Ha chiuso la discoteca in via Zorzi 19 a Bellinzona. Il proprietario dello stabile fatica a trovare interessati a gestire un locale notturno
Correva l’anno 1971 e nel mese di agosto in via Franco Zorzi 19 alle Semine apriva il locale notturno Ramarro. Una discoteca che per oltre un trentennio ha fatto ballare e tirar tardi moltissimi bellinzonesi e non solo, soprattutto tra i venti e i quarant’anni. «Eravamo gli unici a Bellinzona», racconta Riccardo Schlee proprietario dello stabile. «Per i primi cinque anni lo abbiamo gestito in famiglia, dopodiché lo abbiamo affittato a persone che avrebbero portato avanti l’attività per una decina d’anni». Nel frattempo la musica è cambiata e l’ubicazione che un tempo funzionava molto bene, oggi sembra presentare qualche criticità: il ‘Movida disco club’, questo l’ultimo nome datogli, ha chiuso i battenti lo scorso febbraio a un anno soltanto dalla riapertura. L’ennesima. Stessa esperienza per il locale precedente, il ‘6500’ gestito da Gianni Morici che lo aveva aperto sperando di trovare una nuova casa per il suo ‘Peter Pan’, chiuso a fine 2019 in via Murate.
Perché questa discoteca, che una volta faceva ballare, oggi fatica a funzionare? Lo abbiamo chiesto al titolare dell’ultimo contratto d’affitto, Michele Acocella: «Abbiamo provato a proporre serate rivolte agli over 30, ma non ha funzionato. Ci siamo resi conto che quella fascia d’età rimane nei locali fino all’una o al massimo le 2 di notte». Da ormai sette anni la legge consente agli esercizi pubblici di rimanere aperti più a lungo la sera «e questo non aiuta le discoteche perché la gente, dopo la chiusura dei bar, non sente più l’esigenza di recarsi ancora in un locale notturno ma rientra a casa». Acocella critica anche gli esercizi pubblici che tendono a proporre un po’ di tutto, dalle colazioni, al pranzo, al karaoke: «Sono aperti dal mattino alle 6 e chiudono tardi la sera, fanno molto ma spesso la qualità ne risente», osserva. Altro aspetto ad aver inciso è la pandemia: «Dopo il coronavirus e le restrizioni decise dalle autorità, molte persone hanno perso l’abitudine di uscire la sera soprattutto fino a tardi», aggiunge. Non da ultimo, anche la conformazione del locale in via Zorzi è stata criticata: «Alcuni clienti mi hanno riferito di non apprezzare il fatto che si debbano scendere le scale per raggiungere un locale interrato».
Prima di chiamarsi ‘Movida disco club’, dal 2020 e per la durata di un anno il locale è stato ribattezzato ‘6500’. Un’esperienza durata poco: il gerente Gianni Morici ha cercato di proseguire sulla stessa linea del Pit proponendo musica live e dando spazio a band. «Siccome lo stabile è abitato e si trova in zona residenziale, quando le persone si fermano all’esterno anche solo per fumare una sigaretta o scambiare due chiacchiere, finiscono per infastidire il vicinato», evidenzia Morici. L’esercente aveva quindi tentato di orientarsi verso una clientela più ‘adulta’ rispetto a quella del ‘Pit’ per cercare di evitare questo genere di problemi, ma non aveva funzionato. A complicare una situazione già di per sé non facile vi è stato poi l’arrivo del Covid proprio in quel periodo che ha imposto chiusure forzate per tutti, locali notturni inclusi. Da qui l’impossibilità per Morici di far quadrare i conti e la decisione di chiudere.
A non capacitarsi di questi repentini abbandoni vi è il proprietario dell’immobile, ancora alla ricerca di interessati a gestirlo: «Poiché le mie condizioni sono molto favorevoli, non riesco a capire il motivo per cui non riesco a trovare qualcuno che possa rilevarlo», afferma Schlee. Il locale è disponibile da subito, senza costi di avviamento né di ritiro inventario, è già arredato e dotato di impianti audio, luci e aria, ha una capienza di 140 persone e 28 posteggi a disposizione su area privata. «Da mesi sto pubblicando su siti e giornali annunci per cercare di affittarlo. Non so più come fare. Alcune persone si sono fatte avanti, le ho incontrate, ho esposto le condizioni. Ma alla fine tutte rinunciano. Eppure, paradossalmente oggi il canone di locazione è molto più basso rispetto a mezzo secolo fa. Negli anni sono stato costretto ad abbassarlo, se volevo trovare qualcuno». Secondo Schlee oggi gli imprenditori non vogliono correre rischi: «E sono forse anche scoraggiati dal fatto che due imprenditori, prima di loro, non hanno avuto successo». Inoltre, concorda sul fatto che a pesare sulla vitalità della scena notturna vi è anche lo stop imposto dalla pandemia. Ma i problemi col vicinato possono influire? «Trovandoci in un quartiere abitato – risponde – ci vuole evidentemente un servizio di sicurezza che sorvegli la situazione all’esterno e garantisca la quiete pubblica».
Dopo l’era Ramarro il locale ha cambiato nome: dal 2006 al 2014 è diventato Habana Blues, assurto agli onori della cronaca sedici anni fa per una rissa con accoltellamento, per poi tornare a chiamarsi Ramarro per alcuni anni. «Qualcosa è cambiato... Dieci anni fa, quando pubblicai un annuncio per affittare il locale, si presentarono in 36. Oggi invece – conclude Riccardo Schlee – nessuno sembra più interessato a gestire una discoteca».