La Città prepara l'assunzione di un referente interculturale (come richiesto da una mozione del 2019) dopo una fortunata sperimentazione biennale
A volte è necessario parlare di situazioni reali, per consentire all’interlocutore di cogliere fino in fondo la portata dell’argomento, o dell’obiettivo che ci si è posti. È necessario per mettersi nei panni, sentirseli addosso e capire se la taglia è quella giusta o ci vuole qualcosa di più agioso. A Locarno lo hanno fatto la nuova direttrice dell’Istituto scolastico comunale, Cristina Zeeb, con l’appoggio del suo capodicastero di riferimento, Giuseppe Cotti, con il Municipio. Il tema era quello del referente interculturale, con la sua grande importanza ai fini di un’integrazione il più morbida possibile dei molti giovani piccoli immigrati.
Raccontata una storia vera, dolorosa, ambientata in Afghanistan, le eventuali riserve, se ce n’erano, sono cadute, e si è così deciso di bandire il concorso per l’assunzione, al 50%, di un referente interculturale che continui a fare per Locarno (e poi forse anche per altri Comuni limitrofi) ciò che è stato fatto a livello circondariale, sotto il cappello del Cantone, in due anni di sperimentazione. L’avallo all’assunzione dovrà essere dato dal Consiglio comunale, ma non c’è motivo di credere che la politica possa osteggiare un processo così virtuoso in un momento storico che fortemente lo richiede.
La tematica è ben descritta nel complemento alle osservazioni finali del Municipio alla mozione del 12 novembre 2019 del gruppo Ps e cofirmatari, che auspicando l’introduzione del referente interculturale parlavano di “una proposta in linea con quanto previsto dalla Confederazione in tema di integrazione”. Confederazione che con i Cantoni, dal 2014, si leggeva nella mozione, “attuano misure specifiche di promozione dell’integrazione nell’ambito di programmi d’integrazione cantonali quadriennali fondati su 12 obiettivi strategici fissati da Berna e suddivisi in tre pilastri: informazione e consulenza, formazione e lavoro, comunicazione e integrazione sociale”. L’appello era chiaro: “Il nostro Comune non può e non deve chiudere gli occhi di fronte alla situazione odierna e deve rendersi conto che gli insegnanti, senza il dovuto sostegno e la cooperazione corale di professionisti, non possono mettere in atto ‘una vera e propria pedagogia interculturale intesa a parare innanzitutto le componenti anomiche (cioè relative alla perdita di identità) che facilmente si instaurano nell’identità individuale e/o comunitaria del migrante’. Non intervenendo incisivamente in supporto ai bambini alloglotti e alle loro famiglie sin dal loro arrivo, specialmente nei casi particolarmente delicati, invece di smorzare le disuguaglianze culturali, economiche, linguistiche e sociali, si finisce per accentuarle e, indirettamente, legittimarle”.
«Negli ultimi due anni la sperimentazione è stata fatta a livello cantonale, istituendo la figura della coordinatrice delle docenti di lingua e integrazione, che aveva anche la funzione di referente interculturale – ricorda Cristina Zeeb –. A Locarno l’approccio è avvenuto in parallelo, quando abbiamo cominciato a interrogarci sui bisogni derivanti da un flusso migratorio abbastanza importante, che richiede, secondo noi, un’accoglienza adeguata sotto tutti i punti di vista».
Con questo, per Zeeb, «intendo un lavoro che vada oltre l’allievo, ma abbracci anche le famiglie, ne raccolga il vissuto migratorio, le inviti a esprimersi su motivi e speranze dell’arrivo in Ticino. Tutto questo è fondamentale in relazione al bisogno di conoscere i bambini prima di inserirli in una sezione di scuola, affinché questo passaggio sia il più possibile sereno e armonico». Su queste basi, prosegue, «abbiamo pensato che la prima cosa bella e utile da fare fosse istituire un’aula di accoglienza, che è poi uno spazio in cui i bambini possano restare per un periodo indicativamente pensato sulle 4 settimane al massimo, cominciando a frequentare progressivamente le sezioni e i compagni, tramite inserimenti che inizino magari dalle ore speciali e si sviluppino poi fino al tempo pieno. Parallelamente, si possono accogliere anche le famiglie, con l’aiuto del referente interculturale che faccia da ponte fra famiglia e scuola, ma anche fra famiglia e reti all’esterno, chiamate a sostenere il processo di integrazione. Come sviluppo, aggiungo, si pensava all’istituzione (sempre negli spazi dell’aula di accoglienza) di una biblioteca interculturale aperta anche al di fuori dell’orario scolastico, per potervi svolgere tutta una serie di attività con le famiglie stesse».
Tutto quanto descritto, nota la direttrice delle Scuole comunali, «può essere considerato una logica conseguenza dell’ottima collaborazione che abbiamo avuto con la coordinatrice delle docenti di lingua e integrazione durante il biennio di sperimentazione, con la quale sono stati studiati dei protocolli di accoglienza. Il lavoro che finora è stato fatto in parallelo vorremmo insomma continuarlo, con la nuova figura, per l’Istituto in un primo tempo per poi aprirlo magari agli istituti limitrofi. Quanto avvenuto finora a livello circondariale e quanto potrà avvenire dall’entrata in funzione del nostro referente interculturale sono due cose distinte e di spettanza diversa, ma ugualmente importanti».
La mozione, da considerarsi oggi evasa, era stata presentata 4 anni fa dai socialisti Pier Mellini e Pietro Snider come primi firmatari, e sottoscritta da Sabrina Ballabio Morinini, Rosanna Camponovo, Sabina Snozzi Groisman, Damiano Selcioni, Fabrizio Sirica (Ps), Simone Beltrame e Mauro Belgeri (Ppd), dall’attuale municipale Pier Zanchi (Indipendente dei Verdi) e dalla Plr Paola Ernst.