Undici anni al 69enne che cercò di uccidere un richidente l’asilo in un bosco. Due in più di quelli inflittigli in primo grado.
In primo grado era stato condannato a nove anni di carcere per aver tentato di uccidere a colpi di pistola, nel dicembre del 2017 in un bosco sopra Giornico, un richiedente l’asilo pachistano al quale aveva promesso, previo pagamento di denaro, l’organizzazione di un matrimonio fittizio, mai andato in porto, al fine di poter rimanere in Svizzera. A sette mesi dalla sentenza pronunciata dal giudice Amos Pagnamenta (la Corte delle assise criminali aveva sancito che l’uomo aveva cercato di sbarazzarsi dell’asilante per non restituirgli i 6’500 franchi pagati affinché l’unione si concretizzasse), la Corte di appello e di revisione penale (Carp) ha nuovamente giudicato colpevole l’imputato di tentato assassanio, aumentano la pena di due anni e portandola così a undici anni di reclusione. La Carp – riferisce al Rsi – ha dunque accolto la richiesta avanzata della procuratrice pubblica Chiara Borelli durante il dibattimento del processo in secondo grado tenutosi il 5 giugno in cui l’uomo, difeso dall’avvocato Patrick Gianola, si era nuovamente dicharato innocente di fronte all’accusa principale. «Volevo solo spaventarlo», aveva più volte detto durante in primo grado. Una linea difensiva adottata senza successo anche di fronte alla Carp.Diversa, infatti, la versione degli inquirenti, secondo cui il pensionsato – a seguito delle pressioni del pachistano – aveva maturato l’idea di eliminarlo premeditando l’assassinio nel dettaglio.
Il 22 dicembre 2017 ha condotto il 31enne fino a Giornico, in zona Altirolo, con il pretesto che una persona li avrebbe raggiunti con il denaro. Incamminatisi lungo un sentiero, il 69enne ha finto di urinare, ha estratto la pistola e sparato un primo colpo che ha raggiunto il collo della vittima, senza esito fatale. Con il 31enne a terra, il pensioato ha sparato altre due volte, mancando il bersaglio a causa di una serie di fattori: l’agitazione, i guanti che indossava e la frenesia per posizionare sull’arma una spugnetta che aveva funto da silenziatore. Fattori che hanno compromesso la mira e salvato la vita del giovane, che era riuscito a scappare. Dopo averlo cercato invano, il 68enne si è liberato della pistola che, insieme ai colpi esplosi, non è mai stata ritrovata. L’avvocato Gianola ha annunciato che probabilmente ricorrerà al Tribunale federale.