L'architetta Sabrina Contrato, presidente della commissione d'esperti che ha scelto il progetto, risponde alle critiche espresse sulla ‘Regione’
Per rispondere alle criticità espresse nelle ultime settimane nei confronti del previsto nuovo Quartiere Officine di Bellinzona, il nostro giornale interpella oggi l’architetta Sabrina Contratto di Zurigo, presidente della commissione d'esperti che nell’ambito del Mandato di studio in parallelo deciso dal Municipio cittadino ha valutato le proposte dei cinque team interdisciplinari coinvolti optando all’unanimità per il progetto ’Porta del Ticino’ esposto in piazza del Sole. Con una premessa riguardo all'iter: «Lo sviluppo urbano, soprattutto quando coinvolge un quartiere di questa dimensione e in questo luogo eccezionale, richiede un orizzonte temporale di almeno 50 anni. Ciò vuol dire che, all’inizio, l’attenzione non è rivolta ai singoli edifici, ma a una visione spaziale e a una strategia corrispondente che garantisca uno sviluppo di alta qualità a lungo termine. Per qualità intendiamo la qualità degli spazi pubblici come piazze, parchi, strade e sentieri, ma anche la qualità di garantire lo spazio per le esigenze di utenti possibile. Ciò richiede una buona struttura spaziale, un manuale di regole di qualità e un’idea forte che crei un’identità per il territorio».
Architetta Contratto, c’è chi parla di ‘spianata di costruzioni’ priva di dialogo con i quartieri circostanti, e chi di poca fantasia. Secondo lei perché è così bello il progetto ‘Porta del Ticino’? Quali peculiarità lo differenziano dagli altri quattro?
Il progetto scelto ha convinto il collegio d’esperti per diversi motivi. Da un lato dà all’area storica, che ha un alto valore emozionale per i bellinzonesi, un nuovo valore storico futuro liberandosi dalla chiusura strutturale; inoltre, con l’idea di base di un’almenda al centro dell’area, dando gradualmente ai cittadini la possibilità di appropriarsi dell’area. Questa idea di base di uno spazio aperto comune accompagnato dalla Cattedrale come centro comunitario ha convinto il collegio d’esperti. Non condivido l’impressione che il progetto non terrebbe sufficientemente conto del contesto. Il progetto adotta un approccio molto preciso alla permeabilità esistente, e riprende in modo molto efficace le strade e i sentieri esistenti verso il quartiere e per la prima volta crea un collegamento convincente da nord a sud. Ad esempio, il proseguimento della strada lungo i binari nella zona del pendio crea un incredibile valore aggiunto.
Edificazione diffusa su gran parte del terreno disponibile, anziché una verticalizzazione (una o due torri) che avrebbe lasciato più area libera per soddisfare la necessità di grandi eventi pubblici e creato un dialogo antico-moderno con le due torri di Castelgrande. Perché la prima idea ha prevalso sulla seconda?
Bellinzona è nota per i suoi castelli e le sue chiese: al collegio d’esperti (come tra l’altro all’Ufficio federale della cultura) non sembrava appropriato porre una torre residenziale di fronte alle torri medievali del castello. D’altra parte, l’idea del progetto selezionato di estendere il rapporto spaziale degli edifici storici aggiungendo un altro edificio storico, la Cattedrale, sembrava molto più fine e convincente. Questo rapporto diventa spazialmente percettibile liberando la Cattedrale, situata proprio sull’asse del castello. Trovare un equilibrio ottimale tra spazio sviluppato e non sviluppato in un’area urbana è una sfida. Ma più spazio aperto non significa automaticamente più qualità. Spazi aperti non definiti possono avere un effetto costoso e non identificato, mentre uno spazio aperto chiaro e di grandi dimensioni ha un effetto calmante e purificatore.
Più voci ritengono eccessivo il numero previsto di edifici nuovi (una trentina) e di abitanti (2’500). Cifre adatte per quel comparto e per la Bellinzona del futuro?
Concordo che un’immagine così ‘definitiva’, come quella proposta nell’esposizione dei progetti in piazza del Sole e sui media, possa essere sconvolgente. Ma per quanto le visioni siano importanti, possono talvolta dare un’immagine sbagliata. Questa visione non significa un progetto pronto alla realizzazione. Gli edifici sono piuttosto da intendersi come segnaposto. Come detto all’inizio, questo completamento richiede almeno 50 anni, il che nel mio caso significa che le mie figlie lo vivranno, ma purtroppo io no. Ciò significa che all’inizio si è dovuto fare un’ipotesi su quante persone e quanti dipendenti potrebbero stabilirsi nel lungo termine. Una certa quota è prescritta dalla Legge sulla pianificazione regionale. L’idea della densificazione interna è particolarmente valida in questa zona perché si trova direttamente accanto alla stazione ferroviaria. Gli utilizzi previsti sono anche un’incredibile opportunità per Bellinzona di attrarre target vecchi e nuovi.
Ma non vede anche lei il rischio di speculazione edilizia e di un eccessivo sfruttamento del suolo?
No. Trovo il termine ‘speculazione’ fastidioso e in questo caso inopportuno. Una delle mie responsabilità come presidente di questa procedura era di rendere giustizia a tutte le parti. E sono molto soddisfatta della maniera complessivamente rispettosa in cui si è svolto il processo.
Se parlare di speculazione è eccessivo, ritiene davvero necessaria una nuova offerta abitativa e commerciale così massiccia per soddisfare le esigenze di formazione, tecnologia, cultura, intergenerazionalità, socializzazione e relax?
La risposta va ritrovata in questa domanda: cosa genera un buon quartiere? La più ricca gamma possibile di utilizzi diversi. Ma questo è ottenibile solo se c’è una densità minima di persone. Utilizzi come l’amministrazione cantonale e l’Innovation Park garantiscono già oggi un certo numero di posti di lavoro. Questi aumentano la necessità di uno spazio abitativo adeguato. Ma un buon quartiere significa anche un alto mix di persone, cioè giovani e anziani single, famiglie, studenti e anche appartamenti nel segmento superiore. Questi residenti a loro volta creano una domanda per scuole elementari, negozi e ristoranti o bar. Una posizione di partenza che ritengo incredibile.
Tuttavia, che senso ha inserire una densità abitativa così elevata in un contesto storicamente industriale? Detto altrimenti, ritiene che Città e Cantone con l'accordo sottoscritto nel dicembre 2017 si siano piegate al volere delle Ffs?
Contro-domanda: dove altro si dovrebbe aumentare la densità? Forse ai margini dell’insediamento, dove non ci sono mezzi pubblici, scuole e negozi e i residenti sono costretti a usare l’auto? Credo di no. Se si pone la questione della densificazione, è ovvio scegliere località ben sviluppate, come prescritto dalla Legge di pianificazione regionale. Perciò sì, ha senso aprire l’officina su un nuovo capitolo e svilupparlo. Quanto alla seconda domanda: da un lato le Ffs sono ancora un importante datore di lavoro per i bellinzonesi e dall’altro è interessato a sviluppare un quartiere di qualità. Ciò significa, anche, creare alloggi che la gente può permettersi. Altrimenti ci sarà un alto tasso di sfitto che danneggerà i proprietari e la reputazione del quartiere. Quindi no, non credo che Cantone e Comune si siano piegati al volere delle Ferrovie.
Ritiene allora pensabile, o lo auspica, un contenimento degli indici di sfruttamento nell’ambito della variante di Piano regolatore?
Vede, lo sviluppo urbano è affascinante e complesso. Ci sono incredibilmente molti fattori che influenzano le decisioni. In questa fase si devono stabilire le regole di base del gioco, che definiscono lo spazio pubblico, il mix di utilizzi, le aree minime ma soprattutto i requisiti di qualità. Dev’essere garantito un minimo di spazio, non principalmente per motivi economici ma soprattutto per assicurare un quartiere vivace, come ho spiegato in una risposta precedente.
Il Municipio ha anche varato il Piano d’azione comunale, preludio al nuovo Piano regolatore unico della nuova Bellinzona. Il masterplan e il progetto ‘Porta del Ticino’ s’inseriscono correttamente nel Pac? C’è chi lamenta la mancanza di una progettualità d’assieme.
Non condivido questa opinione. Il masterplan agisce su una scala diversa e lo fa molto bene. Il masterplan si concentra, tra l’altro, sul collegamento dei quartieri, sul rafforzamento del paesaggio fluviale. Afferma inoltre che ha senso consolidare l’area della stazione. Tuttavia, un tale piano generale non può riguardare lo sviluppo di singole aree. L’importante, sono d’accordo, è che l’approfondimento non si contraddica e segua un filo conduttore. È proprio quanto si sta concretizzato.
Demografia ticinese in calo e sfitto in crescita anche a Bellinzona: con la ‘Porta del Ticino’ c’è chi teme di avere alla fine un transatlantico spiaggiato a 300 km dal mare. Non vede questo pericolo?
Come dicevo prima, ci vorranno 50 anni per costruire questo quartiere. Le regole che poniamo oggi devono permettere uno sviluppo secondo le possibilità e il fabbisogno, e la proiezione attuale sulla crescita demografica di Bellinzona, fra cinque anni sarà già superata. Grazie alle sue dimensioni, alla posizione e al programma d'utilizzo, il quartiere ha le migliori premesse per operare come un transatlantico in mare.
Cattedrale a parte, c’è chi critica la realizzazione di un contenitore privo di memoria storica del sito industriale. Non si poteva osare di più?
Se ci si prendesse la briga di studiare le varie tappe e le componenti del progetto, domande come queste sarebbero obsolete. Da un lato, le analisi hanno mostrato quali capannoni varrebbe la pena conservare, quali potrebbero ancora essere utilizzati e quali no. I vecchi edifici non vanno conservati solo perché sono vecchi. Inoltre, il piano delle tappe mostra numerosi scenari secondo cui diversi padiglioni possono essere mantenuti. Questo progetto permette un numero sorprendente di variazioni senza perdere il concetto base.
Nelle interviste proposte dalla ‘Regione’ vengono citati i recuperi di vecchi siti industriali fatti a Losanna (polo museale) e Zugo (coinvolgimento della popolazione nella definizione dei contenuti). A Bellinzona il masterplan è stato invece calato dall’alto con l’accordo Città-Cantone-Ffs senza che la cittadinanza abbia potuto dire nulla, a parte bocciare l’iniziativa popolare ‘Giù le mani dall’officina’. Ritiene sostenibile questo modo di fare? E in effetti, già si parla di referendum contro la variante di Pr.
Un masterplan come quello di Bellinzona contribuisce soprattutto a sviluppare una strategia spaziale olistica che si occupi anche di questioni ecologiche, storiche, sociali ed economiche su vasta scala. Immagino che in questo caso la partecipazione sarebbe stata troppo complessa e astratta. Nel caso dell’officina, due le vie ipotizzabili. O si coinvolge la popolazione fin dall’inizio, ma non si dispone di esempi e punti di riferimento su cui basare una discussione. Questo porta molto spesso a un desiderio che non può essere esaudito e può quindi portare alla delusione. La seconda opzione è sviluppare anzitutto un concetto generale, in base al quale la popolazione viene poi coinvolta. Così facendo la gente può successivamente esporre preoccupazioni e desideri molto più concreti. Ciò che rende il processo più significativo e tangibile. Indispensabile, a mio avviso, è il processo di partecipazione. Perciò sono anche grata per questo colloquio con la ‘Regione’. Le impressioni critiche aiutano ad affinare e a stabilizzare il progetto.
Un giudizio finale sui tre attori coinvolti?
Durante il processo ho sperimentato personalmente come Comune, Cantone e Ffs siano incredibilmente responsabili e interessati e abbiano un approccio serio, profondo. La discussione critica su tutti i progetti è stata condotta principalmente da professionisti. In presenza di divergenze, le discussioni sono proseguite fino al raggiungimento di un accordo. Il progetto selezionato ha il potenziale più elevato e allo stesso tempo permette un certo grado di adattabilità alle condizioni.