L'opera itinerante allestita davanti alla Cà di Ferro di Minusio dall'artista Cilgia Rageth, introdotta dalla svizzera-angolana Isabel Lunkembisa
La Svizzera come grande potenza coloniale “di ritorno”. Non fu colonialista in quanto Paese conquistatore e occupante di un altro, ma piattaforma di supporto laddove, con uomini e mezzi, poteva essere e tornarle utile. Quindi, «la Svizzera è oggi ciò che è, grazie al colonialismo».
Sono le riflessioni con cui Isabel Lunkembisa, svizzera di origine angolana, accompagna il grande progetto itinerante “Thinking about the colonial legacy”, dell'artista Cilgia Rageth, approdato negli scorsi giorni sulla Rivapiana di Minusio, davanti alla Cà di Ferro, dove chiunque passi potrà trovare un'installazione che parla di mercato degli schiavi, di mercenari e di bui lasciti del passato come gli zoo umani.
L'installazione d'arte partecipativa viaggerà per diversi anni in 50 destinazioni di tutte le regioni linguistiche della Svizzera, per poi espatriare in Germania. «Lo scopo – dice Rageth – è sensibilizzare quante più persone possibile sul tema della storia dei mercenari e degli zoo umani. Il progetto funge da stimolo visivo per un processo di coinvolgimento con la nostra eredità coloniale. Inizi a leggere e impari brani della storia del nostro sistema mercenario, degli zoo umani internazionali e del coinvolgimento della Svizzera nella schiavitù. Condividere le proprie esperienze e i propri pensieri sull'argomento è sia l'obiettivo, sia parte stessa dell'opera. I visitatori possono inviare le loro esperienze a meinereaktion2020@gmail.com. Esse verranno poi trasferite su pellicola trasparente e aggiunte all'installazione».
Conosciuta per caso da Rageth e poi coinvolta in prima persona, Lunkembisa – che è traduttrice di professione, ma anche danzatrice – nella sua introduzione alla mostra ha ricordato che «la Svizzera non ha mai avuto colonie. Proprio per questo ne ha tratto profitto. Protetta dalle grandi potenze coloniali, ha potuto strutturare la sua posizione economica nel mondo. Gli svizzeri erano ben tollerati dalle potenze europee, probabilmente perché non avevano ambizioni coloniali. Già 90 anni fa l'economista Richard Behrendt scrisse che la Svizzera aveva beneficiato dell'imperialismo più delle grandi potenze europee per il suo ruolo del terzo che se la gode tra i due litiganti».
Le potenze colonizzatrici, ha proseguito, «dovevano anche sostenere costi considerevoli per il mantenimento dei loro imperi. In Svizzera, dunque, chi riusciva ad accedere alle colonie poteva realizzare grandi profitti. Ne trassero beneficio soprattutto le classi più abbienti. In Svizzera, le società commerciali diedero importanti impulsi per lo sviluppo del settore finanziario. Alcuni dei mercanti di successo delle colonie, al rientro finirono nei consigli di amministrazione delle compagnie di assicurazione e delle banche. Quelle società gettarono le basi per l'odierno commercio di materie prime in Svizzera e sul lungo periodo fu sviluppato il “know-how” nel commercio e nei servizi finanziari».
In un passaggio autobiografico molto significativo Lunkembisa ha inoltre ricordato: «Io stessa vengo da un Paese la cui guerra mi ha brutalmente separata dai miei genitori. Per 8 anni non sapevo nulla di loro e cercavo disperatamente il mio equilibro in Svizzera. Prima di venire in Ticino vivevo e lavoravo a Zurigo. Un giorno l'azienda mi chiese se volessi avviare un business molto proficuo di fornitura di armi e bare nel mio Paese natale. Rimasi profondamente turbata e indignata dall’indifferenza verso lo sfruttamento, così mi licenziai e decisi di cambiare tutto per ritrovare me stessa».
L'invito con l'installazione itinerante, rivolto a tutti, scuole in primis, è quello di «sviluppare una maggior consapevolezza, istruire la gioventù, il futuro di domani, anche su questa realtà che fa parte della storia del nostro Paese – rileva la svizzera-angolana –. E non da ultimo a sviluppare uno sguardo più umano e accogliente quando vediamo l’altro diverso da noi. La mente mi va alle barche sovraffollate di persone che rischiano la vita alla ricerca di un futuro migliore, proprio come secoli fa facevano i ticinesi che scappavano dalla fame in cerca di mete migliori per poi tornare in patria (chi sopravviveva) e mostrare o donare la propria ricchezza come contributo alla propria città».
La conclusione di Lunkembisa è un bellissimo auspicio: «Vorrei tanto che per le generazioni a venire un essere umano non si senta superiore a un altro, perché dentro tutti noi fluisce un liquido dello stesso colore, perché sotto la superficie siamo tutti uguali e perché la diversità è la bellezza del mondo. Credo che ingiustizie, disuguaglianza e sfruttamento possano essere combattuti solo con l’istruzione, il rispetto per l’altro e una bella dose di orgoglio per quello siamo».