Dopo due domande di adesione respinte, il Tribunale federale ribadisce che Emilio Bossi è legittimato a diventare membro della Corporazione Boggesi Alpe Piora
Cinque anni sono trascorsi da quando Emilio Bossi, agricoltore leventinese di lungo corso, aveva formulato la prima richiesta di adesione alla Corporazione Boggesi Alpe Piora. E solo il recente verdetto della massima autorità giudiziaria svizzera sembrerebbe aver messo la parola fine sulla lunga contesa fra l’ingegnere agronomo di Ambrì e l’ente affiliato al Patriziato generale di Quinto.
Respingendo l'ultimo ricorso interposto dalla Corporazione, il Tribunale federale (Tf) ha confermato le quattro precedenti sentenze pronunciate in Ticino, due dal Consiglio di Stato e due dal Tribunale cantonale amministrativo (Tram). Con il giudizio emesso lo scorso 31 marzo, i giudici di Mon Repos hanno in particolare ribadito che l'assemblea patriziale è incappata in un abuso del proprio potere di apprezzamento quando, in due occasioni, ha negato la concessione al richiedente. La vicenda era cominciata nel 2015 quando a Bossi era stata respinta la prima domanda nonostante adempisse a tutti i requisiti di adesione stabiliti dalla Legge organica patriziale (cittadinanza ticinese, attinenza e domicilio da almeno dieci anni nel Comune in cui ha sede il patriziato ed eventuale svincolo da un altro patriziato). Il Consiglio direttivo della Corporazione aveva allestito un messaggio contrario alla candidatura, ritenendo che l'elevato numero di capi di bestiame di proprietà del richiedente sarebbe andato a scapito del diritto di godimento degli attuali patrizi. Ritenendo arbitraria tale motivazione poiché lesiva del principio della parità di trattamento, il Consiglio di Stato aveva annullato la decisione dell'assemblea patriziale. Nel novembre del 2017 Bossi - patrocinato dall'avvocato Stefano Manetti - aveva quindi postulato una seconda richiesta di concessione ma anche in questo caso la domanda era stata respinta a larga maggioranza. Ne era seguito il medesimo iter giudiziario osservato in precedenza, con Consiglio di Stato e Tram ad ordinare alla Corporazione di tornare sui propri passi e iscrivere l'agricoltore nel registro dei patrizi. Corporazione che ha tuttavia deciso di appellarsi in ultima istanza al Tribunale federale recriminando una lesione della propria autonomia.
Ciò che il Tf, allineandosi ai precedenti verdetti, non ha riconosciuto. Sottolineando come un patriziato non possa essere inteso come un’associazione di comproprietari, anche per Mon Repos risulta determinante l'interesse a evitare l’indebolimento della popolazione patrizia, favorendo allo stesso tempo la tutela e la cura del territorio. Nelle motivazioni, il Tribunale federale ribadisce che i motivi per negare la concessione verbalizzati dall'assemblea non fossero sufficientemente validi. In occasione della seconda votazione, nessuna motivazione a sostegno di una bocciatura era inoltre stata indicata nei messaggi stilati dall'Ufficio patriziale e della Commissione della gestione, che si era invece schierata a favore del richiedente. La maggior parte dei patrizi presenti all’assemblea non si era però lasciata convincere dal rapporto stilato da tale Commissione. Una chiara presa di posizione che invitava l’assemblea a voler decidere tenendo considerazione la tendenza del settore agricolo sul medio lungo termine e l'importanza che gli allevatori professionisti che operano sugli alpeggi rivestiranno in futuro per il mantenimento di questi luoghi pregiati.
I giudici cantonali hanno rilevato che l'unico rimprovero sollevato durante l'assemblea è rappresentato dall'intervento di un patrizio il quale - si legge nella sentenza - "si è limitato a indicare in modo vago che l'accettazione del richiedente avrebbe comportato difficoltà nella gestione dell'alpe", imputando ad Emilio Bossi l'episodio accaduto nel 1995, quando di fronte a una fitta nevicata aveva trasferito il proprio bestiame (l'agricoltore sostiene di non essere stato l'unico) senza coordinarsi con la Corporazione. Altre critiche riportate solamente nei ricorsi (respinte da Bossi e riferite ad episodi più recenti) riguardavo il numero di bovini alpeggiati e la mancanza di preventiva coordinazione con l'Ufficio patriziale. Per la Corte federale, tali motivazioni sarebbero tuttavia dovute essere condivise e discusse durante l'assemblea.
"È un peccato che una vicenda simile abbia chiamato in causa per cinque le autorità giudiziarie - afferma alla ‘Regione’ Emilio Bossi -. Negli ultimi 20 anni la Corporazione ha sempre accettato che io mettessi una parte delle mie mucche sull'alpe, e mai nessuno aveva più tirato in ballo la questione risalente al 1995, dopo la quale ho comunque continuato a lavorare con soddisfazione come dipendente per l’ente patriziale. Certo: diventando membro dei 'Boggesi' avrò gli stessi diritti degli altri patrizi per quanto riguarda utilizzo dei terreni e numero di capi da trasferirvi, ma la sentenza del Tribunale federale mi rende felice soprattutto per una questione d'identità e integrazione. Il mio bisnonno era sì un membro del Patriziato di Bruzella (che Bossi ha dovuto lasciare per formulare la richiesta ai ‘Boggesi’, ndr), ma la mia famiglia risiede ad Ambrì da 120 anni. Parlo il dialetto locale e ho alle spalle 20 stagioni in Leventina come pastore e casaro”. Da noi contattata, la Corporazione (il cui Ufficio patriziale si riunirà prossimamente) ha per il momento preferito non rilasciare dichiarazioni in merito alla questione.