Biasca/Lugano: devono rispondere di reati fallimentari i vertici della startup chiusa nel 2016 sotto il peso di debiti per 25 milioni
Con una lunga serie di eccezioni avanzate dai difensori – e con tre assenze di peso sul banco degli imputati, assenze sulle quali la Corte deve pronunciarsi riunendosi in camera di consiglio – si è aperto e si è subito infilato in questioni formali questa mattina a Lugano davanti alle Assise criminali il processo a carico di cinque ex dirigenti della Airlight di Biasca, startup nata nel 2007 e fallita nel 2016 sotto il peso di debiti pari a 25 milioni di franchi per non essere riuscita a commercializzare il proprio sistema a concentrazione solare, il cosiddetto Csp Concentrating Solar Power. Impianto costituito da specchi parabolici molto più performanti dei pannelli tradizionali piatti.
Il quintetto respinge le accuse. I reati imputatigli singolarmente e in correità, elencati nelle venti pagine dell’atto d’accusa, vanno dalla cattiva gestione ai favori concessi ai creditori, dall’amministrazione infedele aggravata alla diminuzione dell’attivo in danno dei creditori. Il pp Galliano e anche la Corte non vedono di buon occhio la disgiunzione dei procedimenti, chiesta da alcuni imputati per sanare l’assenza. A una perizia tecnica ordinata dalla Corte per fare luce sui principali aspetti del fallimento, i difensori ne hanno contrapposta una di parte che giunge a pareri opposti («la distrugge») e non evidenzia responsabilità penali. Chiesto quindi da uno dei legali il confronto in aula fra i due periti. E l’audizione della persona che avrebbe giocato un ruolo determinante nel gruppo di garanzia che tra fine 2015 e inizio 2016 ha tentato di risanare con un accordo di garanzia la situazione allora molto critica, per poi non versare – secondo i difensori degli imputati – quanto previsto. Sollecitata pure l’esclusione degli accusatori privati rappresentati in tribunale dai loro legali. Motivo: era chiaro che come startup, Airlight aveva un rischio perdita elevato senza diritto d’indennizzo per i finanziatori.
Oggi che chiunque sa cosa sono le fonti rinnovabili, loro avevano sviluppato il fotovoltaico ad altissimo livello per alimentare grandi impianti industriali. Come il cementificio di Ait Baha, a un’ora d’auto da Agadir in Marocco, dove gli ingegneri e azionisti di Airlight nel 2016 sono giunti a un passo dal farcela. Ma sopra le loro teste – come verrà ricostruito durante il dibattimento e come uno di loro ha già raccontato alla ‘Regione’ due anni fa – altri poteri e altri manager hanno deciso diversamente, tagliando definitivamente le gambe alla startup ticinese che aveva realizzato sotto il sole marocchino tre collettori lunghi 200 metri e alti dieci investendo una cinquantina di milioni senza incassare nemmeno un franco. Questo perché l’attesa certificazione dell’impianto non è mai arrivata e perché il committente, il gruppo Italcementi, non ha mai consolidato l’acquisto essendo la società italiana a sua volta passata nelle mani del gruppo tedesco Heidelberg poi disinteressatosi di Airlight. Società biaschese che al culmine del suo percorso dava lavoro a 55 dipendenti tra il sito di Biasca attivato nel 2007 (la Airlight Energy Manufacturing Sa fallita nell’estate 2016 lasciando a casa una trentina di persone) e la sua Holding di Lugano fallita nell’estate 2017 ma che non aveva più ‘mezzi liquidi’ già dal giugno 2015, anno terminato con una perdita di 10 milioni.
La Corte è presieduta dal giudice Siro Quadri e l’accusa è sostenuta dal procuratore pubblico Daniele Galliano. Alla sbarra per rispondere di reati fallimentari vi sono i dirigenti che hanno ricoperto varie funzioni fra direttore operativo, membro di Consiglio di amministrazione, amministratore e presidente. Tre su cinque, come detto, sono però assenti per motivi di salute. Si tratta dell’allora direttore operativo Andrea Pedretti: difeso dall’avvocato Pierluigi Pasi, si trova attualmente negli Stati Uniti dove i medici gli hanno sconsigliato di volare; sarebbe pronto a presentarsi, forse, fra alcune settimane e in via alternativa chiede di essere dispensato dal presenziare. C’è poi il già direttore della Banca del Gottardo Francesco Bolgiani tutt’oggi attivo all’età di 84 anni nel campo energetico in Ticino: patrocinato dall’avvocato Paolo Bernasconi, è stato sottoposto a un intervento chirurgico settimana scorsa e intende però presenziare, o in via subordinata venire esonerato. Fra gli assenti anche l’89enne già amministratore finanziario dell’italiana Montedison, e amministratore della Holding al momento del fallimento, Pasquale Cardarelli (avvocato Mario Postizzi), a sua volta esonerato per motivi di salute ed età. Presenti in aula invece Federico Micheli già dirigente in grandi imprese energetiche italiane, attualmente attivo a Lugano nel medesimo campo e amministratore della Manufactoring al momento del fallimento (avvocato Emanuele Verda); al suo fianco il commercialista e broker nel campo delle materie prime Marco Zanetti che ha presieduto la Holding fino a due mesi prima del fallimento (avvocato Stelio Pesciallo).
Riassumendo la situazione: azionista al 100% della Manufactoring era la Holding che provvedeva a cercare i finanziamenti necessari a coprire i costi per il personale e di progettazione, ammontanti a oltre 12 milioni nel 2014 e a 9,6 nel 2015, non essendo la ditta biaschese in grado di autofinanziarsi fin quando non avesse venduto il primo impianto. Durante la sua esistenza la Manufactoring ha dunque ricevuto in tutto 52,6 milioni dalla Holding, costretta a effettuare ben 29 aumenti di capitale, beneficiando anche di ‘prestiti ponte’, per trovare i finanziamenti. Il tutto generando – si legge nell’atto d’accusa – una "importante esposizione debitoria verso banche, azionisti e terzi". Manufactoring che "presentava una manifesta eccedenza di debiti, con costi di gestione esagerati rispetto alla possibilità di finanziamento del gruppo". E un numero di dipendenti ritenuto fuori controllo rispetto all’obiettivo.
I reati di amministrazione infedele e di diminuzione dell’attivo ai danni dei creditori sono addebitati a Pedretti, Zanetti, Cardarelli e Micheli. E si riferiscono all’accordo di "buona uscita" pari a 628mila franchi siglato tra fine 2015 e metà 2016 a favore di Pedretti (fine del rapporto di lavoro 31 marzo 2016) nonostante la Manufactoring "si trovasse in difficoltà finanziarie". Un accordo che secondo l’Accusa altro non era che il condono di un prestito della stessa entità a suo tempo concesso a Pedretti e che questi non era stato in grado di restituire alla Holding. Cosicché 478mila franchi sono stati condonati tramite un ‘bonus’ di 200mila franchi nonostante il contratto di lavoro prevedesse tale possibilità considerando anche l’andamento degli affari (come detto deficitario); altri 100mila hanno costituito una retribuzione ‘una tantum’ in parte come pagamento per ‘ingenti ferie maturate’ nonostante lo stipendio di 240’000 franchi annui già le includesse; infine i rimanenti 175mila franchi a compensazione di 700 ore lavorative per prestazioni da fornire fra aprile e dicembre 2016, facendo così lievitare il suo salario da 16mila a 19’400 franchi mensili, proprio quando la Manufactoring stava fallendo (agosto 2016) e la sua missione in Marocco per la messa a punto del Csp è durata solo 27 giorni. Se a Pedretti viene imputato di aver "anteposto i propri interessi personali a detrimento di quelli della Manufactoring", a Cardarelli, Zanetti e Micheli viene rimproverato di aver "gravemente violato il loro dovere di diligenza e fedeltà verso la Sa".
Per il reato di ‘favori concessi ai creditori’ sono imputati principalmente Micheli, Cardarelli e Zanetti, e in parte anche Bolgiani. Tre gli episodi. In un primo caso – "anziché depositare i bilanci", scrive il procuratore – per aver pagato con i soldi della Holding, ormai sul lastrico, un debito scaduto, ammontante a 1,5 milioni, vantato dalla società panamense Sun Commander Limited riconducibile a Bolgiani e intervenuta in precedenza nell’acquisto di una parte della proprietà intellettuale della Airlight. Un modo di agire ritenuto dal pp Galliano "non usuale e opaco verso altri creditori". Idem per altri 2 milioni restituiti alla panamense Finorion Corporation Ltd, pure riconducibile a Bolgiani, che li aveva in precedenza versati alla Holding in due tappe tra febbraio e maggio 2016. Infine, e siamo a dicembre 2016, il terzetto decide di pagare anche il debito scaduto della Lpf International pari a 4,5 milioni: il contratto ritenuto penalmente rilevante dal pp Galliano prevedeva che il 70% della Sa partecipata Alacaes Sa di Lugano (presieduta da Bolgiani) venisse venduta alla Lpf International (pure di Bolgiani) al prezzo di 4,5 milioni.
Infine il reato di cattiva gestione addebitato a Cardarelli, Micheli e Zanetti: a cominciare dal dicembre 2015, quando a mente del procuratore "era evidente che le spese fossero eccessive in rapporto ai fondi disponibili", e dal maggio 2016 quando nei conti bancari non è più entrato un solo franco, hanno "peggiorato l’eccessivo indebitamento" con una lunga serie di azioni penalmente rilevanti. Fra cui l’assenza di una regolare tenuta contabile; "aumenti di capitale in assenza del consenso vincolante degli azionisti"; "inosservanza delle pressanti richieste" fatte dal revisore affinché presentassero i conti; continuazione della gestione anche dopo il deposito dei bilanci di Manufactoring da parte del revisore avvenuto nell’agosto 2016, ritardando così il fallimento e continuando a chiedere proroghe al pretore di Riviera; inosservanza degli ordini impartiti dal pretore medesimo.
Il tutto "perseverando nella gestione della società e cercando a tutti i costi di ottenere la certificazione dell’impianto in Marocco". L’unico, peraltro, mai realizzato. Che è sorto poco fuori Agadir – aveva spiegato Pedretti alla ‘Regione’ il 1° settembre 2020 – a partire dal 2012 su incarico del gruppo italiano Italgen per il miglioramento energetico del cementificio di Italcementi. Gruppo che nel 2016, proprio quando il Csp di Airlight stava per essere certificato, condizione indispensabile per essere pagato, è stato venduto al colosso tedesco Heidelberg, che si è invece disinteressato alla tecnologia Airlight – sempre secondo Pedretti – preferendo altre fonti rispetto al sole e lasciando i ticinesi a bocca asciutta.