Parco del Piano di Magadino: dopo viticoltori e associazione mantello, critica anche la Cantina di Giubiasco maggior produttrice di vino del Bellinzonese
‘Se il Cantone non ci avesse ignorato, avremmo certamente potuto esprimere la nostra opinione contribuendo a una riflessione preventiva d’assieme. Invece, di punto in bianco, ha preferito bloccare tutto cinque anni per realizzare uno studio nel quale al momento non siamo stati coinvolti’. Riassunta all’osso, non è all’acqua di rose l’opinione della Cantina di Giubiasco Sa (Cagi) sulla Zona di pianificazione cantonale (Zp) istituita in primavera dal Dipartimento del territorio nel Parco del Piano di Magadino in ambito di viticoltura. Stop per cinque anni (prorogabili) a nuovi vigneti e all’ampliamento di quelli già esistenti; e avvio di uno studio per stabilire quali aree agricole sono più adatte, e quali no, a uno sfruttamento viticolo di qualità. Sfruttamento che in dieci anni, dall’avvento del Piano di utilizzazione cantonale (Puc) del Parco del Piano, è raddoppiato passando da 8’300 a 17mila metri quadrati, pari all’1,2% della superficie agricola complessiva a disposizione. La mossa del Dt è andata di traverso all’Interprofessione della vite e del vino ticinese (Ivvt), organizzazione mantello che riunisce su scala cantonale le singole associazioni di viticoltori, vinificatori e commercianti. Motivo: nessun coinvolgimento sul tema e decisione calata dall’alto. Mastica amaro anche la Cagi, di proprietà della Federazione ticinese produttori di latte e a sua volta maggior produttrice di vino del Bellinzonese. Ne spiega le ragioni il suo presidente Andrea Bersani, che abbiamo intervistato.
Ti-Press
Di proprietà della Federazione ticinese produttori di latte, la Cagi Sa è la maggior produttrice di vino del Bellinzonese
Anzitutto, come giudica la decisione cantonale?
Sebbene giustificate dall’esigenza di stabilire quali aree agricole sarebbero più adatte allo scopo, simili iniziative creano non pochi grattacapi. Questo a prescindere dal fatto che la decisione del Cantone sia stata presa, forse non a caso, dopo che da mesi era sul tavolo una domanda di costruzione per l’estensione di una zona vignata sul Piano di Magadino, zona peraltro a confine con una già esistente.
A chi creano grattacapi? E perché?
A chi, come Cagi, necessita di superfici in grado di fornire la materia prima per rispondere alle esigenze di produzione. La scelta di bloccare qualsiasi progetto all’interno del Parco del Piano impedisce inoltre una visione di produzione vitivinicola per il prossimo decennio. Sono troppi cinque anni di attesa per la Zp e per l’edificazione di un nuovo vigneto, sempre che venga accettata la domanda di costruzione; più altri tre anni per considerare una prima raccolta dell’uva. Ogni anno molte superfici viticole vanno perse perché molti viticoltori, oramai in là con gli anni, terminano la loro attività e non trovano un ricambio.
Intende quindi dire che per i 17 ettari già vignati la qualità attesa sia data? Quali garanzie ha al riguardo? Sono stati fatti, o la stessa Cagi ha commissionato, degli studi per accertare la qualità che il Cantone, tramite la Zp, vuole verificare?
La qualità dipende dalla messa in atto delle raccomandazioni e dall’assistenza che, per quanto ci concerne, diamo ai nostri numerosi viticoltori. Dipende anche dai controlli in Cantina, che sono molto severi. Non abbiamo ragione di dubitare della qualità, che peraltro si riversa anche sul prodotto finale. Nemmeno va dimenticato che la competenza vitivinicola della Cagi è garantita dai suoi collaboratori, in particolare da un enologo e da un cantiniere professionisti. I vitigni vengono insomma controllati e l’evoluzione dei trattamenti in vigna, come anche nella vinificazione, permettono di progredire nella qualità dei vini Cagi. Siamo convinti che i vigneti di pianura diano un’ottima uva, soprattutto per quanto concerne la produzione dei vini che commercializziamo.
Nel concreto, quali conseguenze comporta per Cagi la sospensione di qualsiasi ampliamento, compreso quello già previsto di due ettari per il vigneto Melera, suo fornitore, che ne misura attualmente quattro?
Ritenuto che i vigneti di collina, specie quelli posti in zone edificabili, vanno inesorabilmente diminuendo – ed è questa una costante che negli ultimi anni appare innegabile, non da ultimo anche perché le nuove generazioni parrebbero meno orientate alla viticoltura – hanno un ruolo sempre più importante i grossi produttori, anche quelli di pianura. Questo fatto, insieme all’impossibilità di ampliare le superfici di pianura, crea di conseguenza grossi problemi di approvvigionamento.
E allora perché Cagi non ha impugnato la decisione con un ricorso? In alternativa, ha tentato la via del dialogo col Cantone? Con quale risultato?
Un ricorso contro l’adozione di una Zp non ha effetto sospensivo e già solo per questa ragione, tenuto conto dei tempi che caratterizzano la procedura di ricorso, abbiamo accantonato l’idea. A ciò si aggiunge il fatto che, nella ponderazione dei rispettivi interessi, sarebbe abbastanza utopico pretendere che quello pubblico, per quanto discutibile, possa essere messo in secondo piano da un tribunale. Sarebbe stato certamente più interessante il dialogo. Ma senza alcuna disponibilità, in particolare dalla Sezione agricoltura, anche questa via appare in salita, purtroppo.
L’Interprofessione della vite e del vino ticinese ha chiesto al Cantone di poter far parte del gruppo di studio; la Cantina di Giubiasco ha inoltrato una richiesta analoga?
Innanzitutto sarà importante che chi farà parte del gruppo sia in grado di difendere gli interessi legati alla produzione locale; se fossimo chiamati a farlo non ci tireremo indietro. La discussione va tuttavia fatta nelle sedi appropriate, anche se – va pur detto – appare legittimo chiedersi per quale ragione Cagi non ha mai ricevuto una specifica comunicazione in tal senso. Vorrei far notare che sotto il suo cappello operano a tutt’oggi ben 240 viticoltori.
Il direttore dell’Ente parco, Giovanni Antognini, il 3 maggio sulla ‘Regione’ ha evidenziato che il Cantone non dispone di uno strumento pianificatorio relativo ai vigneti presenti in Ticino. Perciò, ritenendo interessante che lo si faccia per primo nel Parco del Piano di Magadino, confida in un lavoro d’assieme portato avanti con spirito collaborativo da tutte le parti in causa. Un’opinione condivisibile?
Certamente. Ma l’approccio del Cantone non è sin qui stato improntato al coinvolgimento e alla collaborazione, il che va sicuramente stigmatizzato.
Considerato che un terzo delle vostre 600mila bottiglie annue viene già prodotto con uve di pianura, non ritiene sufficiente questa quota? Quali elementi spinge Cagi ad auspicare un ampliamento di questa coltivazione nel piano?
Come detto prima, i vigneti di collina e le persone che li curano sono in costante diminuzione e, con loro, anche le uve. Ragione per cui, volenti o nolenti, bisognerà sempre più considerare le produzioni su grandi superfici in piano.
Eppure il Cantone, nella sua decisione sulla Zp, scrive chiaramente che ulteriori impianti, in assenza di uno studio specifico, rischierebbero di intralciare e compromettere la realizzazione degli obiettivi individuati e volti ad assicurare una viticoltura con buoni standard qualitativi. In parole povere, viene messa in dubbio l’attuale qualità. Di nuovo: cosa risponde?
Che sarebbe finalmente il caso, dati oggettivi alla mano, di dimostrare in cosa la qualità di un vigneto di pianura differisce dalla qualità di un vigneto di collina.
In definitiva ritiene che abbia ragione l’imprenditore agricolo Claudio Cattori, il quale sempre sul nostro giornale il 3 maggio ha detto che la decisione cantonale “nasce dall’erronea convinzione che nei vigneti di pianura non si riesce a produrre vino di buona qualità”?
Cattori ha perfettamente ragione e non mi pare che ad oggi qualcuno lo abbia smentito.