Caso chiuso: la difesa del marito non ha interposto ricorso al Tribunale federale dopo la sentenza di Appello che ha inasprito la pena
È definitiva la condanna a 18 anni di reclusione, all’espulsione dalla Svizzera per 15 e al risarcimento di 50mila franchi per ciascuno dei due figlioletti rimasti orfani della madre, pronunciata in Appello lo scorso settembre a carico dell’eritreo che la sera del 3 luglio 2017 durante una lite ha ucciso la giovane moglie connazionale spingendola giù dal balcone del loro appartamento situato al quinto piano di una palazzina di via San Gottardo a Bellinzona. Lette le motivazioni scritte trasmesse recentemente dalla Corte di appello e revisione penale, la difesa rappresentata dall’avvocata Manuela Fertile ha concluso consultandosi col proprio assistito, professatosi innocente sin dalla prima ora, che non vi fosse spazio di manovra per impugnare davanti al Tribunale federale la sentenza di secondo grado.
Il mazzo di rose lasciato da qualcuno vicino al punto dell’impatto al suolo (Ti-Press)
La Corte presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, ricordiamo, ha inasprito di due anni la pena inflitta al termine del processo di primo grado. Dibattimenti entrambi fortemente indiziari mancando le prove schiaccianti, ma caratterizzati da un impianto accusatorio che ha infine superato ogni scoglio e sgombrato il campo dai dubbi, a tal punto che in Appello la proposta di pena formulata dal procuratore pubblico Moreno Capella è stata accolta integralmente. Il magistrato inquirente aveva fatto leva sulla perizia tecnico-scientifica affidata all’Istituto di medicina legale dell’Università di Berna. Secondo gli esperti solo attraverso una spinta, e non con l’atto volontario di lasciarsi cadere, il corpo della vittima poteva impattare al suolo nel punto dov’è stato rinvenuto, a circa tre metri e mezzo di distanza dall’edificio. Impianto accusatorio inoltre basato su alcuni altri elementi: dapprima il comportamento dell’uomo che subito dopo la caduta non ha allertato i soccorsi e ha nascosto il coltello usato in precedenza per minacciarla, come pure le testimonianze di alcuni vicini (che non hanno visto ma sentito il diverbio) e le escoriazioni sulla gamba e sul braccio della vittima, compatibili con la posizione a cavalcioni sul parapetto e col tentativo di aggrapparvisi per opporsi alla forza del marito.
Un uomo mosso dalla gelosia per il timore di essere stato tradito, considerata l’epatite B riscontrata dalla donna tuttavia non a seguito di rapporti extraconiugali ma a causa di una malattia cronica di origini remote, e anche per il timore che potesse essere rimasta incinta nonostante le rassicurazioni della dottoressa della moglie. La difesa, affidandosi a una controperizia eseguita all’Istituto di scienze forensi di Milano secondo cui la caduta sarebbe stata invece originata da una gesto volontario, nulla ha potuto per ottenere l’assoluzione o una riduzione di pena. Sentenza cresciuta in giudicato, quindi, e caso chiuso.