Lo storico locarnese Lorenzo Planzi ha pubblicato per Dadò ‘Il Papa e il Consiglio federale’, quasi una ‘spy story’ (reale) sulla diplomazia nascosta
C'è la Storia con la “s” maiuscola, nell'ultima fatica letteraria dello storico locarnese Lorenzo Planzi. Una Storia che indaga i rapporti – non sempre facili e non sempre condotti alla luce del sole – fra la Svizzera e la Santa Sede. Rapporti, e relazioni diplomatiche, riannodati esattamente un secolo fa, nel 1920. Planzi, in “Il Papa e il Consiglio federale”, edito da Dadò, spiega gli antefatti della rottura del 1873, narra i canali alternativi di reciproca informazione utilizzati da una e dall'altra parte per 47 anni e i perché della normalizzazione, segnata dalla riapertura della Nunziatura a Berna, che era stata preceduta da una cooperazione umanitaria a favore della pace durante la Grande guerra.
«Il libro è trilingue – sottolinea Planzi –, in italiano, tedesco e francese, che sono le tre lingue ufficiali svizzere e idiomi correntemente parlati anche in Vaticano». Una Santa Sede che ha per così dire lungamente ospitato Planzi, per ricerche negli archivi vaticani, in quelli della Segreteria di Stato, come pure in quelli della Congregazione per la dottrina della fede e della Guardia svizzera. Ricerche che hanno portato Planzi anche a Berna, negli archivi federali, e a Parigi, nell'archivio diocesano, per citare solo quelli principali.
Il perché della rottura fra Svizzera e Santa Sede, ampiamente documentato nel libro, viene riassunto da Planzi in questi termini: «I rapporti erano nati alla fine del 1500, con l'apertura di una Nunziatura (un'ambasciata) della Santa Sede a Lucerna nel 1586. Tra alterne vicende tale Nunziatura era rimasta attiva fino agli anni del Kulturkampf. Nell’Ottocento c'era stata una progressiva degradazione dei rapporti, dovuta in particolare agli scontri, in Svizzera, fra radicali e conservatori e tra protestanti e cattolici, con alcuni incidenti diplomatici fra i quali ricordo la nomina di un vescovo a Ginevra da parte della Santa Sede, Gaspard Mermillod, ma senza prima consultare le autorità ginevrine. Il vescovo era stato esiliato dal Consiglio federale, la Santa Sede aveva condannato il Kulturkampf e il governo svizzero, nel dicembre del 1873, aveva risposto rompendo i rapporti diplomatici». Ne era seguito quasi mezzo secolo di rapporti nascosti: «Nei primi anni, fin quando c'era il papa Pio IX, c'era stato un “grande freddo”, poi con Leone XIII avevano cominciato a riannodarsi dei rapporti ufficiosi, gestiti dalla Santa Sede non tanto tramite i vescovi svizzeri, quanto per mezzo di informatori laici, fra i quali a Berna l'ambasciatore austriaco e quello belga. Vi erano anche stati dei viaggi a Berna – di cui uno in incognito – da parte di un giovane diplomatico della Santa Sede, monsignor Ferrata, al quale si deve la creazione di un'amministrazione apostolica del Ticino. Decisivo, nel miglioramento dei rapporti, era inoltre stato il ruolo dell'Università di Friburgo, ma soprattutto il riavvicinamento si era prodotto con la collaborazione umanitaria durante la Grande guerra: su suggerimento del cardinale di Parigi, Léon Amette, la Santa Sede aveva contattato la Svizzera per ospitare, nel nostro Paese, internati, feriti e malati. Ciò aveva portato all'apertura di una nuova Nunziatura non più a Lucerna, ma a Berna, anche grazie all'appoggio del nostro Giuseppe Motta, che a quel tempo era presidente della Confederazione».
Il libro è arricchito da due inserti fotografici, con le immagini dei protagonisti dei rapporti ufficiosi negli anni 1873-1920, ma anche con fotografie inedite delle visite dei Papi in Svizzera negli ultimi decenni: da quella di Paolo VI a Ginevra nel 1969 a Giovanni Paolo II nel 1984, sino a papa Francesco nel 2018 a Ginevra, senza dimenticare quella privata di Benedetto XVI al Gran San Bernardo nell’estate 2006.
Di peso le prefazioni, firmate dal consigliere federale Ignazio Cassis e dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede. “Quante volte è accaduto nella storia dei popoli ciò che si sperimenta a livello personale – scrive Parolin, numero due della Santa Sede – nel momento del bisogno ci si riavvicina. Così la Svizzera e la Santa Sede si sono definitamente riavvicinate, grazie alla collaborazione umanitaria e pacifica profusa durante la Grande guerra. Auspico di cuore che questo meritorio studio possa diffondersi e in un prossimo futuro arricchirsi con l’ulteriore documentazione attinente al Pontificato di Pio XII, resa accessibile grazie alle recenti disposizioni di Papa Francesco”. Annota invece Cassis che “il libro è anche un’importante testimonianza di storia della diplomazia, rivelandoci espedienti e intrecci che talvolta rievocano le atmosfere di un libro giallo. Il mio auspicio è che questo volume, trilingue, possa farci riflettere sull’identità della Svizzera e sul percorso talvolta accidentato per costruirla, nonché sulla delicatezza e l’importanza di relazioni diplomatiche pacifiche e stabili”.
A causa della situazione sanitaria attuale, la presentazione del libro, prevista fra pochi giorni, è stata posticipata al 2021. All'Università di Friburgo interverranno Cassis, Parolin, il vescovo di Basilea Felix Gmür, la rettrice dell’Università Astrid Epiney e ovviamente l’autore.