Bellinzonese

Airlight di Biasca fallita ‘a un centimetro dal successo’

Ripreso il processo a carico dei cinque imputati. Tutti coscienti che la situazione fosse delicata. Finanziamenti garantiti ‘ma non tutti arrivati’

L’impianto marocchino, il primo e unico mai realizzato dalla ditta di Biasca
21 marzo 2023
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Una storia di successo finita male, quando al successo mancava appena un metro, «anzi un centimetro». È quanto emerge dal racconto fatto in tribunale stamane a Lugano dai quattro imputati (il quinto è esonerato dal presenziare per motivi di età e salute) nell’ambito del processo sul fallimento della Airlight di Biasca, startup chiusa a metà 2016 con 30 dipendenti a spasso e 25 milioni di debiti. Chiusura ordinata proprio quando era pronta – stando a chi deve rispondere oggi di alcuni reati fallimentari – a entrare sul mercato internazionale energetico col suo primo impianto Concentrating Solar Power, prossimo alla certificazione e in grado di concentrare i raggi solari raggiungendo temperature di quasi 500 gradi, calore da immagazzinare e usare nelle ore successive per fornire energia a grandi impianti industriali. Sospeso il 13 febbraio e ripreso oggi, il processo ha finora ripercorso le fasi antecedenti al fallimento. Il presidente della Corte, giudice Siro Quadri, ha lasciato molto spazio al racconto di quei mesi. I due manager e i due ingegneri seduti al banco degli imputati respingendo tutte le accuse concordano sul fatto che «si è fatto tutto il possibile» per giungere alla certificazione del primo e unico impianto Csp mai realizzato, quello marocchino di Aid Baha avviato per conto del cementificio di Italcementi passato sul più bello alla tedesca Heidelberg disinteressatasi di Airlight che aveva posato tre collettori lunghi 200 metri l’uno.

Un metro, un centimetro sopra la nebbia

La domanda di fondo del giudice è: quanta consapevolezza c’era che la situazione societaria fosse realmente a rischio fallimento? Tutti erano coscienti del rischio, questa la risposta corale, e perciò si è fatto il possibile per evitare il crash. Sia immettendo man mano nuovi capitali, per milioni di franchi, sia cercando di portare a successo il progetto marocchino, che avrebbe poi permesso di commercializzarne altri simili avviati sulla carta in varie parti del mondo. «Siamo arrivati a pochi metri dal successo», ha indicato l’ingegnere leventinese Andrea Pedretti, la mente che ha sviluppato Csp e molti brevetti a essa legati. «Un centimetro», lo ha subito corretto Federico Micheli, ingegnere italiano inserito come tecnico nel Cda e come uomo di fiducia del coimputato Pasquale Cardarelli assente: «Nel giorno del test di certificazione, il 12 settembre 2016, c'era infatti nebbia e l'impianto ha raggiunto una temperatura di 480 gradi anziché i 500 richiesti».

‘Era sovraindebitata’

L’imprenditore Marco Zanetti, da fine 2015 membro e poi presidente del Cda della Holding per conto del nuovo gruppo di garanzia finanziatore, ha assicurato che in quel periodo «c’era una buona prospettiva di arrivare alla certificazione del primo impianto». Pedretti ha parlato di prospettiva più che positiva viste le trattative in corso col gruppo Saipem «interessato a sottoscrivere un contratto di esclusiva per la costruzione di Csp da parte sua in vari impianti industriali nel mondo». Nell’autunno 2015 – ha specificato Zanetti – il rifinanziamento della Airlight holding di Lugano, che foraggiava la manufacturing di Biasca, «è iniziato sulla base del piano operativo e dei report fornitici dalla società di revisione. È iniziato, ma poi non sono giunti tutti i milioni necessari». Lo ha confermato Francesco Bolgiani, l’ultimo presidente del Cda prima dell’entrata del nuovo gruppo di garanzia: «A giugno 2015 c’erano solo 2 dei 6 milioni previsti. Perciò, durante un incontro a Milano col vertice del gruppo finanziatore Millennium dell'ingegnere e manager Alessandro Falciai, fui chiaro nel dire che se i rimanenti 4 milioni non fossero arrivati, avrei depositato i bilanci. Firmato il patto di garanzia, arrivati altri finanziamenti privati, anche miei, a fine novembre c’erano 8 milioni, abbastanza per proseguire sino a fine giugno 2016. Io lasciai la presidenza a fine giugno 2015, ma era chiaro già allora che la società era sovraindebitata». Tuttavia non a tal punto da dover depositare i bilanci, sostengono gli accusati ricordando quando affermava in quel periodo la società di revisione. Fra loro, sempre Bogliani sostiene di aver perso in Airlight 11,4 milioni.

Il fondo del barile e il deposito bilanci

Gli ultimi 2,7 milioni richiesti per arrivare alla quota prestabilita di 11,4 arrivano nell’autunno 2015. Si comincia a grattare il fondo del barile vendendo alcuni brevetti secondari. Si tagliano le spese (via i bonus ai membri di Cda) e si taglia il personale. Qualcuno si licenzia, in disaccordo col nuovo management. Il quale nella primavera 2016 avvia trattative bancarie con Bsi per i rinnovo del prestito obbligazionario, senza giungere all’esito sperato: «A giugno purtroppo tutto finisce perché i principali membri del gruppo di garanzia decidono di chiudere i rubinetti. Peccato, mancava pochissimo al traguardo», dice Zanetti. Un metro, un centimetro. «Un vero peccato – ha sottolineato Micheli – perché Airlight aveva sviluppato una tecnologia di punta molto attesa sul mercato energetico mondiale. Avevo previsto di ottenere la certificazione in tre mesi. Ma si è reso necessario perfezionare gli specchi, la tecnologia e il software. Ero tranquillo perché sapevo che i finanziatori avevano garantito i loro impegni. E invece… Infatti quando nell’aprile 2016 dalla holding non sono arrivati più i salari, ho portato i bilanci della manufacturing in Pretura». Zanetti ha dal canto suo specificato che in quel periodo era in corso una procedura di cessione della manufacturing medesima. Nell'agosto successivo la società di revisione ha segnalato alla Pretura il sovra indebitamento della holding, poi fallita nell'estate 2017.

L'uscita di Pedretti

Entrando poi nel merito dell’atto d’accusa, riguardo al primo punto relativo all’amministrazione infedele aggravata a carico di tutti tranne che Bolgiani, emerge un presunto danno alla massa creditizia per 628mila franchi riferiti a Pedretti: in parte quale salario versato nella prima parte del 2016 (fase certificazione) nonostante da marzo non lavorasse più per Airlight (come azionista di minoranza era stato tagliato fuori con la ricapitalizzazione di fine 2015 e aveva perciò deciso di andarsene), in parte per vecchie ferie non godute, in parte come condono di un vecchio mutuo di 250mila franchi concesso a suo tempo per l’acquisto di villa Bonetti a Bellinzona: «Nella fase cruciale della certificazione non potevamo perderlo», ha detto Zanetti: «Era il nostro cervello, tutto dipendeva da lui». Pedretti dal canto suo ha specificato che la soluzione «di uscita l’avevo chiesta al direttore finanziario, concordando inoltre sul fatto che in caso di utili derivanti dalla certificazione, avrei ottenuto un bonus».

Favori concessi a creditori o plusvalenze?

Al punto 3 dell'atto d'accusa firmato dal procuratore pubblico Daniele Galliano viene rimproverato a quattro imputati di aver ceduto brevetti e proprietà intellettuali danneggiando i creditori per alcuni milioni. Tesi contestata dalle difese: in particolare Zanetti ha dichiarato che nel 2016 «sono stati cancellati debiti per 8 milioni a favore della holding», producendo un plusvalore per 6,4 milioni: «È stata un'operazione di pur risanamento finanziario». Il processo prosegue mercoledì con la requisitoria e richiesta di pena, seguita dalle arringhe difensive.

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