Bellinzonese

Mortale a Lodrino: 'Li ha sfidati'. 'No, ha fatto il suo dovere'

Il processo in Appello si è concluso con le richieste opposte di condanna piena e di assoluzione. La sentenza fra qualche settimana

Rescue Media
16 giugno 2020
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L'impatto letale fra un motociclista ventenne lanciato ad alta velocità sulla pista dell'aeroporto militare di Lodrino e un veicolo di servizio posizionato dall'addetto alla sicurezza al centro della 'tirata' nel tentativo di fermarlo, comporta per il secondo un agire punibile penalmente? Sì secondo la Corte di primo grado che un anno fa lo aveva condannato a 7 mesi di detenzione con la condizionale riconoscendolo colpevole di omicidio colposo, escludendo per contro il reato di messa in pericolo della vita altrui. Una seconda sentenza sarà pronunciata prossimamente dalla Corte di appello e revisione penale davanti alla quale, stamane a Locarno, si è celebrato il processo di secondo grado a seguito dei ricorsi interposti sia dall'imputato professatosi innocente (ribadita la richiesta di assoluzione), sia dal procuratore pubblico Nicola Respini (che ha riformulato la richiesta di condannata piena a 16 mesi sospesi per due anni) sia dagli accusatori privati, ossia il padre del giovane morto che ha chiesto la conferma della condanna, e l'amico della vittima che in quel frangente si trovava in sella a un'altra moto.

'Io vedevo loro, loro vedevano me'

L'imputato 42enne, allroa addetto alla sicurezza dello scalo per conto della Ruag, interrogato dalla giudice Giovanna Roggero-Will e dalle parti ha ricostruito la dinamica di quel tragico 21 agosto 2014, quando i due giovani centauri in sella alle rispettive moto sono entrati in pista poco dopo le 16, violando il divieto d'accesso descritto dalla segnaletica, per lanciarsi a tutta velocità. Accortosi della loro presenza dopo la prima 'sparata' in direzione nord, l'addetto si è messo al volante di un minivan di servizio di colore bianco, è entrato in pista dal cancello centrale e si è fermato nella mezzeria col muso del veicolo rivolto verso i due che proprio in quel frangente avevano iniziato la corsa verso sud. «Come io vedevo loro, ero certo che loro vedessero me», ha ribadito l'imputato ritenendo proporzionato il proprio agire e respingendo la tesi accusatoria secondo cui sarebbe invece stata una forzatura. 

'Saran stati due... tre secondi. Poi lo schianto'

Tuttavia solo uno dei due centauri, quello che scendeva alla sua destra, si è accorto del furgone, peraltro posizionato con fari e lampeggianti spenti, privo di luce rotatoria e dotato di clacson mal funzionante. «La sua velocità - ha raccontato l'imputato - era parecchio inferiore a quella dell'altra moto, il cui conducente mi ha visto solo all'ultimo momento avendo per i primi 10 secondi tenuto il capo chinato sotto il cupolino, forse per andare più veloce e controllare la velocità sul tachimetro. Fatto sta che a 100 metri da me ha alzato il capo e, iniziando a frenare, ha 'scodato' e cambiato traiettoria in direzione del furgone, per finire a impattare sulla parte destra» e morire sul colpo. La perizia tecnica ha stimato una velocità di punta attorno ai 200 km/h e quella d'impatto attorno ai 100. «Saran stati due… tre secondi. Quando ho visto che mi finiva addosso, ho avuto la percezione dell’inevitabilità dell’impatto», ha raccontato l'imputato.

Al lavoro senza piano di decolli e atterraggi

L'addetto alla sicurezza ha dunque agito correttamente? Per chiarirlo è stato chiamato a testimoniare Tiziano Ponti, già comandante della base aerea militare di Magadino da cui dipende quella di Lodrino. «Il 21 agosto 2014 - ha raccontato - erano previste a Lodrino attività regolarmente annunciate da Magadino, con operatività dalle 8 alle 12 e dalle 13.30 alle 17. La mattina erano previste manovre di atterraggio-ripartenza ‘touch and go’ e nel pomeriggio Lodrino faceva da aeroporto alternato, ossia come base di riserva in caso di problemi a Magadino». Dal canto suo l'imputato ha spiegato che «quel giorno avevo iniziato il turno alle 12 e non mi era stato fornito il piano di decolli e atterraggi; sapevo solo che la pista era attiva. In effetti vedevo aerei circolare sopra l’aeroporto».

'Procedura assente, decide il singolo'

Quando alla gestione degli imprevisti in pista - oltre a motociclisti e automobilisti sono stati citati gli accessi abusivi di persone a cavallo e di nonni con nipotini nei passeggini - l'avvocato difensore Brenno Canevascini ha sottolineato che non esisteva allora nessuna procedura chiara e standardizzata: «La responsabilità su cosa fare o non fare era lasciata al singolo addetto alla sicurezza». Dal canto suo Ponti ha rimarcato che «l’aeroporto di Lodrino non è presidiato, non ha torre di controllo e non dispone di un ente responsabile dell’osservazione permanente dello stato della pista. In caso d'imprevisti non c’è una procedura per la chiusura. È possibile telefonare a Magadino che cercherà di mettersi in contatto con gli equipaggi. Fase che può richiedere qualche minuto». Troppo tempo - ha valutato l'imputato - alle prese «con la necessità urgente di garantire l'operatività della pista, considerato che i velivoli militari che avviano la procedura di atterraggio possono impiegare anche solo 30-40 secondi per completarla». 

'Ha agito senza scrupoli'

Nella requisitoria il pp Nicola Respini ha messo in dubbio la capacità di valutazione e le competenze professionali dell'imputato, «ignaro del piano di voli che indicava Lodrino come aeroporto alternato nel pomeriggio. E visto che erano pure esclusi in quel frangente voli privati, non vi era alcuna urgenza di entrare in pista per far uscire i motociclisti. Non da ultimo perché dalla radio ricevente non aveva indicazioni di voli imminenti in arrivo, né ne aveva visti in avvicinamento immediato o in fase di sorvolo». Respini ha pure rimarcato che gli aerei militari «sono tenuti ad atterrare nella prima parte della pista. Quindi, in presenza di vento da sud come in quel frangente, nella parte nord e non nel lato sud verso il quale erano diretti i motociclisti. Semmai, era più pericolosa la posizione del furgone, situato a due terzi della pista dove gli aerei in atterraggio arrivano dopo aver toccato il suolo». Un motivo in più «per ritenere sproporzionato e sconsiderato quanto fatto». Il suo scopo «era dimostrare chi fosse il più forte. 'Qui il padrone sono io'». Secondo il procuratore «ha agito senza scrupoli di fronte a due giovani che volevano divertirsi. Si è assunto il rischio di provocarne la morte».

'Una catena di errori'

Sulla stessa lunghezza d'onda i legali degli accusatori privati. Secondo l'avvocato Pietro Pellegrini vi è stato un «concatenarsi di diversi errori commessi dall'imputato, che con la sua sequela di comportamenti illogici va considerato come la causa unica dell'incidente». Ancora oggi - ha sottolineato l'avvocata Francesca Nicora - ha «ritenuto di aver agito in modo corretto con la priorità di garantire l’accessibilità della pista, ma senza conoscere i piani di atterraggio di quel giorno, mentre era chiaramente indicato che nel pomeriggio Lodrino fosse pista di riserva. Elementi che dovevano essergli noti. Si è arrogato un compito non suo svolgendolo in modo inadeguato. Era arrabbiato con i due motociclisti e li ha sfidati, anziché telefonare a Magadino la cui base avrebbe potuto contattare tutti i velivoli eventualmente diretti a Lodrino. In alternativa avrebbe potuto attivare l’allarme generale prevista in caso di incidente».

'Era vietato entrare e lo sapevano bene entrambi'

Opposta la visione dell'avvocato difensore: «Quando un aeroporto militare è attivo è attivo. I velivoli piombano in pista in soli 20-30 secondi. La priorità è quindi garantire l’esercizio, non certo mostrare i muscoli», ha sottolineato Brenno Canevascini. Quanto ai due motociclisti, «sapevano del divieto d’entrata e della pericolosità del loro agire, perché dovevano attendersi la presenza in pista di veicoli di servizio e aerei. E non era la prima volta che entravano in moto. Se l'addetto alla sicurezza non fosse intervenuto nei loro confronti, avrebbe violato l’obbligo di garantire le condizioni operative dell’aeroporto». Sbagliato quindi, secondo il difensore, sostenere che l'addetto sia entrato in pista per mostrare i muscoli: «Comporterebbe la decisione di voler ledere la salute altrui». Avrebbe forse dovuto, ha chiesto poi Canevascini, «lasciare che facessero la 'sparata'? E dopo quella forse altre? Il tutto, ricordiamo, con aeroporto attivo. Di sicuro non poteva prevedere il corso degli eventi. E no, la telefonata a Magadino, visti i tempi ristretti, non era una soluzione adeguata».