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Prete accusato di reati sessuali: diversi i giovani coinvolti

I contorni della vicenda che ha portato all’arresto di don Rolando Leo, le testimonianze sconcertate e un'interrogazione al governo

Luce e ombre
(Ti-Press)

Una vita sacerdotale messa al servizio delle nuove generazioni, fin dalla sua formazione, quando ottenne un ‘minimaster’ a Roma in Teologia pastorale giovanile. Don Rolando Leo, 55 anni compiuti lo scorso giugno, di sé scriveva: “La mia gioia è il lavoro con i giovani in vari ambiti”. Un’espressione che oggi suona quantomeno sconcertante dopo il suo fermo avvenuto alle 6 di mercoledì da parte della polizia (fermo tramutato in arresto per almeno due mesi, ha nel frattempo deciso il giudice dei provvedimenti coercitivi Paolo Bordoli) e le pesanti accuse rivoltegli dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni (atti sessuali con fanciulli, coazione sessuale, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, pornografia).

Né scuola né parrocchia, ma Pastorale giovanile

È stato proprio un giovane – oggi maggiorenne e al tempo dei fatti adolescente – a segnalare lo scorso marzo all’amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, monsignor Alain de Raemy, le ‘attenzioni’ di don Leo. Fatti risalenti ad alcuni anni fa e, stando a nostre informazioni, non commessi in ambito scolastico (Papio e licei di Breganzona, Savosa e Bellinzona dove don Leo ha insegnato) né parrocchiale (prima Gordola e poi Bellinzona), bensì nel contesto della Pastolare giovanile diocesana di cui il presbitero è assistente spirituale insieme a un altro prete del Luganese. La Pastolare giovanile, si legge nel portale della Diocesi, rappresenta “la proposta educativa che la Chiesa sotto la guida del vescovo fa nei confronti dei propri giovani, perché possano crescere come persone, mature ed equilibrate e, diventando adulti nella fede, rispondere alla propria vocazione”. Sempre stando a nostre informazioni, più ragazzi sarebbero stati oggetto delle attenzioni sessuali del prete indagato, che avrebbe anche commesso atti di masturbazione su almeno una parte di loro. Gli si imputerebbe inoltre un consumo importante di filmati pedopornografici.

Affiorano interrogativi

Al netto della presunzione di innocenza, sono molti gli interrogativi che affiorano, soprattutto dopo che le voci di un prelato sotto inchiesta erano trapelate già a giugno. Se era don Leo nel mirino della magistratura, ci si chiede oggi, come ha potuto continuare a partecipare a incontri, pellegrinaggi, festival dedicati a ragazzi e ragazze? Perché non è stato subito “sospeso cautelativamente dall’esercizio del ministero”, come ha scritto la Curia solo giovedì alla notizia dell’apertura dell’indagine? Domande che abbiamo girato allo stesso de Raemy, sulle quali però ha voluto attenersi a una breve dichiarazione sulla falsariga di tante avvenute in passato («Non rilasceremo ulteriori indicazioni, data l’indagine in corso») invitandoci semmai a contattare il Ministero pubblico. Qualcosa di più ha voluto dire il Collegio Papio di Ascona, di cui don Leo è cappellano. In una lettera inviata alle famiglie degli studenti, la direzione, nel riportare sconcerto e dolore per il caso venuto alla luce e nel mettersi a disposizione “per ascoltare il vostro disagio”, accenna come “a tutt’oggi i fatti non sembrano toccare l’attività di don Rolando in Collegio”.

Dal protocollo alla lettera

Il tenore della lettera inviata venerdì alle famiglie degli allievi dal rettore don Patrizio Foletti, e dal vicerettore Paolo Scascighini – lettera accompagnata dalla comunicazione inviata alla stampa dalla Diocesi giovedì sera – non rende sicuramente tutto lo sconcerto che da mercoledì mattina si è abbattuto sulla quiete estiva del collegio asconese. Entrambi, raggiunti da ‘laRegione’, ribadiscono quanto già affermato da Foletti giovedì, e cioè di continuare a non capacitarsi di fronte alle gravissime accuse nei confronti del loro cappellano. Il quale «mai – sostiene don Foletti – aveva dato adito al benché minimo dubbio sulla correttezza dei rapporti e dei metodi nei confronti dei ragazzi». Fra gli stessi allievi, in particolare gli ‘interni’, sarebbe pressoché unanime la convinzione che quanto imputato al loro cappellano e insegnante di religione non possa che essere il frutto di un malinteso.

‘Ci saremmo mossi subito’

L’esistenza di un protocollo di verifica ed eventuale sanzione dei comportamenti nel contesto del Papio sembrerebbe comprovata dal fatto che un anno fa un insegnante laico era stato allontanato a causa di atteggiamenti non conformi nei confronti di alcuni allievi; niente di particolarmente grave, ma comunque tale da indurre la direzione a decidere per una separazione delle strade. A proposito di quella circostanza, ricorda Scascighini, «ci era giunta una segnalazione. Grazie a quella avevamo potuto agire nel modo più rapido e adeguato possibile. È chiarissimo a tutti, genitori e allievi, che la direzione è sempre all’ascolto e le sue porte sono sempre aperte se si presenta la necessità di inoltrare segnalazioni di qualunque tipo. Quindi la distanza tra famiglie e direzione è davvero molto ridotta, tant’è vero che gli scambi sono frequenti». Ancora riguardo a don Leo, «se ci fosse stata anche solo la percezione che qualcosa non andava ci saremmo mossi subito», sottolinea don Foletti. E lo ribadisce Scascighini: «Il rettore vive qui e anch’io passo al Collegio gran parte del mio tempo. Qui spesso ceno e frequento l’internato anche nel weekend. Questo per dire che se ci fossero state, avremmo raccolto persino le briciole di eventuali mancanze, problemi o peggio».

Una moltitudine di cariche

Un curriculum, quello di don Leo, che ha toccato svariati aspetti e consessi. Dopo aver prestato servizio al Liceo diocesano a Lucino per due anni come assistente prefetto per gli studenti interni, nel 2003 viene trasferito a Gordola da accolito per la pastorale giovanile parrocchiale, vicariale e per l’insegnamento nella scuola media. Periodo in cui, oltre che collaboratore e vicario, è anche docente al Liceo di Bellinzona. Nel 2006, proprio nella capitale, diventa collaboratore per la parrocchia della Collegiata e docente in città in diversi ordini di scuola. Fino a ricoprire sia l’attuale carica di docente e assistente spirituale al Papio, dove risiede, sia di docente al Liceo cantonale di Savosa. Inoltre, come detto, è anche assistente della Pastorale giovanile e svolge attività in diverse commissioni scolastiche; dal 2008 dirige pure l’Ufficio insegnamento religioso scolastico e presiede la Comunità di lavoro delle chiese cristiane in Ticino. Infine è membro del Forum svizzero per il dialogo interreligioso e interculturale. Da notare che è stato anche assistente spirituale di Azione cattolica. Un'importante somma di cariche, in gran parte affidategli dall'ex vescovo Valerio Lazzeri.

‘Fulmine a ciel sereno’

Di lui ci parla l'ex arciprete di Bellinzona, don Pierangelo Regazzi: «Arrivato a Bellinzona da Gordola nel 2006, dapprima ha abitato per qualche tempo a Ravecchia, poi si è trasferito da me in casa parrocchiale e abbiamo vissuto insieme alcuni anni, fino a quando nel 2018 è stato destinato al Papio. Non ho mai sentito né ricevuto segnalazioni riguardo a suoi comportamenti inadatti o sopra le righe con i vari gruppi che frequentava nell’ambito delle attività da lui gestite». Dal Luganese, dove nel 2020 si è ritirato in pensione mettendosi a disposizione delle parrocchie vicine, Regazzi si dice all’oscuro delle accuse mosse: «Don Rolando – spiega – era benvoluto dagli adolescenti. Non dico che lo vedessero come un idolo, ma era per loro un punto di riferimento molto importante. Aveva referenze esclusivamente positive ed era accogliente. Ad esempio – sorride –, spesso invitava amici a pranzo e mi toccava cucinare per quattro o cinque persone. Il tutto in un clima sempre positivo. Perciò mi sorprende e rammarica tantissimo quanto emerso sul suo conto. Un fulmine a ciel sereno».

Stupore, incredulità, amarezza. È un mix di sentimenti quello che sta provando anche una giovane donna ticinese alla notizia dell’arresto di don Leo. Quando lei era adolescente frequentava a Coldrerio, dove risiedeva, il gruppo giovani della parrocchia. «All’epoca era un laico ed era docente: era responsabile del gruppo dei ragazzi e delle ragazze che avevano già fatto la cresima – racconta la nostra interlocutrice –. ‘Rolli’, come lo chiamavamo, era per noi un esempio virtuoso: un uomo profondamente credente, un punto di riferimento per gli adolescenti della parrocchia. E mai aveva avuto atteggiamenti ambigui nei nostri confronti. È per questo che mi ha sorpreso, e anche addolorata, la notizia del suo arresto». Colui che sarebbe diventato don Leo «abitava in quegli anni a Coldrerio: ha insegnato fra l’altro al Don Bosco di Maroggia, istituto che in seguito ha chiuso, e pure all’Elvetico a Lugano», ricorda ancora la giovane donna. «Con il gruppo di cui era responsabile abbiamo fatto gite, vacanze, colonie in Leventina. E anche del volontariato, come a Milano, cucinando pasti per i senzatetto. E poi i tanti incontri, da lui promossi, di discussione e di riflessione, ad esempio per elaborare il lutto per la scomparsa di un nostro amico di Coldrerio, che a soli 19 anni aveva perso la vita in un incidente stradale nel Bellinzonese, nel febbraio del 1999. Insomma ‘Rolli’ per noi era una guida spirituale». La vocazione. Il sacerdozio: «E ora questa notizia. Mi sembra davvero incredibile».

‘Serve un obbligo di segnalazione immediata alla magistratura’

La vicenda ha intanto innescato un atto parlamentare. Un’interpellanza a firma del Movimento per il socialismo. Tema? I tempi della denuncia alla Procura. Tre le domande che i deputati Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini pongono al Consiglio di Stato. La prima: “Quanto tempo è passato tra la segnalazione fatta all’autorità ecclesiale e la segnalazione all’autorità giudiziaria?. La seconda: “In cosa è consistito (quanto è durato e come si è svolto) questo lavoro di ‘attento esame e accompagnamento da parte della Commissione di esperti in caso di abusi sessuali in ambito ecclesiale’ (Sergi e Pronzini citando al riguardo il comunicato di ieri sera della Curia, ndr)?”. E la terza: “Non ritiene”, il governo, “di dover proporre una modifica della Legge sulla Chiesa cattolica, prevedendo un secondo paragrafo dell’articolo 7 che istituisca un obbligo di segnalazione immediata all’autorità giudiziaria da parte dell’autorità religiosa qualora venisse a conoscenza di comportamenti non conformi alla legge da parte di un membro del clero?”. Per l’Mps occorre dunque introdurre l’obbligo di segnalazione immediata all’autorità giudiziaria.

Tre i quesiti puntuali avanzati dagli interpellanti sul nuovo presunto caso di abusi sessuali nella Chiesa ticinese, che, scrivono i due granconsiglieri dell’Mps, ripropone la questione dei rapporti tra autorità religiose e autorità giudiziaria. “A nostra conoscenza – annotano Sergi e Pronzini – la questione è regolata, dal punto di vista legislativo, solo dall’articolo 7 della Legge sulla Chiesa cattolica che prevede un obbligo di notifica dell’autorità giudiziaria così formulato: ‘Il procuratore pubblico notifica all’Ordinario, al più presto ma al massimo entro tre mesi dall’apertura dell’istruzione, l’esistenza di un procedimento penale a carico di un ecclesiastico, ad eccezione dei casi senza rilevanza per la funzione’”. Per contro, osservano, “non vi sono indicazioni sul processo inverso, e cioè su modi e tempi con i quali l’autorità religiosa – avute notizie su atti commessi da un membro del clero non conformi alle regole della Chiesa, ma anche alle leggi civili – debba comunicarlo all’autorità giudiziaria civile”.

In relazione a quest’ultima vicenda, il comunicato stampa della Curia, annota l’Mps, “informa che l’amministratore apostolico monsignor De Remy ha ricevuto personalmente una segnalazione e che questa segnalazione è stata trasmessa agli organismi giudiziari ‘dopo un attento esame ed accompagnamento da parte della Commissione di esperti in caso di abusi sessuali in ambito ecclesiale’”, commissione presieduta dalla magistrata dei minorenni Fabiola Gnesa. Secondo gli interpellanti, il comunicato della Curia così come formulato “non permette di fare chiarezza sui tempi trascorsi tra la notizia di possibili abusi (e quindi di un reato) e la comunicazione alle autorità giudiziarie. Dalla dinamica dei fatti, sembrerebbe che sia trascorso un certo intervallo tra la ricezione della segnalazione e la notifica all’autorità giudiziaria”. Intervallo che “appare problematico”.

E appare problematico non solo agli autori dell'atto parlamentare. Tant’è che al riguardo citano anche le perplessità manifestate nell’articolo della ‘Regione’. Articolo, rilevano Sergi e Pronzini, che “giustamente ha posto il tema della tempestività nella segnalazione di queste situazioni: ‘Al di là degli ultimi, clamorosi sviluppi, sorprende comunque e non poco che nonostante una segnalazione pendente (cui, come si è visto, la Diocesi ha fatto seguire tutto un iter di accompagnamento) il religioso abbia potuto partecipare, ancora recentissimamente, all’uscita a Medjugorje con un gruppo di ragazzi, conclusasi proprio il giorno precedente al fermo ad Ascona’”.