Riconosciuta la colpa medio-grave, il 27enne imputato dovrà scontare sei mesi di carcere, sui due anni e mezzo comminato dalla Corte delle assise criminali
Due anni e sei mesi. È la pena parzialmente sospesa comminata dalla Corte delle assise criminali di Locarno, riunita oggi a Lugano, nell'ambito del processo al 27enne con debilità mentale accusato di ripetuti atti con fanciulli, coazione sessuale e guida senza autorizzazione. Fatti integralmente ammessi dall'uomo, compiuti ai danni dei fratellastri. Le azioni, come dichiarato dalla presidente della Corte Francesca Verda Chiocchetti, dal punto di vista oggettivo hanno chiara connotazione sessuale, commessi sfruttando la relazione di parentela.
Dei due anni e mezzo, ha spiegato Verda Chiocchetti, il 27enne dovrà scontare sei mesi di carcere, deducendo i 40 giorni di detenzione preventiva (scontati fra giugno e luglio 2018, «un periodo di sofferenza», ha dichiarato l'imputato). Una pena di reclusione vicina alla richiesta del procuratore pubblico Zaccaria Akbas, che aveva proposto 36 mesi di cui sei da scontare. La difesa, sostenuta dall'avvocato Daniele Iuliucci, aveva chiesto un massimo di 24 mesi di detenzione integralmente sospesi: «Il carcere non è la soluzione adeguata, perché inutile dal punto di vista riabilitativo. La risocializzazione deve avere la priorità».
La Corte era composta ancora dai giudici a latere Aurelio Facchi e Daniele Borla; la parte civile tutelata dall'avvocato Carlo Borradori.
La comminazione della pena ha tenuto conto della lieve scemata imputabilità stabilita dalla perizia psichiatrica e del sincero pentimento dell'imputato, nonché della sua rinuncia al contatto con bambini. Tuttavia, oggettivamente, la colpa è considerata medio-grave, tenuto conto delle reiterazioni sul lungo periodo e con intensa frequenza: «Così agendo ha leso e messo a rischio l'integrità e lo sviluppo sessuale delle vittime», ha dichiarato la presidente della Corte. L'uomo dovrà continuare la terapia ambulatoriale e per i prossimi dieci anni gli è vietata qualunque professione contempli la presenza di minorenni. Va da sé che con le vittime non potrà avere alcun contatto. Un accordo fra le parti ha altresì stabilito un risarcimento per il torto subito.
«Mi sono pentito di quello che ho fatto e chiedo scusa. Non accadrà più, non voglio più avere a che fare con bambini». Così ha dichiarato nella fase d'interrogatorio il 27enne chiamato al banco degli imputati, benché non sapesse perché lo facesse, ma riconoscendo la gravità delle sue azioni (anche grazie alla terapia cui è sottoposto). L'uomo originario del Locarnese era accusato di ripetuti atti con fanciulli e ripetuta coazione sessuale sui fratellastri in due periodi (fra il 2008 e il 2011 e dal 2016 al 2018) per un numero imprecisato di volte.
L'interrogatorio è rimbalzato fra i «non lo so» e «non mi ricordo» del giovane; di cui labile è il confine di significato fra l'una e l'altra dichiarazione. Un caso delicato e complesso. Complessità e delicatezza determinate dalla condizione di disabilità mentale dell'uomo, la perizia psichiatrica attesta infatti che si tratta di una persona con l'età mentale di un bambino di circa dieci anni intrappolato in un corpo adulto, con una ridotta maturità sessuale. Perizia che ha altresì stabilito come egli non abbia memoria a lungo termine: «Vive in un presente continuo». Condizione che non gli permette di ricordare nulla degli episodi, né delle reazioni o delle emozioni delle vittime. Sempre facendo capo alla perizia, è stato riconosciuto che il giovane non ha agito spinto dall'istinto o dalla pulsione, ma per scopo ludico, dovuto a una concezione distorta del gioco. Per questo motivo, l'imputato non è considerabile un pedofilo. Durante le fasi istruttoria e dibattimentale, è emersa difatti una sua sostanziale confusione di quelle che sono le sfere ludica, affettiva e sessuale; una problematica già emersa in giovane età. Una contingenza distorta la cui comprensione potrebbe essere ricercata nel suo passato, per quanto rimanga una congettura. Abbandonato dal padre perché disabile, tirato su con impegno dalla madre sono poi arrivati gli anni trascorsi in istituti, durante i quali sembra stato essere vittima a sua volta di "attenzioni indesiderate". L'esperienza insegna che chi, come l'imputato, compie atti simili è molto probabile che reiteri abusi subiti sulla propria pelle. «Non è cattivo, non è un maniaco, è un bambino molto fragile che va seguito», ha dichiarato Iuliucci nella sua arringa. La difesa nella valutazione della colpa e quindi nella comminazione della pena aveva chiesto di tener conto di una serie di attenuanti, in primis la condizione mentale del suo assistito, la totale ammissione dei fatti e l'autoaccusa per coazione, la disponibilità a collaborare e il fatto di non aver mai sminuito o rifiutato i fatti.