Con una mozione parlamentare l’Mps chiede al Gran Consiglio di riconoscere le loro malattie come professionali e perciò indennizzabili dall’Eoc
Parola alla politica. Sotto forma di mozione approda sui tavoli del Gran Consiglio la vicenda del gruppo di ex infermiere dell’ospedale San Giovanni di Bellinzona che dal 2019 sollecitano l’Ente ospedaliero cantonale (Eoc) affinché verifichi l’esistenza di nessi causali fra i problemi di salute insorti in sette di loro una volta andate in pensione (tumori e malattie autoimmuni) e la loro esposizione professionale a sostanze nocive. Esposizione risalente agli anni 80 e 90 quando lavorando per lungo tempo nel reparto di chirurgia-uomini disinfettavano locali e superfici col Buraton contenente formaldeide, sostanza cancerogena al di sopra di un certo dosaggio, e trattavano farmaci citostatici senza le protezioni introdotte solo successivamente. Sette ex infermiere di cui due sono nel frattempo morte; più una terza, già responsabile del reparto, deceduta lo scorso novembre ma che non ha voluto aggregarsi alla richiesta ritenendo che non vi fosse una correlazione fra il proprio tumore letale e le manipolazioni fatte sul posto di lavoro.
L’approfondimento scientifico è stato ripetutamente sollecitato dalle ex infermiere ritenendolo di fondamentale importanza per poi eventualmente chiedere, a dipendenza dei risultati, un indennizzo all’Eoc. Coinvolgendo esperti interni ed esterni, alcuni pareri negli ultimi quattro anni sono effettivamente stati raccolti dall’ente, ma non con le modalità e l’indipendenza sollecitate dalle ex infermiere, assistite da due legali, e concordate a inizio 2022 con l’Eoc medesimo dichiaratosi pronto a finanziare una perizia in contraddittorio. Pronto a farlo, emerge dall’incarto cui ha avuto accesso ‘laRegione’, nell’ottica “di favorire una soluzione amichevole”, pur ribadendo la convinzione che quanto fino ad allora già appurato fosse sufficiente a escludere il nesso causale. Il quale Ente ospedaliero tuttavia, come da noi anticipato il 9 febbraio, lo scorso giugno ha unilateralmente archiviato il caso di fronte alla ferma non volontà del perito romando individuato dall’Eoc medesimo, e accettato dalle ex infermiere, di eseguire gli accertamenti.
Dopo il clamore mediatico suscitato nel 2021 grazie agli articoli del ‘Caffè’, altrettanto non è successo con la notizia dell’archiviazione unilaterale accompagnata dall’appello pubblico della portavoce delle ex infermiere affinché siano aiutate nella ricerca della verità scientifica considerando le risultanze già emerse negli anni passati in altre nazioni. Notizia e appello che non hanno invece lasciato indifferenti il Movimento per il socialismo (Mps) che ora attraverso i deputati Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi chiedono al Parlamento cantonale di occuparsi del caso nell’ambito delle sue competenze ritenendo – scrivono nella mozione – che le “coraggiose ex infermiere del San Giovanni meritino giustizia e dignità!”.
“Dopo un lungo tira e molla – sottolinea l’Mps – alla fine l’Eoc si è rifiutato di far allestire una perizia che potesse analizzare l’esistenza di una connessione tra esposizione al Buraton e ai farmaci antitumorali e malattie. Ciò con argomentazioni non degne di una struttura ospedaliera pubblica la cui missione dovrebbe essere quella di tutelare la salute della popolazione, comprese tutte le persone che lavorano alle sue dipendenze”. Alla commissione parlamentare che si occuperà della richiesta i due mozionanti indicano la possibilità di basare la loro riflessione non solo sugli articoli di stampa pubblicati, ma anche e soprattutto sulla “copiosa documentazione e relativa corrispondenza, così come le dichiarazioni di testimoni che attestano quanto successo”. Nel dettaglio, la mozione chiede che il Gran Consiglio inviti formalmente l’Eoc a “riconoscere come malattie professionali le varie forme di cancro e malattie autoimmuni contratte nel corso di questa vicenda dalle infermiere coinvolte, ancora in vita o decedute”. Punto secondo, “riconoscere alle vittime tutti i diritti pensionistici spettanti a chi ha contratto una malattia professionale e assumersi tutte le spese e gli eventuali diritti pensionistici (in forma retroattiva) che spetterebbero alle vittime nell’ambito delle disposizioni previste in questi casi dalle diverse assicurazioni (Lavs, Lainf e Lpp).
L’Eoc ha chiuso unilateralmente le trattative sulla base di due pagine fitte fitte che Thierry Buclin, capo del Servizio di farmacologia clinica dell’Ospedale universitario di Losanna, ha stilato nel maggio 2022 due giorni dopo essere stato interpellato. A suo giudizio le ex infermiere costituiscono un gruppo troppo limitato di persone, affette da malattie eterogenee e relativamente frequenti, per rappresentare un campione affidabile sul quale indagare. Sempre secondo il dottor Buclin sono inoltre state esposte a dosi deboli di citofarmaci rispetto a quelle somministrate ai pazienti da curare, questo anche considerando le misure di protezione, applicate negli anni 80 e 90, meno rigorose delle attuali. Buclin ritiene poi che ci vorrebbe troppo tempo per confrontare, a posteriori, le dosi cui sono state sottoposte negli anni, la letteratura sulla tossicità dei prodotti e le rilevanze cliniche delle loro malattie per giungere a un’eventuale conclusione solida a tal punto da dimostrare un nesso causale. Vano il tentativo dei legali delle ex infermiere di reclamare contro il mancato contraddittorio. Lo scorso settembre il presidente dell’Eoc, Paolo Sanvido, e il direttore Glauco Martinetti scrivevano che il parere Buclin “non presta il fianco a interpretazioni di sorta e giustifica, al di là di ogni ragionevole dubbio, la nostra posizione”. Respingendo la tesi di essersi rimangiato la parola, l’Eoc ribadiva di disporre di sufficienti elementi a sua tutela per imporre “l’unica scelta possibile”, ossia chiudere il caso in modo inappellabile. La palla passa ora nel campo del Parlamento cantonale, a cominciare dalla valutazione sulla ricevibilità della mozione Mps.