Dalla sede sezionale al pozzo finanziato e realizzato in Africa: Luigi Mazzaro, Alpino meritevole 2022 della Svizzera
Alpino un giorno, alpino sempre. Segno distintivo, inconfondibile, la penna nera, simbolo di resistenza e libertà. Che ognuno porta e sfoggia con orgoglio sulla sinistra del proprio cappello. Anche Luigi Mazzaro che, benché siano passati parecchi anni dal fatidico ‘rompete le righe’ e che la vita l’abbia portato lontano dalla sua terra natale, ancor oggi si prodiga ‘per’ e ‘nel segno di’ quei valori che l’addestramento militare in Italia gli ha dato.
La caserma è ormai un lontano ricordo, storia di 56 anni fa. Ma i ricordi di quei giorni, di quegli interminabili 15 mesi al servizio della Patria, Luigi ce li ha ancora ben vivi. E li rinverdisce di raduno in raduno, di adunata in adunata. Ormai non si contano più nemmeno sulle dita di due mani quelle a cui ha preso parte per tutta Italia. Come non si contano sulle dita di una mano tutte le iniziative (benefiche in primis) a cui Luigi ha preso parte in questi anni, in Svizzera come all’estero, assieme ai suoi ‘colleghi’ alpini. A volte, spesso, in prima fila: un impegno che a fine settembre gli è valso la distinzione di Alpino meritevole 2022 della sezione svizzera, premio che gli è stato conferito con una cerimonia ufficiale – allietata dal coro della Polizia cantonale e della Filarmonica di Biasca – alla presenza di diverse autorità, fra cui il presidente del governo Raffaele De Rosa, lodrinese proprio come lui, e la vicesindaca del Comune di Riviera Ulda Decristophoris.
Abbiamo incontrato Luigi per una chiacchierata e per sfogliare assieme il suo album dei ricordi. In grigioverde ma anche in abiti civili.
Classe 1947, Luigi, originario di Crespano (Tv), assolve la sua scuola reclute a Mondovì. «Di ricordi ne ho molti. A cominciare dal giuramento d’entrata, a Cuneo. Era un giorno d’estate; faceva caldo, per cui eravamo vestiti con la divisa estiva. A un certo punto in cielo sono apparsi nuvoloni grigi che hanno cominciato a scaricare un abbondante acquazzone. Eravamo in seicento: ci hanno fatto tornare di corsa in camera a prendere il cappotto pesante, ma a quel punto eravamo ormai fradici dalla testa ai piedi».
All’addestramento da recluta segue l’incorporazione nel reggimento. Di stanza a Santo Stefano di Cadore, in Alto Adige. «Una zona di confine (con l’Austria, ndr), balzata agli onori delle cronache anche per gli attentati di quegli anni. Io ero assegnato alla caserma, meccanico addetto ai veicoli della truppa. Ogni tanto mi… concedevo un ‘giretto’ fuori programma: a volte capitava di essere chiamato a intervenire per qualche camion che partiva dalla caserma per portare i viveri alla truppa, vittima di qualche avaria: guasti a volte effettivi e altre frutto… della fantasia. Così mi concedevo la mia giornata d’aria. Altre volte trovavo il modo di allontanarmi dalla caserma il weekend per andare a trovare la morosa». Morosa che, poi, è diventata sua moglie, Pierina, sposata nel 1971 e da cui, una volta arrivati in Ticino, sono nati quattro figli: Antonella, Johnny, Albino e Francesca. «Ci andavo in Lambretta, la mia Lambretta. Che avevo ‘imboscato’ vicino alla caserma». Era dura la vita da militare? «Non particolarmente, anche se di marce ne ho fatte diverse, da recluta. Diciamo piuttosto che è stata un’esperienza, di quelle che ti formano. Poi, nel reggimento una sola, perché gran parte del tempo ero occupato a riparare i veicoli militari. In sé, le mani nei motori, e in particolare in quelli militari, le avevo già messe prima che entrassi in caserma, visto che a Bassano del Grappa, in civile, già lavoravo per una ditta che riparava veicoli militari. Dopo tre mesi di militare, come sergente mi sono ritrovato il figlio del mio datore di lavoro. E pure lui aveva una fidanzata che l’aspettava a casa. E così, ogni volta che si rompeva una macchina, andavamo nell’officina di suo padre a prendere i pezzi di ricambio, alcune volte facendo… il giro largo!».
Dopo il congedo Luigi, allora 22enne, arriva per la prima volta in Ticino, in vacanza, visto che qui si erano stabilite tre sue sorelle. «Lavoravano a Lodrino, alla Sportmoda, la ex Croydor (poi trasferitasi a Giubiasco), una ditta che confezionava impermeabili. Un sabato, giorno di riposo, siamo andati a Bellinzona per fare un giro. A un certo punto vidi un garage, di Bmw; e siccome i motori (e quella marca) mi piacevano, mi sono fermato a guardare le vetture più da vicino. Mi notò il proprietario che, capita la mia passione e la mia competenza, mi propose di andare a lavorare lì: destino volle che proprio il giorno precedente si fosse infortunato il suo meccanico. Non essendo in regola per il permesso di lavoro, concordammo per una settimana di ‘prova’. Al termine della quale mi consegnò la paga. Che era come un’intera mensilità dove vivevo. Mi congedò dicendomi: “Se ti concedono il permesso di lavoro, vieni a lavorare per me”. Detto e fatto: tre mesi dopo il permesso, annuale, era realtà. Col mio datore di lavoro raggiungemmo un accordo: sarei venuto in Svizzera a provare ma, qualora avessi cambiato idea, lui mi avrebbe ripreso nella sua officina». Ma in quell’officina di Bassano, Luigi di fatto non ha più fatto ritorno». Rientrate in Italia le sorelle, Luigi resta nel loro appartamento, dove poi lo raggiunge Pierina, sposata nel novembre del 1971.
In quel garage di Bellinzona, Luigi resta un anno, ossia fino a quando gli si presenta l’occasione di un posto di lavoro, sempre come meccanico, proprio a Lodrino. «Dieci anni dopo il mio arrivo in Ticino, ho preso domicilio qui. E quando ho visto un annuncio che affittavano una stazione di benzina con piccolo garage e casetta attigua a Osogna, abbiamo deciso di fare il grande passo. Il mio datore di lavoro acconsentì a lasciarmi andare, ma a patto che qualora si fosse rotta una loro auto, sarei andato a Lodrino per riparargliela. Neanche a farlo apposta, subito nei primissimi giorni di apertura della nostra officina, successe per davvero. A Osogna siamo rimasti 11 anni». Poi una nuova ripartenza, ancora per Lodrino. Dove Luigi rileva un’officina meccanica con chiosco e benzina. Col passare degli anni, la parte dell’officina la trasforma in un negozio di abbigliamento sportivo, gestito dal figlio Johnny e, successivamente, prima in un bar e poi nell’attuale ristorante, sempre gestito da Johnny.
Con l’arrivo a Lodrino, Luigi stacca la tessera del Gruppo alpini Ticino. «A quei tempi però una sede stabile per la nostra sezione non c’era. Il materiale per realizzarla non ci mancava, visto che come gruppo avevamo rilevato alcuni pezzi di prefabbricato smantellato a Locarno per costruire quello che sarebbe stato il nuovo comparto di piazza Castello. In un primo tempo avevamo individuato a Vezia il terreno ideale per la nostra sede. Ma poi quel terreno è stato venduto e così ci siamo ritrovati al punto di partenza. Avevamo poi pensato di chiedere una striscia di terreno vicino al Centro sportivo di Lodrino, ipotesi poi però accantonata per questioni di Piano regolatore. Ci sarebbe stata un’opzione a Osogna, scartata anche quella, stavolta per ragioni finanziarie. Alla fine abbiamo ceduto parte di quei prefabbricati che avevamo rilevato a Gioventù e sport che necessitava di nuovi spazi». Quando il Comune di Lodrino rileva le baracche militari lungo la via Lona ormai in disuso, una quindicina di anni fa, ecco palesarsi la soluzione ideale. «Siamo andati a bussare alla porta dell’allora sindaco, Carmelo Mazza, e alla fine abbiamo ottenuto ciò che volevamo: il diritto di poterle usare quale sede del Gruppo alpini Ticino». Anche qui, Luigi – e con lui l’amico Alpino Gianni Del Romano, pure lui lodrinese, e tutti gli altri alpini del Gruppo Ticino, sotto la direzione del capogruppo Orlando Deon – si rimbocca le maniche per realizzare una struttura polivalente, con tutti i comfort, cucina annessa e magazzino compresi. Tant’è che spesso la sede viene ‘prestata’ per altri eventi legati alla comunità locale, come il pranzo degli anziani e altro ancora. «La realizzazione della sede è il frutto di un grande lavoro collettivo, proprio quello spirito che anima noi alpini. Uno spirito che del resto ci viene riconosciuto da tutti. Infatti non sono mancati i gesti generosi da parte della comunità. Le sedie della sede, ad esempio, le abbiamo recuperate da un magazzino dell’Ospedale Civico di Lugano che doveva essere sgomberato». Ora, questo gioiellino di sede accoglie anche alpini di altri Paesi in visita o di passaggio. «Un giorno ne è arrivato addirittura uno dal Venezuela!».
Una sede con tanto di ‘chicca’, visto che per unire cucina e sala multiuso, quale segno di attaccamento alle sue origini, Luigi propone al Gruppo di realizzare un piccolo Ponte di Bassano. Dal dire al fare ci si è però messa di mezzo… la pandemia. «Avevo ricevuto il benestare del Municipio, a cui avevo presentato il progetto durante una cena. Così è partito tutto l’iter di progettazione e la prima parte dell’esecuzione pratica. Quando stavamo per posare le travi del pavimento, il coronavirus ha bloccato tutto per due anni: prima o dopo quasi tutti i membri del gruppo si sono ammalati, cosa che ha imposto uno stop forzato ai lavori». Tutto è però bene quel che finisce bene… «Alla fine, passata la pandemia, ce l’abbiamo fatta a concludere la passerella-ponte. E due anni fa, quando sono andato alla cerimonia per l’inaugurazione del Ponte di Bassano restaurato (quello vero), il capogruppo della sezione di San Zenone degli Ezzelini ci ha fatto dono, per la nostra sede, di un palo originale infisso nel fondale del Brenta per sorreggere il Ponte di Bassano, poi ribattezzato nel 1928 Ponte degli Alpini in ricordo delle centinaia di migliaia di soldati che lo attraversarono per salire sull’altopiano dei Sette Comuni durante la Prima guerra mondiale».
Quindici anni è durata la ricerca della sede per il Gruppo alpini Ticino. Che finalmente, nel settembre del 2015 l’ha trovata grazie in particolare all’intraprendenza (e alla perseveranza) di Luigi Mazzaro. Oggi 76enne, è da sempre al… fronte quando si tratta di partecipare attivamente ad adunate in Italia e a manifestazioni per e con gli alpini in Ticino e nel resto della Svizzera. Della sezione rossoblù, che si compone di un centinaio di tesserati, è anche vicepresidente. «Alcune volte all’anno, come Gruppo alpini Ticino, proponiamo feste aperte a tutti. Il ricavato viene poi devoluto in beneficenza, come la raccolta fondi da destinare agli alluvionati in Abruzzo». Altre volte si mettono a disposizione come volontari ormai prosciolti dagli obblighi militari, andando direttamente sul posto per prestare aiuto: «Ad Asti, quando c’è stata l’alluvione, nel 1994, siamo partiti in una ventina dal Ticino, per rimanerci una settimana. Prima che io entrassi nell’associazione, gli alpini hanno pure costruito un asilo in Russia, nel posto dove una volta era stazionata la Tridentina, poi sterminata. Al progetto – denominato ‘Operazione Sorriso’ – avevano partecipato alpini provenienti da diversi Paesi, e tutta l’impiantistica per la ventilazione e l’idraulica è partita dal Ticino. In Russia ci sono andato poi qualche anno dopo, per visitare l’opera conclusa».
Ed è con i vestiti dell’alpino che si è recato la prima volta in Benin, Paese per il quale si è attivamente impegnato in un’associazione benefica basata in Ticino. «La prima volta che ci sono andato, per vedere cosa si poteva fare, l’ho fatto con la divisa, fra lo sguardo attonito e rispettoso della popolazione locale. Erano soprattutto incuriositi da quella piuma nera sul cappello: mi chiedevano di che animale fosse. Mi chiamavano ‘Hey Bobo’, ma con rispetto». In Benin, poi, Luigi ci tornerà più volte, per impartire i rudimenti di meccanica alla gente del posto, per elargire loro beni di prima necessità, come pure per costruire una scuola e un pozzo per l’acqua. Tutti progetti finanziati anche dalla generosità sua e di parecchie altre persone, fra cui, in prima fila, proprio gli alpini ticinesi.
Cosa significa per Luigi Mazzaro questo riconoscimento di Alpino meritevole 2022 della Svizzera? «A dire la verità non me l’aspettavo, e, ovviamente, mi riempie di orgoglio. Me ne avevano parlato all’assemblea generale di Olten: in lizza eravamo in tre-quattro, e alla fine hanno deciso di premiare me».