suo obiettivo era “dare ai visitatori almeno una vaga impressione della grandiosità e importanza che il Castello di Locarno aveva avuto un tempo”, rispetto alle limitate dimensioni del Castello attuale. Così facendo, proseguiva, il visitatore, “dopo aver visto il palazzo-Castello già restaurato, passerebbe attraverso avanzi di costruzioni accavallatesi in epoche diverse e pressoché tutte anteriori all’epoca dei Rusca, per arrivare ai camminamenti sotterranei della Rocca”.