Locarnese

Ascona, segno leggero ed essenziale: è Julius Bissier

La collezione del Museo comunale potrebbe arricchirsi di tre opere dell’artista tedesco: ‘Per noi un grande pregio, non solo per il valore economico’

Julius Bissier
(ProLitteris/Archivio Bissier)
16 dicembre 2021
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«Per noi è un grande pregio ricevere i quadri di un artista importante come Julius Bissier – in collezione fin dagli inizi –, non solo per il valore economico. Infatti, questo gesto è anche un riconoscimento per il nostro lavoro di valorizzazione, che va avanti da più di dieci anni», spiega Michela Zucconi, conservatrice del Museo comunale d’arte moderna di Ascona. La curatrice sottolinea ancora come annualmente l’ente riceva donazioni, fra le ultime in ordine di tempo una decina di lastre fotografiche inedite di Charlotte Bara, la scorsa primavera.

Arricchimento per la collezione museale

Dell’intero corpus di opere realizzate dall’artista, tre sono al centro di un messaggio del Municipio del comune di Ascona, che chiede al legislativo di accettare la loro donazione al Museo comunale d’Arte da parte di una coppia di collezionisti, per un valore complessivo di 45mila franchi. La Commissione della gestione ha aderito all’atto parlamentare. I coniugi desiderano donare al Museo comunale le tre opere di formato contenuto realizzate in tecniche differenti su carta: tempera all’uovo, olio e acquarello; dipinte quando l’artista viveva ad Ascona. Il Municipio, si legge nel suo messaggio, “è convinto della bontà della donazione”, ma soprattutto la ritiene vantaggiosa, poiché “andrebbe ad arricchire la collezione d’arte del Museo, in particolare quella legata all’artista”, che comprende sei dipinti e sette silografie.

La necessità intima di dipingere

Rifiuto delle forme naturali e adesione a un’impostazione sempre più astrattista, soprattutto dagli anni Trenta. Riducendo all’osso, si potrebbe descrivere così il percorso dell’artista tedesco Julius Bissier, trapiantato nel Locarnese negli anni Sessanta del secolo scorso. A colpo d’occhio, le opere paiono pagine di libri miniate di segni, quasi come se fosse una scrittura; non a caso si fa spesso riferimento alla calligrafia cinese.

Prima di addentrarci nella vita artistica, passiamo in rassegna le date estreme di Bissier, che nasce il 3 dicembre 1893 a Friburgo in Brisgovia (in Germania), dove frequenta tutta la scolarità, un periodo in cui inizia già a dipingere. Nel 1913 apre una breve parentesi di studi in storia dell’arte nella città natia. L’anno successivo intraprende il percorso all’Accademia di belle arti di Karlsruhe, interrotto dopo pochi mesi. Quando scoppia il primo conflitto mondiale, Bissier è chiamato sotto le armi e fra il ’15 e il ’18 svolge servizio di leva alla stazione di controllo postale della sua città natale. In quel frangente conosce il pittore Hans Adolf Bühler, la cui concezione panteistica del mondo esercita sin da subito fascino nel giovane pittore. Da quel momento, l’artista sviluppa la propria arte in maniera indipendente. Nel Ventidue sposa la tessitrice Lisbeth Hofschneider, da cui avrà due figli: Dorothée (1926) e Uli (1928). Al principio degli anni Sessanta, si trasferisce ad Ascona. Già dal 1957 però trascorre periodi in Ticino (a Ronco sopra Ascona), soggiorni durante i quali intesse amicizia con Jean Arp e la moglie Marguerite. A 72 anni, il 18 giugno 1965, Bissier muore nella sua città adottiva.

Momento di cesura nello sviluppo artistico dell’artista ventenne sono “gli anni della guerra – ha scritto la direttrice dei Musei Mara Folini nel catalogo ‘L’energia del luogo’ (Dadò, 2009) –, che saranno da incentivo affinché Bissier inizi a sentire la necessità di dipingere da autodidatta”. La pittura diviene sempre più una “necessità intima”, quale “luogo di riscatto dal disagio esistenziale”. Aperto al mondo dei misteri e alla filosofia orientale, continua la direttrice, l’artista friburghese sembra “dipingesse in un senso terapeutico-demiurgico, messaggero di contenuti universali”.

Agli inizi, Bissier muove i primi passi tra le file della ‘Nuova oggettività’ – fra il 1922 e il 1929 –, una corrente che si contrappone alla soggettività esuberante dell’espressionismo, scrive ancora Folini, avendo come punto fermo “la nuda verità”. Tra il ’19 e il ’27 stringerà amicizie decisive “per il processo di affrancamento dall’oggetto nell’arte” con Ernst Grosse (sinologo), Willi Baumeister (pittore e grafico), Constantin Brancusi (scultore), J.J. Bachofen (storico e mitologo). Abbandonata quindi la pittura da cavalletto, l’artista si dedica al piccolo formato dal 1932 al 1947, lavorando “quasi esclusivamente con la china, in bianco e nero”, componendo i suoi lavori lasciando “libero corso ai segni sulla carta (…) formati seguendo e ascoltando solo il ‘suo impulso’, che solo gli dava la certezza della strada da percorrere”. Le sue opere, riferisce Folini, sono ricche di riferimenti alla simbologia funeraria e a quella orientale. Nonostante sia un’arte “coltissima in quanto a riferimenti filosofici”, la stessa è di lettura immediata poiché, “nella sua leggerezza ed essenzialità prescinde dagli elementi simbolici sottesi”.

L’artista, trovato il suo linguaggio personale, esprime “un’arte dell’essenziale vicina al pensiero orientale, un’arte del silenzio, dal carattere ‘sacro’, da completare con occhi e orecchie aperte, nella meditazione”.