Officine di Bellinzona, le Ffs citano l’Accordo del 2019 e sostengono che lo smaltimento rientri nei costi di costruzione a carico dei nuovi proprietari
Arrivano dalle Ferrovie federali svizzere alcune risposte alla doppia raffica di domande che i Verdi hanno inviato nei giorni scorsi al Consiglio di Stato e al Municipio di Bellinzona sui costi derivanti dal risanamento dei terreni che dovessero risultare inquinati nell’area delle Officine Ffs attive in città da quasi 140 anni. Risposte, in particolare, al quesito centrale. Ossia il timore che gli oneri di bonifica finiscano per ricadere anche su Cantone e Città, in quanto destinati a diventare nuovi co-proprietari di metà dell’areale. Una chiamata alla cassa, ricordiamo, che esclude la parte dei terreni contaminati (le situazioni più gravi saranno infatti prese a carico dalle Ffs). Chiamata che riguardando le parti inquinate comunque preoccupa gli ambientalisti per più motivi: primo, perché da nessun documento ufficiale – a parte la risposta governativa data in agosto a una prima interrogazione dei Verdi depositata in gennaio – sembra finora emergere a chiare lettere che l’onere potrebbe ricadere non solo sulle Ffs; secondo, perché in presenza di terreni inquinati da risanare il conto a carico di Cantone e Città rischia di essere parecchio salato. Infatti il Consiglio di Stato nella medesima risposta ha parlato di “una condizione di inquinamento rilevante”, sebbene quanto sia rilevante con precisione dovranno dirlo nuove analisi (lo spieghiamo dopo).
In attesa delle risposte di Municipio e CdS alle nuove domande dei Verdi, la redazione ha chiesto alle Ffs di esporre meglio la situazione rispetto a quanto fatto finora sia negli accordi sottoscritti dalle parti relativi alla cessione di metà areale, sia nei rispettivi messaggi sottoposti al Gran Consiglio e al Consiglio comunale e con i quali il Cantone stanzia 100 milioni e la Città 20 a titolo di finanziamento del nuovo stabilimento in fase di costruzione a Castione. Anzitutto Patrick Walser, portavoce per la regione sud delle Ffs, ricorda quanto riporta la Lettera d’intenti firmata a fine 2017 da Ferrovie federali, Città e Cantone: “I terreni – si legge – verranno consegnati liberi da edifici e impianti e non contaminati ai sensi dell’Ordinanza federale sui siti contaminati (Ositi). Ffs si impegna a effettuare a proprie spese le indagini necessarie a stabilire la qualità del terreno ai sensi dell’Ositi”. Passano un paio d’anni e più preciso, al riguardo, è l’Accordo di concretizzazione della Dichiarazione d’intenti sottoscritto dalle medesime parti nell’agosto 2019: “Il trapasso del possesso avverrà dopo che Ffs Sa avrà liberato i fondi da edifici e da impianti, riservati gli obblighi di tutela dei beni culturali. I fondi dovranno inoltre essere privi di contaminazioni ai sensi dell’Ositi. Ffs Sa effettuerà a proprie spese le indagini necessarie a stabilire la qualità del terreno ai sensi dell’Ositi e il relativo risanamento. Dopo il trapasso del possesso saranno a carico dei nuovi proprietari i futuri oneri legati alla progettazione, costruzione ed esercizio di nuovi manufatti sui fondi ceduti”.
È in questo paragrafo, invero non del tutto chiaro, che figura un po’ mascherata la suddivisione delle spese tra Ffs da una parte e Cantone e Città dall’altra. Dunque chi paga cosa? «Il termine ‘contaminazione’ ai sensi dell’Ositi è un termine giuridico», spiega Patrick Walser che per rispondere alle nostre domande si è confrontato con i giuristi interni delle Ffs. «Nell’Accordo di concretizzazione della Dichiarazione d’intenti – prosegue – viene anche precisato che i costi di progettazione, costruzione ed esercizio dei nuovi manufatti, realizzati sui sedimi che verranno ceduti a Cantone e Città, saranno a carico di questi ultimi». Non figurano però – obiettiamo – i costi di risanamento delle parti inquinate. Un vuoto sul quale appunto i Verdi chiedono sia fatta chiarezza, anche perché nella loro interrogazione bis sostengono che “la Legge federale sulla protezione dell’ambiente definisce che i costi derivanti da inquinamenti sono a carico di chi li causa, ovvero del cosiddetto perturbatore per comportamento”. In questo caso le Ffs. «Nei costi di costruzione – replica il portavoce delle Ferrovie federali andando al nocciolo della questione – rientrano anche i costi di scavo e smaltimento del materiale di scavo». Walser aggiunge che «il materiale di scavo, se presenta delle sostanze inquinate, va smaltito conformemente all’Ordinanza sulla prevenzione e lo smaltimento dei rifiuti (Opsr)». E «per quanto riguarda l’assunzione dei costi di smaltimento del materiale di scavo che verrà prelevato sui sedimi di Cantone e Città, la Lettera d’intenti e l’Accordo di concretizzazione prevedono la stessa cosa: questi restano a carico dei futuri proprietari del terreno e rientrano nei costi di realizzazione dei futuri progetti». Walser conclude evidenziando che «il termine corretto da utilizzare è ‘smaltimento del materiale di scavo’, anziché risanamento. Il quale presuppone una contaminazione, che alle Officine di Bellinzona non c’è». In conclusione secondo le Ffs i costi di scavo e smaltimento del terreno inquinato saranno a carico dei futuri proprietari. Visto che il Consiglio di Stato parla di “situazione di inquinamento rilevante”, si può presumere che la spesa a carico di Città e Cantone rischia di essere ingente.
Quanto al fatto che secondo le Ffs non vi sarebbero parti contaminate, ecco cosa dice a pagina 25 il Rapporto d’impatto ambientale (datato dicembre 2022) commissionato dal Municipio di Bellinzona allo studio Csd Ingegneri di Lugano nell’ambito della variante di Piano particolareggiato Quartiere Officine votata dal Consiglio comunale nell’aprile 2023 e poi impugnata con più ricorsi: “Tra il 2000 e il 2007 lo Stato maggiore delle Officine principali ha sottoposto il sedime (parte a valle dei binari) a un’indagine basata sull’Ositi”. Indagine “tecnica preliminare” che “non ha escluso la presenza localizzata di inquinanti (idrocarburi e metalli) confinata nei primi strati di terreno, nelle zone di lavorazioni”. Tuttavia “i volumi e le concentrazioni non erano tali da sconfinare nell’acquifero, che non è dunque minacciato da tale inquinamento”. Quanto al terreno, e questa sarebbe una bella notizia, “ha mostrato solo degli imbrattamenti puntuali, ma è risultato analiticamente non inquinato”. Le varie indagini “hanno permesso di escludere inquinamenti importanti nel perimetro”. Intanto però le Officine sono iscritte sia al Catasto cantonale dei siti inquinati, sia a quello dell’Ufficio federale dei trasporti. E in ogni caso, ribadiamo, il CdS parla di “inquinamento rilevante”. Perciò il Rapporto d’impatto ambientale invita alla prudenza: poiché le indagini del passato “avevano carattere puntuale con lo scopo di dare una valutazione preliminare, e viste le evidenze organolettiche (presenza locale di macchie nere) ancora oggi riscontrabili, si consiglia vivamente di accompagnare gli eventuali lavori di scavo da uno specialista ambientale che possa definire la necessità di indagini integrative e assicurare l’opportuno smaltimento”.
Cosa che il Consiglio di Stato intende fare: in effetti nella risposta di agosto spiega di aver “richiesto la costituzione di un gruppo operativo che possa definire e seguire nel tempo le indagini”. Tale gruppo “dovrebbe poter prendere atto degli sviluppi e dei risultati delle indagini Ositi, così da prevedere le conseguenze tecniche e/o finanziarie legate alla gestione dei siti inquinati, conformemente agli accordi sottoscritti tra le parti”. Il tempo dirà chi dovrà pagare e quanto.