Processo fotocopia in Appello per la 41enne russa che nega di aver istigato il marito a eliminare l'ex moglie. Dichiarazioni non lineari? 'Ero sotto shock'
Schiena diritta, coda di cavallo, viso non truccato. Questa volta la 41enne russa tornata alla sbarra perché ha impugnato la sentenza di primo grado che l’ha condannata al carcere a vita per assassinio non ha trascorso tutta la giornata di dibattimento piangendo e stringendo in mano un fazzoletto e un’immagine votiva (com’era avvenuto a ottobre 2019), ma la versione è stata la stessa. Dinanzi alla Corte di appello e revisione penale composta dalla presidente Giovanna Roggero-Will, dalle giudici a latere Rosa Item e Chiarella Rei-Ferrari, nonché dalla giuria popolare, la 41enne ha continuato a negare di essere l’istigatrice del delitto di Monte Carasso, avvenuto il 19 luglio 2016.
Quel giorno suo marito, un ticinese di 50 anni ex pompiere che sta scontando una pena detentiva di 16 anni, è andato a casa dell’ex moglie monipolandole il collo per farle perdere i sensi e poi causandone la morte per sanguinamento dopo averle tagliato i polsi per inscenare un gesto estremo. «Mi ha detto che andava dal dottore, dall’avvocato e poi a parlare con la prima moglie. Non avevo nessun sospetto», ha raccontato in aula la donna che il ticinese ha conosciuto via internet prima di farla venire in Svizzera con le figlie e sposarla. La presidente della Corte l’ha messa di fronte alle molteplici versioni fornite dall’imputata sia durante l'inchiesta che durante il dibattimento di primo grado. In alcune fasi aveva infatti dichiarato di essere a conoscenza di ciò che l’uomo stava andando a fare. «Nei primi interrogatori ero sotto shock, non so perché dicevo quelle cose, probabilmente mi facevano domande suggestive, non lo so», ha dichiarato oggi, aggiungendo che in alcuni casi sarebbe stata l’interprete a suggerirle come rispondere.
«Quello che capitava negli interrogatori che non venivano videoregistrati non si può nemmeno descrivere. Mi trattavano male, non capivo che cosa le persone si dicevano, l’interprete non traduceva, venivo interrogata dalla mattina presto fino a sera tardi, faceva molto caldo e la polizia non mi ha nemmeno concesso la possibilità di fare una telefonata, non mi hanno lasciato il diritto di chiamare il consolato russo», ha sottolineato durante la fase istruttoria del processo la donna. Accuse di accanimento sfociate anche in una denuncia dei confronti della procuratrice pubblica Chiara Borelli, come ha ricordato lei stessa alla Corte, sottolineando che il Procuratore generale si era chinato sulla questione decidendo per un non luogo a procedere.
Come durante il primo grado, anche oggi la 41enne ha negato di aver parlato con il marito - pochi mesi prima dell'assassinio e poco dopo la decisione di un tribunale di trattenere gli alimenti direttamente dal suo stipendio - di un piano per evitare di dover versare oltre 3'000 franchi al mese alla ex. Il marito aveva infatti raccontato che era stata lei a dire: «Se fossimo in Russia daremmo l’incarico di ucciderla a un sicario». Una discussione durante la quale l'uomo aveva poi deciso di agire lui stesso per perpetrare il crimine inscenando il suicidio della prima moglie.
Dopo aver compiuto il delitto, quando l'assassino è rientrato a casa in Leventina, «mi ha spaventata con il suo aspetto, aveva un cappellino in testa, che non aveva mai indossato prima, era aggressivo e nervoso, non sapevo perché. Nella mano sinistra aveva uno zaino nero e sul braccio destro un rigagnolo di sangue. Ho sentito un odore sgradevole che non avevo mai sentito prima». L’imputata spiega che solo allora lui le ha raccontato di aver ucciso l’ex moglie, aggiungendo «se lo dici a qualcuno farò la stessa cosa con te». A quel punto ha spiegato che non voleva più vivere con lui, «volevo liberarmene, magari trovando un altro uomo, era sbagliato tradirlo ma non potevo rimanere con una persona così». Nel 2017 ha conosciuto un uomo «che mi sembrava una persona per bene, ma mi sono sbagliata ancora una volta».
Dal delitto fino alla confessione spontanea dell’uomo avvenuta circa due anni dopo (che si è rivolto alla polizia dopo aver parlato con un prete) l'imputata ha spiegato di aver vissuto degli anni di timore accanto all'uomo. Dichiarazioni che non rispecchiano gli sms spensierati, scambiati in quel periodo con le amiche e letti oggi in aula dalla giudice. «La vita non è fatta solo di sms e di foto, la vita bisogna viverla per capire cos’ho passato con lui negli ultimi due anni, non potevo raccontare a tutti i miei amici quello che mio marito aveva fatto, volevo far vedere che andava tutto bene», ha risposto la donna che in primo grado è stata condannata anche per denuncia mendace per le minacce che dice di aver subito dal consorte. «Voleva che stessi sempre con lui, che facessi tutto quello che diceva lui, altrimenti minacciava di farmi espellere dalla Svizzera».
Il processo prosegue domani con la requisitoria della procuratrice pubblica Chiara Borelli e l'arringa dell'avvocato della difesa Yasar Ravi.