Il presidente Padlina: 'Per quasi tutte le misure manca la verifica preliminare di un giudice. Il rischio di abusi da parte della polizia è, riteniamo, elevato'
«Siamo in presenza di una normativa che segna un passo indietro importante, e preoccupante, rispetto alle sacrosante garanzie stabilite dal Codice di procedura penale. E poi non è vero che le forze dell’ordine non abbiano già ora le basi legali per poter intervenire efficacemente prima che una minaccia si concretizzi. Pensiamo a quanto accaduto nel 2018 quando la Polizia cantonale riuscì a sventare una possibile strage alla Commercio di Bellinzona arrestando lo studente che l’aveva pianificata. Un esempio eloquente», ricorda Gianluca Padlina, alla testa dell’Ordine ticinese degli avvocati, l’Oati. Continua ad allargarsi la cerchia degli oppositori alla Legge federale sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo (Mpt) in votazione popolare il 13 giugno. Stavolta a scendere in campo contro le nuove disposizioni sono i vertici dell’Oati, ovvero il suo Consiglio. «Abbiamo esaminato attentamente questa legge – riprende il presidente dell’Ordine – e come i nostri colleghi ginevrini siamo giunti alla conclusione che la normativa mette a disposizione della polizia strumenti estremamente incisivi sui diritti fondamentali, sulle libertà personali, senza prevedere un adeguato controllo giudiziario prima dell’applicazione delle misure. Il Codice di procedura penale svizzero contempla tutta una serie di misure coercitive ma l’autorità inquirente che intende attuarle deve ottenere l’autorizzazione del giudice dei provvedimenti coercitivi, che è un giudice di garanzia. Questo meccanismo stabilito dalla procedura penale, e fondamentale in uno stato di diritto, è invece assente in un’altra legge federale, quella su cui i cittadini e le cittadine si pronunceranno a breve. La mancanza di un adeguato controllo giudiziario preliminare – dichiara ancora Padlina alla ‘Regione’ – è secondo noi la principale pecca del testo che come Consiglio dell’Ordine degli avvocati ci auguriamo venga respinto».
Stando alla normativa in votazione, gli arresti domiciliari andranno però confermati o meno dal giudice dei provvedimenti coercitivi.
Sì, ma solo in questo caso. Per tutte le altre misure, che limitano comunque diritti e libertà, il controllo da parte di un organo giudiziario, cioè il Tribunale amministrativo federale, avverrebbe unicamente su eventuale ricorso di chi è stato oggetto di un provvedimento e quindi successivamente all’applicazione della misura. Non capiamo il o i motivi per cui il legislatore federale non abbia previsto l’intervento ‘preliminare’ del giudice dei provvedimenti coercitivi anche per le altre misure, oltre a quella degli arresti domiciliari. Aggiungo che sempre dal nostro punto di vista c’è un altro problema in questa legge.
Quale?
La definizione estremamente vaga di terrorismo e di attività terroristiche. Questa legge potrebbe di conseguenza essere applicata a fattispecie molto diverse fra loro, che non per forza hanno a che fare con il terrorismo, perlomeno come lo intendiamo nel linguaggio corrente.
Insomma il Consiglio dell’Ordine contesta la tesi di chi, come Jacques Ducry, ex procuratore pubblico e già giudice istruttore, cantonale e federale, sostiene che la legge sulla quale voteremo è garantista, anzi “sin troppo garantista”...
Certo. Contrariamente a quanto asserisce l’avvocato Ducry, qui le garanzie sono assolutamente insufficienti, soprattutto rispetto a quelle contemplate dal Codice di procedura penale in base al quale è il giudice dei provvedimenti coercitivi a confermare o no misure restrittive della libertà, ad autorizzare per esempio i controlli telefonici. E di regola quando gli inquirenti dispongono di solidi indizi, il giudice accorda le misure che chiedono di attuare. Il forte rischio è che l’eventuale implementazione della normativa sulla quale il popolo si pronuncerà il 13 deroghi ai principi della Costituzione federale.
Eppure, avvocato Padlina, ci si domanda se il vigente arsenale giuridico elvetico e gli attuali mezzi della polizia bastino a contrastare in maniera efficace il terrorismo.
Guardi, il nostro Codice penale prevede già tutta una serie di fattispecie che permettono alla polizia di intervenire prima del compimento dell’atto, e non soltanto dopo, come lascia erroneamente intendere l’opuscolo informativo del Consiglio federale in vista del voto popolare. Anche i cosiddetti atti preparatori sono infatti puniti. E ricordo nuovamente quello che è successo in Ticino nel 2018, con il fermo di uno studente che stava organizzando una possibile strage con armi da fuoco nella scuola che frequentava. È stato arrestato e poi processato e condannato. È la dimostrazione che gli inquirenti hanno oggi a disposizione gli strumenti per intervenire in maniera adeguata alla situazione.
Forse l’esito di certe indagini dipende anche dalla preparazione e dall’esperienza di chi le conduce...
La bravura degli investigatori non può tuttavia prescindere dal contesto normativo. Per il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, ribadisco, il problema principale di questa legge è l’assenza di un controllo giudiziario preliminare per quasi tutte le misure restrittive. Venendo a mancare questo controllo, che consente di stabilire se un determinato provvedimento si giustifichi oppure no, il rischio di abusi da parte degli organi di polizia è, crediamo, piuttosto elevato.