Sono due le cose per le quali un giovane colombiano apprezza la Svizzera. Una è la puntualità. Ma l'altra non è il cioccolato (e nemmeno il tiro con l’arco): è l’unihockey. In un breve ritorno di estate torrida ticinese, abbiamo trascorso qualche ora in compagnia dei giovani colombiani ospiti del Cst, per un soggiorno che è la risultanza di un’intesa tra Dipartimento federale degli affari esteri e l’omologo ministero colombiano. I 20 giovani, 11 ragazzi e 9 ragazze in Ticino fino a venerdì 15 settembre, vengono da Nariño, uno dei 32 dipartimenti della Colombia. Li accompagnano un responsabile del ministero colombiano e 3 allenatori, uno per ogni regione del distretto, con i quali scopriranno sport per loro del tutto nuovi. Noi li abbiamo raggiunti sul terreno del tiro con l’arco, approfittando anche della presenza di Laurent Bernet, deputato regionale Dfae e coordinatore per il Sud America.
«Già negli anni scorsi – racconta Bernet – ci siamo accorti di questo amore per l’unihockey. Credo sia dovuto alla possibilità di praticarlo anche con i pochi mezzi di cui dispongono in patria». Ce ne dà conferma Johana, 16 anni, dalla regione di Guachavez. Il suo sorriso senza riserve dice tutto sul clima che si respira qui: «È la prima volta che esco dal mio paese, sono entusiasta», ci dice. Johana è qui anche per una missione precisa, della quale tutti i suoi compagni di viaggio sono incaricati. Ovvero tornare in Colombia con un progetto sportivo da applicarsi nella propria regione di appartenza. «Il mio scopo – ci racconta la giovane – è portare a Guachavez un progetto di unihockey giocato con materiali riciclati. Da noi questo sport non esiste, sto imparando la tecnica».
Hernando viene dalla regione di Samaniego. Ha appena vinto una gara di tiro con l’arco nella quale il bersaglio non era il centro, bensì una mela rossa ritagliata, messa poco sopra (tanto per approfondire la storia svizzera, le squadre avevano per nome alcune città della confederazione). Hernando ha 14 anni e la postura di un adulto. «Quando mi hanno detto che sarei partito – racconta – ero felice. Ho amici che sono stati qui, volevo proprio vivere l’esperienza». Per lui, il soggiorno è l’occasione per una conferma – «L’idea che avevo degli svizzeri è che sono molto puntuali, ed è così» – ma anche per smentire una voce incontrollata – «Non so perché, credevo che qui si mangiassero solo verdure». Il suo progetto è legato al beach-volley e (per non smentirci) all’unihockey.
Suleimy, invece, è un’allenatrice. Viene da Tumaco, a un passo dai conflitti armati. «Lavoro da 4 anni per dare beneficio alla comunità», racconta. «Ho fatto atletica da bambina. Poi ho studiato, ho fatto l’Università. Avrei potuto insegnare in una scuola, ma ho scelto ancora lo sport». È stata in Giamaica, per lo stesso progetto. Ma «il vostro rapporto con il tempo – dice – è diverso da tutti. Avete rispetto, puntualità, programmazione».
Proprio la gestione del tempo è decisiva in questo progetto, come ci conferma Laurent Bernet in fase di congedo: «Lo sport è il modo migliore per strappare questi giovani al peggio», ci dice. «Nel distretto di Nariño non c’è attività pomeridiana. Questo espone i ragazzi alla criminalità, che prova a fagocitarli in un mondo che è tutto tranne che per adolescenti...». L’impatto sociale di quanto la Svizzera realizza puntualmente da ormai 5 anni è, per fortuna, incoraggiante. «Nove ragazzi su dieci, dopo essere stati qui, hanno continuato gli studi», conclude Bernet. Parlando di arco e frecce, si direbbe che lo sport ha fatto centro. Ma Johana ed Hernando preferirebbero “goal”. Come nell’unihockey.