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Morti per Covid a Sementina: tutti gli errori punto per punto

Così i tre Decreti d’accusa ricostruiscono le cause dei 22 decessi in casa anziani. Le (presunte) colpe dei due direttori e della ex capocure

(Ti-Press)
6 maggio 2022
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Tre lunghi elenchi di ripetute decisioni, manchevolezze e negligenze che durante la prima ondata pandemica (marzo-aprile 2020) hanno favorito il contagio da Covid di 39 ospiti su un totale di 80 e il decesso di 22. Atti – secondo la procuratrice pubblica Pamela Pedretti che lunedì 2 maggio ha firmato i tre Decreti d’accusa al termine dell’inchiesta condotta insieme al Pg Andrea Pagani – compiuti "intenzionalmente e ripetutamente" sia singolarmente sia, in parte, in correità fra due o tutti e tre. Comportamenti di cui il direttore amministrativo della casa anziani di Sementina Silvano Morisoli (patrocinato dall’avvocato Luigi Mattei), la direttrice sanitaria Elena Mosconi Monighetti (avvocato Mario Postizzi) e l’ex capocure (avvocato Edy Salmina) dovranno rispondere durante il processo che si svolgerà nei prossimi mesi in Pretura penale avendo impugnato i decreti. La linea difensiva finora tenuta – e lo si è capito sia dalle risposte date dal Municipio di Bellinzona alle varie interpellanze, sia dalle repliche della Direzione della Casa anziani ai due rapporti dell’Ufficio del medico cantonale sulle lacune gestionali da esso scoperte – è quella di respingere in toto le accuse. Quanto ai tre Decreti, ricordiamo, non contemplano più il reato di omicidio colposo ipotizzato a inizio inchiesta, ma unicamente la contravvenzione alla ‘Legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’essere umano’. E propongono il pagamento di multe rispettivamente di 6’000, 8’000 e 4’000 franchi, più tasse di giustizia. La posizione più pesante è quella della direttrice sanitaria.

‘Non hanno intenzionalmente applicato le direttive’

I tre Decreti d’accusa, di cui ‘laRegione’ è entrata in possesso, ricalcano in grandi linee le critiche mosse dall’Ufficio del medico cantonale di cui abbiamo ripetutamente pubblicato le conclusioni. Critiche corroborate in fase d’inchiesta da interrogatori cui sono stati sottoposti sia dipendenti della struttura, sia familiari di ospiti. Dal canto loro, alcuni familiari avevano presentato querela assistiti dall’avvocata Sandra Xavier. La pp Pedretti scrive che tutti e tre gli accusati si sono "intenzionalmente e ripetutamente opposti" ad applicare "provvedimenti, direttive, istruzioni e raccomandazioni prese ed emanate dalle autorità cantonali e federali per impedire la propagazione" del Coronavirus nelle case anziani.

Liberi di girare e alcuni non sottoposti ad analisi nonostante i sintomi

Per cominciare, ai tre viene imputato il fatto che a partire dal 13 marzo 2020 quattordici ospiti abbiano "continuato a muoversi liberamente all’interno della struttura", a "consumare pasti nelle sale comuni" presenti al pianterreno e ai piani superiori, a "svolgere attività in comune". Tutto ciò nonostante sin dal 2 marzo l’Ufficio del medico cantonale indicasse la necessità di "non far uscire dalla camera il residente" con sintomi.

L’elenco delle situazioni è corposo: in un caso, per esempio, il paziente è stato sottoposto ad analisi il 28 marzo, ossia soltanto 15 giorni dopo il primo presentarsi di febbre sopra i 38 gradi, seguita nei giorni successivi da vomito e diarrea. Inoltre, ciò nonostante, dal 20 al 24 marzo "ha continuato a consumare i pasti nella saletta comune al terzo piano" e "ha partecipato ad attività di gruppo". Situazioni simili si ripetono scorrendo l’elenco dei pazienti affetti in ordine sparso anche da malessere, rigurgiti, mal di gola, voce rauca, tosse leggera, tosse forte, tosse grassa, tosse con catarro, rinite, astenia, dispnea, rallentamento psicomotorio, tremori. Inoltre in quattro casi gli ospiti nemmeno sono stati sottoposti ad analisi sebbene adempissero i criteri indicati dall’Ufficio federale di sanità pubblica, ossia sintomi acuti d’infezione alle vie respiratorie e/o febbre.

Pranzi in comune e attività socializzanti dopo il primo contagio

Nel dettaglio, i Decreti d’accusa indicano che 19-30 ospiti dal 18 al 24 marzo 2020 "hanno continuato a consumare i pasti nella sala comune al pianterreno nonostante dal 18 marzo il virus avesse contagiato i primi collaboratori e ospiti che frequentavano questi spazi". Inoltre "dal 18 marzo al 17 aprile 5-15 ospiti hanno continuato a mangiare nelle salette comuni" presenti nei cinque piani "nonostante non fosse possibile garantire un’adeguata distanza di sicurezza fra tutti i presenti che restavano in uno spazio limitato per oltre 15 minuti". Idem, dal 18 marzo al 6 aprile, per le attività di gruppo socializzati: nonostante il divieto imposto dal medico cantonale il 9 marzo sono stati organizzati incontri di lettura, tombole, atelier creativi, passeggiate nel parco ecc.

Non sono stati tracciati i contatti e i contagi

Ai tre viene anche imputato di non aver allestito rigorosamente fra il 22 marzo e il 17 aprile la lista dei contatti avuti con pazienti positivi, contravvenendo ancora una volta alle disposizioni cantonali. Conseguenza: "Non sono stati tracciati, e quindi non è stato possibile evitare, i contagi". Ma non finisce qui: alla direttrice sanitaria e al direttore viene anche imputato il fatto di aver impiegato nella notte fra il 7 e l’8 aprile, al primo piano, un’infermiera risultata positiva al Covid durante la giornata del 7, ciò che obbligava le parti a rispettare l’isolamento prescritto dalle autorità. Tanto più che proprio il 7 aprile il medico curante ne aveva certificato l’inabilità al lavoro fino al 21. Infine l’ultimo episodio, quello del 16 e 17 aprile: ancora una volta i tre imputati sono accusati di aver violato la direttiva del medico cantonale e la risoluzione governativa sul divieto d’accesso alla struttura avendo autorizzato l’ingresso di tre operai comunali "incaricati dal direttore amministrativo" di eseguire lavori non impellenti di tinteggio al terzo piano.

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