Per Filippo Riva, direttore di Humabs BioMed Sa, in città mancano laboratori: ‘Se le aziende biotecnologiche non ne trovano, si insedieranno altrove’
A Bellinzona «servono più laboratori, così da attrarre più aziende attive in ambito biomedico». Ne è convinto Filippo Riva, direttore di Humabs BioMed Sa, filiale svizzera della società californiana Vir Biotechnology. La società, co-fondata dall’ex direttore dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina (Irb) Antonio Lanzavecchia, è infatti l’unica (assieme a Peptone e alcune start-up) ad aver trovato gli spazi necessari per insediarsi nella capitale ticinese. Spazi che però non sono sufficienti per far crescere ulteriormente il settore, in attesa di quelli che saranno poi messi a disposizione nel nuovo Quartiere Officine per i quali bisognerà ancora attendere almeno una decina di anni. L’auspicio è quindi che «a corto termine Cantone e Comune, che, va detto, si sono sempre mostrati proattivi e disponibili, incentivino o sostengano i privati (in particolare i proprietari immobiliari) a mettere a disposizione spazi per realizzare laboratori adibiti alla ricerca».
Riva, che è anche vicepresidente dell’Associazione delle società Biotech Svizzere, non sta sminuendo quanto fatto dalla Città negli ultimi 25 anni per promuovere il cosiddetto polo biomedico. Ricordiamo che nel 2021 l’Irb – assieme all’Istituto oncologico di ricerca (Ior) e ricercatori dell’Ente ospedaliero cantonale – si è insediato in un nuovo edificio in via Chiesa, dove è prevista la costruzione di un altro stabile che diventerà la sede definitiva dello Ior. Inoltre l’ex sede Irb di via Vela è stata dapprima acquistata dal Comune – per mettere a disposizione spazi a beneficio di altri enti e società (come la britannica Peptone Switzerland Ag) attivi nel campo della ricerca biomedica – che ha poi ulteriormente investito per realizzarvici la sede del Centro di competenza scienze della vita. Il tutto in vista della realizzazione di nuovi spazi dedicati all’innovazione e alla ricerca nel futuro Quartiere Officine. Quartiere per il quale bisognerà però attendere ancora a lungo, visto che è (e sarà ancora) oggetto di ricorsi che allungano inesorabilmente i tempi. «La Città ha già fatto molto – afferma a ‘laRegione’ il direttore di Humabs –, malgrado i tempi lunghi dovuti alla politica e alla burocrazia. Ma non basta: si rischia di arrivare al Quartiere Officine e aver perso quel treno che passa solo una volta». In altre parole i tempi lunghi della burocrazia e della politica si scontrano con la velocità del settore biotecnologico e dell’innovazione: «Bisognerebbe dare la possibilità alle aziende di iniziare a mettere radici a Bellinzona, permettendo loro di crescere in vista del nuovo quartiere». Più semplicemente «se non trovano spazi a Bellinzona, si insedieranno altrove».
Cosa si può quindi fare nel frattempo a corto termine per promuovere questo sviluppo? «Negli Stati Uniti si costruiscono edifici con spazi che possono essere adibiti sia a uffici sia a laboratori (servono in media 18m2 di laboratorio a persona)», sottolinea Riva. «A Bellinzona i nuovi stabili sono o residenziali o adibiti a uffici. Questo significa che ad esempio una start-up dovrebbe trovare un proprietario immobiliare che sia disposto ad accettare la sfida di realizzare un laboratorio. Ma anche se così fosse i tempi si allungherebbero a causa della burocrazia (cambio di destinazione da ufficio a laboratorio). Senza contare l’investimento per l’azienda per realizzare il laboratorio. Insomma la situazione non mi sembra favorevole per giovani società innovative che vogliono lanciarsi nel mondo della biotecnologia». L’appello è dunque rivolto ai privati? «Sì, ma anche il Comune può fare la sua parte: all’interno di una strategia a lungo termine, l’ente pubblico potrebbe incentivare i proprietari d’immobili ad assumersi il rischio di mettere a disposizione a corto termine spazi per il settore biotecnologico».
Più aziende significherebbe anche maggiore concorrenza che «renderebbe ancora più attrattiva la piazza biomedica di Bellinzona, in particolare per il personale qualificato», rileva il direttore di Humabs. Attrattività che è sicuramente supportata dalla presenza di due istituti di fama internazionale come Irb e Ior che «rappresentano anche una fonte preziosa di ricercatori che hanno appena finito il loro dottorato.» Ricercatori che poi grazie alla presenza sul territorio di società attive nel campo delle biotecnologie hanno infatti «uno sbocco professionale al termine della loro formazione accademica». Se però le società sono poche «si rischia di arrivare alla situazione nella quale personale altamente qualificato vorrebbe restare o venire a Bellinzona, ma non lo fa per mancanza di alternative». Questo vale sia per «ticinesi che hanno magari studiato e lavorato fuori Cantone – alla Humabs rappresentano il 10% della forza lavoro (una sessantina di collaboratori) –, sia per ricercatori che vorrebbero trasferirsi con la famiglia in Ticino», anche solo per una questione linguistica. «In un mercato sano, il fatto che i collaboratori abbiano la possibilità di scegliere in quale società lavorare è qualcosa di positivo. Anche perché così facendo le aziende sono ancora più incentivate a fare il bene dei loro dipendenti».
Insomma, come detto, servirebbero più spazi dedicati alla biomedicina. Spazi che verosimilmente non rimarrebbero inutilizzati a lungo: ogniqualvolta ve n’erano di nuovi a disposizione (edifici in via Chiesa e via Vela) sono subito andati a ruba. Anzi, è immediatamente emersa la necessità di averne di più (nuovo edificio Ior). Da parte sua Humabs «è stata fortunata ad aver trovato spazi adatti al Business Center, dove fra l’altro Swisscom ne sta lasciando liberi altri, e di essere una società con a disposizione mezzi finanziari per investire», precisa Riva. Luoghi del genere a disposizione a Bellinzona non ve ne sono però molti, anzi sono decisamente rari. E per far crescere ulteriormente il settore (e questo sembra essere l’obiettivo della Città che in ogni caso fa il possibile entro i suoi limiti) non ci si può basare solo sulla fortuna.
Come detto Swisscom, inquilina storica del Business Center, sta riducendo gli spazi occupati. Dai tre piani di un tempo, il 1° aprile di quest’anno passerà a uno solo, il primo. Come mai? «A seguito della pandemia – risponde la portavoce Ivana Sambo – sempre più collaboratori scelgono di lavorare da casa; tra l’altro, Swisscom ha sempre promosso il telelavoro. Già prima del coronavirus la maggior parte dei nostri impiegati lavorava da casa. Modalità prevista nel nostro contratto collettivo e nei regolamenti sul lavoro mobile. Sebbene questa modalità permetta di lavorare in tranquillità, riduca il pendolarismo e rappresenti un buon complemento al lavoro in ufficio, per la cultura aziendale e per l’integrazione dei nuovi dipendenti è comunque importante trascorrere del tempo insieme». Il Business Center, conclude, «rimane la sede principale di Swisscom in Ticino. Vi fanno capo circa 300 collaboratori su un totale di 500». In definitiva a Bellinzona «abbiamo concentrato gli uffici e le postazioni di lavoro, senza incidere sul numero di collaboratori».