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Una Legge sulle cave? ‘Così il Cantone non ci aiuta’

La ditta Ongaro di Cresciano critica la proposta del Dt: il nodo dei detriti ticinesi inutilizzati e surclassati da quelli italiani che costano la metà

Giuseppe Ongaro, titolare con la sorella Chiara dell’omonima cava di Cresciano (Ti-Press)
13 novembre 2021
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«Auspichiamo più attenzione dal Dipartimento del territorio affinché nella manutenzione e nel rifacimento delle strade, come pure nella ristrutturazione e realizzazione di edifici pubblici e sussidiati dal Cantone, i detriti di cava siano privilegiati nella posa dei sottofondi delle carreggiate e nella produzione di calcestruzzo. Così facendo si favorirebbe il prodotto locale ticinese più di quanto non si faccia oggi. Il tutto riducendo sensibilmente l’importazione di ghiaia e ghiaione dalle fasce italiane di confine, materiali tutt’oggi privilegiati in Ticino in misura eccessiva vantando un costo troppo competitivo, trasporto incluso via camion, pari a circa la metà di quello ticinese». Così riassunta, è una delle richieste che la Ongaro Graniti Sa di Cresciano formula al Dt nella consultazione sul disegno di Legge cantonale sulle cave. Proposta elaborata dal Dt medesimo e contro la quale vi è stata una levata di scudi (‘laRegione’ del 3 novembre) dal Comune di Riviera, dai Patriziati della regione e da diverse ditte attive nell’estrazione e lavorazione della pietra naturale. Dopo il gruppo Maurino (‘laRegione’ del 4 novembre) oggi anche i fratelli Ongaro fanno sentire la loro voce.

‘Non coinvolti’

Nelle loro considerazioni generali, chiedono di spiegare chi abbia ritenuto necessaria l’introduzione di un’apposita legge e chi (e con chi) abbia eseguito gli approfondimenti sulle problematiche vissute dai cavisti. «Temiamo infatti – spiegano alla ‘Regione’ Chiara e Giuseppe Ongaro – che i principali attori, quali Patriziati, Comuni e gestori, non siano stati debitamente coinvolti». Quanto alla necessità della legge, vale l’interrogativo già sollevato in altre prese di posizione, e cioè se non siano già ampiamente sufficienti le norme vigenti come il Piano direttore cantonale con la sua scheda V8 dedicata alle cave, la Legge edilizia, quella organica patriziale e quelle ambientali e pianificatorie. Pollice verso anche sul fatto che il disegno di legge aumenti «a dismisura i compiti e costi a carico del gestore». Gli Ongaro lamentano pure il fatto che la regolamentazione proposta «è nettamente in ritardo rispetto alla pianificazione e alla data del 31 dicembre 2021 quando scadrà la moratoria governativa ai Patriziati proprietari per la conclusione o il rinnovo dei contratti di affitto delle cave». Riguardo poi ai singoli articoli di legge, dubbi vengono sollevati sulle procedure pianificatorie previste e sulla durata delle concessioni di 5-10 anni, «nettamente insufficienti per i gestori», confrontati con investimenti milionari da pianificare su 20-30 anni.

‘Enunciazione insufficiente’

Quindi il capitolo ‘detriti di cava’. Nella proposta di legge l’articolo 14 sancisce che “il Cantone e i Comuni promuovono per quanto possibile l’uso di materiale estratto dalle cave cantonali nelle procedure sottoposte a commesse pubbliche”. Gli Ongaro non ci stanno: «Si tratta di un’enunciazione di principio, assolutamente insufficiente per i gestori. Da anni, invano, chiediamo garanzie per un chiaro impegno del Cantone verso un maggior utilizzo del materiale estratto dalle cave ticinesi. Questo anche per quanto riguarda il problema dei detriti di cava», ossia quelle parti di scarto «che, viepiù inutilizzate, intasano i nostri sedimi e per le quali non vi è possibilità di smaltimento a causa della politica cantonale di approvvigionamento del materiale inerte», per il quale committenti e ditte si rivolgono in larga misura Oltrefrontiera. «In diversi articoli della proposta di legge – proseguono i fratelli Ongaro – si fa riferimento al riciclaggio del materiale, ma nelle cave non è permesso utilizzare frantoi e in ogni caso i costi sono nettamente più alti rispetto all’importazione dall’estero, rendendo così di fatto il detrito di cava inutilizzabile sul mercato».

La mozione in Gran Consiglio

La questione è dunque politica. E infatti da giugno è pendente in Gran Consiglio la mozione comunista (Massimiliano Ay e Lea Ferrari) che chiede di “diminuire l’importazione di ghiaia e sabbia dall’estero e incentivare il materiale naturale presente in grandi quantità nelle cave ticinesi”. Una comparazione fatta dal Cantone stesso sul medio termine tra la situazione accertata nel 2008 in proiezione 2020, evidenziava un obiettivo di netta riduzione del materiale importato dall’Italia: ossia dal milione di tonnellate di tredici anni fa a 570’000 tonnellate. Obiettivo raggiunto? Affatto, secondo i due deputati, i quali ritenendo quel livello invariato chiedono al Cantone un impegno preciso: “È necessario interrompere la dipendenza ticinese dalla ghiaia italiana, il cui prezzo irrisorio è ancora troppo ghiotto per l’edilizia ticinese che non considera il traffico e l’inquinamento generati. Da sfruttare a pieno è invece il potenziale della filiera locale”.


Il professore di economia Mauro Baranzini intervenuto nel giugno 2019 alla prima giornata nazionale delle cave (Ti-Press)

L’accusa del professor Baranzini

Un’analisi sul tema, tutt’oggi utile a comprendere il quadro generale, era stata fatta due anni e mezzo fa dal professore di economia Mauro Baranzini partecipando alla prima Giornata nazionale delle cave. In quel frangente evidenziava che nel 2016 la cifra di inerti entrati dalla vicina Penisola era salita a 1,08 milioni di tonnellate, nel 2017 a 1,18 milioni e nel 2018 a 1,244 milioni. Rivolgendosi al pubblico presente Baranzini puntava il dito contro «la mancata difesa del settore da parte del Dipartimento del territorio». Settore il cui fatturato annuo «è di 60 milioni di franchi che ne genera 90 di Pil, ossia tre volte quello del Festival del film di Locarno». Su un volume di cavagione di 330mila metri cubi annui, i detriti ammontano a 120mila. Più di un terzo. «In passato – evidenziava Baranzini – i detriti sono stati utilizzati per la produzione di inerti di alta qualità. Purtroppo negli ultimi anni il loro utilizzo è diminuito. Se fino al 2017 veniva smaltito al 100%, nel 2018 e 2019 dalle cave parte ben poca cosa. Questo rende il loro esercizio commerciale molto difficile perché non riescono ad avere lo spazio necessario per continuare estrazione e lavorazione».

‘Prima i nostri anche nel granito’

Molteplici le cause elencate da Baranzini: «In primis un’esplosione dell’import dal Nord Italia di materiale di prima qualità a prezzo bassissimo, fra un terzo e la metà rispetto a quello ticinese, reso ancora più competitivo da un cambio franco-euro in preda a una svalutazione incontrollata». Un import che si materializza annualmente sotto forma di 50’000 autocarri che percorrono ciascuno dai 50 ai 100 chilometri a viaggio per raggiungere i cantieri ticinesi. «Ci si può chiedere – pungolava Baranzini – come mai il Dipartimento del territorio, così tanto giustamente impegnato nel promuovere il trasporto pubblico e lottare contro l’inquinamento, non cerchi di rimediare a questa situazione». Una strategia volta a permettere il recupero di sabbia e ghiaia dalle cave ticinesi, concludeva, «potrebbe essere un primo passo, in base al principio ‘Prima i nostri’, verso un concreto sostegno dell’industria del granito». Parole che echeggiano invano nella cava Ongaro, dove Chiara e Giuseppe osservano tutt’oggi la mole di detriti ulteriormente cresciuta e rimasta inutilizzata.

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