Bellinzona: dopo le critiche espresse dal sindaco Branda, il Ministero pubblico spiega i motivi per i quali padre e figlio sono indagati a piede libero
Padre 56enne e figlio 16enne autori delle minacce di morte e dell’aggressione fisica subite la sera dell’11 ottobre in piazza Indipendenza di Bellinzona da una funzionaria dell’Autorità regionale di protezione, una volta intercettati dalla polizia e trasferiti alla Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio che li ha presi a carico per una notte dal profilo sanitario, sono stati dimessi il giorno successivo perché la struttura ha ritenuto che non vi fosse un rischio di pericolosità verso terzi. E perciò sono stati indagati a piede libero, anziché essere sottoposti a un fermo effettivo di polizia. È quanto spiega il Ministero pubblico alla ‘Regione’ che lo ha sollecitato nei giorni scorsi a esprimersi sulle critiche mosse su queste colonne dal sindaco Mario Branda, arrabbiato per il fatto che una volta dimessi dalla Clinica psichiatrica i due abbiano continuato a proferire, nella giornata di venerdì, rivolgendosi ad altre persone, minacce di morte verso la funzionaria Arp che segue il loro incarto. Questo fintanto che sono stati convocati, sempre venerdì, in centrale e interrogati dalla Polizia cantonale.
“Nei loro confronti – spiega il Ministero pubblico riferendosi alle ore immediatamente successive all’aggressione fisica – è stata subito disposta una misura di presa a carico sanitaria” col ricovero, come detto, a Mendrisio. “Parallelamente sono stati avviati gli accertamenti per ricostruire la dinamica dei fatti e determinare le rispettive responsabilità”. Le ipotesi di reato “sono di aggressione, violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari, lesioni semplici e vie di fatto. L’inchiesta, subito aperta, sta facendo il suo corso”. Ciò premesso, e considerato che l’inchiesta è in atto e che “siamo quindi vincolati al segreto istruttorio”, la Procura cantonale afferma di non poter entrare nel merito dei nostri quesiti puntuali e che pertanto può esprimersi in termini generali.
“In situazioni come quella evocata – entra dunque nel merito la Procura –, viene da subito valutata/disposta una misura di presa a carico sanitaria. Questo con l’obiettivo anche di verificare, tramite certificato medico, se dal profilo clinico vi sia un rischio di pericolosità verso terzi. Se non vi è questo rischio e non ricorrono gli estremi per un arresto, l’autore viene indagato a piede libero come prevede l’articolo 212 capoverso 1 del Codice di procedura penale”. Al contempo “viene avviata un’istruttoria che fa il suo corso con gli interrogatori della vittima, di tutti i testimoni e delle persone informate sui fatti. Questo facendo anche ricorso agli accertamenti tecnico-investigativi che il caso richiede”. Dopo tutto questo, “si procede quindi con l’interrogatorio degli imputati”.
Sempre la Procura ritiene importante sottolineare “che quando non vi sono i presupposti giuridici per un arresto provvisorio, la procedura impone di valutare, in ossequio ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, se siano da ordinare delle misure sostitutive della carcerazione preventiva”. Nel caso in esame “quanto appena descritto è stato fatto in modo particolarmente celere e il giudice dei provvedimenti coercitivi ha già confermato la bontà delle misure sostitutive proposte dal magistrato inquirente”. Quali siano le misure la Procura non può dirlo, sempre perché vincolato al segreto istruttorio.
In base all’articolo 237 del Codice di procedura penale, il giudice competente “ordina una o più misure meno severe in luogo della carcerazione preventiva o di sicurezza, se tali misure perseguono lo stesso obiettivo della carcerazione”. Nel concreto il versamento di una cauzione, il blocco dei documenti d’identità e di legittimazione, l’obbligo di dimorare e rimanere in un luogo o edificio determinato, il divieto di trattenersi in un luogo o edificio determinato, l’obbligo di annunciarsi regolarmente a un ufficio pubblico, l’obbligo di svolgere un lavoro regolare, l’obbligo di sottoporsi a un trattamento medico o a un controllo, il divieto di avere contatti con determinate persone. Per sorvegliarne l’esecuzione il giudice può disporre l’impiego di apparecchi tecnici e la loro applicazione fissa sulla persona da sorvegliare. Non da ultimo, se nuove circostanze lo esigono oppure se l’imputato non ottempera agli obblighi impostigli, il giudice può in ogni tempo revocare le misure sostitutive oppure ordinare altre misure sostitutive o la carcerazione preventiva o di sicurezza.
Tornando alle critiche espresse dal sindaco, queste erano incentrate sul fatto che nel tempo intercorso fra la dimissione dalla Clinica psichiatrica e l’avvio degli interrogatori in centrale, padre e figlio ormai a piede libero abbiano continuato a proferire minacce. Da qui l’auspicio di Mario Branda affinché le autorità giudiziarie e quelle sanitarie si coordinino meglio applicando una strategia operativa tra servizi ed evitando di bagatellizzare gli eventi in assenza di ferimenti gravi. Tuttavia con la sua risposta il Ministero pubblico non indica una necessità di affinare il sistema, come detto basato sul Codice di procedura penale. Molto dipende dunque dalla valutazione medica del rischio di pericolosità verso terzi.