Le informazioni raccolte negli ultimi giorni dalla Commissione del personale confermano in grandi linee quanto scritto nella lettera anonima
Una lettera anonima dai toni eccessivamente drammatici quella inviata un mese fa alla Direzione e alla Delegazione consortile della casa anziani leventinese, come pure al Dipartimento sanità e socialità nonché al medico cantonale, lamentando disfunzioni e pressioni nella gestione del personale? Oppure il quadro esposto corrisponde alla realtà dei fatti? Il punto sarà fatto giovedì pomeriggio quando le parti in causa si troveranno per discuterne insieme; al tavolo della Direzione e della Delegazione consortile si sederanno anche la Commissione del personale e i sindacati Ocst e Vpod. Questi ultimi tre si sono già trovati venerdì scorso per una prima valutazione comune. Da un lato è atteso il risultato delle verifiche attualmente in corso da parte della Commissione di accertamento interna già costituita dai vertici dell’istituto con l’obiettivo di prendere il toro per le corna analizzando la situazione per poi apportare le modifiche che eventualmente s’imporranno; dall’altro vi è già il materiale raccolto ‘motu proprio’ dalla Commissione del personale interpellando parte dei 250 collaboratori distribuiti nelle tre sedi di Faido, Giornico e Prato Leventina. Materiale che stando a nostre informazioni corrisponde in larga misura a quanto esposto nella missiva inviata ai sindacati solo verso metà settembre, ossia due settimane dopo quella spedita alle autorità cantonali e ai vertici dell’istituto, ma non alla Commissione del personale.
D’altronde a indicare la presenza di un certo malessere – fino a che punto radicato lo si sta appunto verificando – vi è una serie di dimissioni spontanee (tre recentissime) di infermieri che nelle loro motivazioni puntano il dito contro le modalità di gestione del personale ritenute autoritarie. Giovedì si saprà insomma se anche la Commissione interna avrà individuato l’origine del problema, ossia "malumori e disservizi" che stando alla lettera e alle testimonianze di un gruppo di dipendenti pubblicate domenica sul ‘Mattino’ sarebbero originati dal coordinatore delle cure e dalla responsabile della qualità. A loro la lettera anonima imputa "una situazione lavorativa al limite dell’assurdo cominciata a inizio 2020" in concomitanza con l’avvio della pandemia da Covid. Oltre a una cattiva impostazione dei turni lavorativi che non terrebbe conto delle percentuali d’impiego, dei periodi di riposo e di un adeguato preavviso in caso di modifiche – il tutto con fare manipolatorio, stando a quanto taluni dipendenti avrebbero riferito alla Commissione del personale – nella missiva viene lamentata la "mancata sostituzione degli operatori assenti per malattie brevi o lunghe, infortuni, trasferimenti tra le sedi oppure dimissioni". Ciò che in linea teorica sarebbe da imputare più che altro alla Direzione degli istituti e alla Delegazione consortile.
Roberto Cefis di Ocst ricorda che il settore sociosanitario durante l’ultimo anno e mezzo è stato sottoposto a enormi pressioni: «In questo difficile contesto sembra emergere, ma attendiamo conferme, che il coordinatore delle cure si sarebbe posto in modo autoritario anziché autorevole nei confronti dei suoi collaboratori. Prima di parlare di mobbing e di giungere a conclusioni affrettate, è perciò doveroso ascoltare tutte le campane per poi circoscrivere il problema. Resta il fatto che nessun collaboratore è mai venuto a parlarci direttamente di questa fattispecie, preferendo la via della lettera anonima: questo crea un certo dispiacere, perché il sindacato è sempre pronto ad ascoltare e intervenire. Idem la Commissione del personale, preposta ad ascoltare i dipendenti e a mobilitarsi in presenza di problemi. D’altronde però mi chiedo se tutto quanto scritto nella lettera anonima sia totalmente veritiero. A noi comunque interessa poter contribuire a riportare il sereno».
«Stando a una prima valutazione cui dovranno seguire gli approfondimenti del caso – evidenzia dal canto suo Stefano Testa del sindacato Vpod – si è in presenza di due ordini di problemi, uno conseguente all’altro. Il primo vede coinvolto un elevato numero di case anziani ticinesi ed è la scarsità di personale. O meglio, i parametri con i quali vengono stabilite le esigenze di assunzione sono a nostro avviso troppo ‘tirati’ per poter rispondere adeguatamente alle più recenti e future esigenze delle case di riposo. Esigenze caratterizzate da prese a carico sempre più complesse dovute alle molteplici patologie e all’età molto avanzata degli ospiti che diventano tali dopo una lunga permanenza a casa loro dove beneficiano, di più rispetto al passato, delle cure a domicilio. Il problema insomma è nel manico».
Ecco perché i sindacati da una parte insistono affinché si aggiornino quei parametri e dall’altra sollecitano la politica cantonale per una modifica del sistema di finanziamento chiamando i Comuni a versare cifre più consistenti: «Peccato che i Comuni, nell’ambito del sistema perequativo delle case anziani, siano molto restii», lamenta Stefano Testa. Il secondo ordine di problemi, prosegue il sindacalista, «è la ripercussione sulle strutture di quanto ho appena spiegato. Di fronte alla scarsità di personale talune direzioni e quadri per dimostrare efficienza adottano provvedimenti che finiscono per generare malcontento fra i collaboratori e, in definitiva, tra gli ospiti e i loro familiari. A tutto ciò si aggiunge poi la necessità di migliorare il livello salariale e lavorativo del personale formato e di quello in formazione», come chiede la mozione parlamentare presentata dal Ps nel 2019 "Per un finanziamento che garantisca una presa a carico degli ospiti delle case anziani in Ticino e un minor sovraccarico/stress del personale".