Franco Marinotti si è dimesso anche dal ruolo di direttore artistico del progetto artistico all'ex Cima Norma. Lo abbiamo intervistato
Da alcuni mesi a questa parte sono fioccate le dimissioni ed è stata un’erosione continua. Prima il co-ideatore Stefano Dell’Orto, poi il membro di comitato Daniele Finzi Pasca, e ora il presidente Franco Marinotti, nonché sua nipote Gaia Soldati-Antonini (iscritta lo scorso ottobre). Risultato: il Consiglio della Fondazione Fabbrica del cioccolato nata nel 2015 è ora composto da una sola persona, Giovanni Casella, che assieme a Dell’Orto aveva preparato il business plan per il progetto culturale/commerciale insediato nei locali dell’ex fabbrica Cima Norma a Dangio, in valle di Blenio.
Da fine 2018 inoltre la fondazione non dispone più di un organo di revisione. Le dimissioni più di peso sono proprio quelle del presidente Franco Marinotti, comunicate a metà dicembre e ufficializzate negli scorsi giorni sul Registro di commercio. Contemporaneamente Marinotti – che lo scorso novembre ha pure lasciato la presidenza della sezione ticinese dei Verdi Liberali – ha dimissionato anche dalla carica di direttore artistico della Fabbrica del cioccolato. «Di fatto non mi occupo più del progetto», spiega da noi contattato. «È stata una decisione presa di comune accordo, non sono uscito sbattendo la porta», ci tiene a sottolineare. Sulle motivazioni all’origine della sua partenza, Marinotti risponde che «il progetto in quanto tale diventava molto difficile da portare avanti, tanto lavoro e tanto stress, senza aiuti, senza soldi, con i bastoni tra le ruote, con pochi appoggi».
Non solo è mancato l’appoggio economico, sottolinea, ma anche la condivisione del progetto. «Le mostre possono piacere o meno, però mancava la sensazione di sentirsi accettato dalla comunità». Una situazione che – gli facciamo notare – potrebbe essere stata causata dagli scoperti non pagati dalla Fondazione a dipendenti, artigiani, fornitori e artisti per almeno 230mila franchi. «No, non è quella la ragione. A nessuno fa piacere non ricevere i soldi ma proprio gli artigiani a cui si devono gli importi più grossi (alcune ditte attendono diverse decine di migliaia di franchi, ndr.) hanno capito la valenza del progetto e sono disposti ad aspettare che i soldi arrivino. E prima o poi arriveranno», risponde Marinotti parlando di una sorta di sponsorizzazione. Stando a nostri contatti con queste ditte, replichiamo, l’impressione è in realtà tutt’altra. «Alcuni sono molto arrabbiati, è vero. Ma avrebbero potuto prendere delle misure contro di noi; invece non l’hanno fatto». Va comunque ricordato che a causa di alcune fatture scoperte la Pretura di Blenio aveva aperto la procedura di fallimento della fondazione, poi annullata in seguito a un ricorso.
«Appena c’era liquidità si pagavano i fornitori – continua Marinotti –. Abbiamo rallentato molto l’attività per non generare ulteriori costi e per cercare di pagare tutti». Sul perché il progetto – che lui continua a ritenere valido – non sia decollato, l’ex presidente fa riferimento al luogo «problematico», in cui ogni mostra comporta importanti e costosi interventi. «La Fondazione ha sede in un condominio con una serie di incombenze economiche che non riesce ad affrontare. Le difficoltà sono immense. Con pochi soldi si fa poco e lo spazio è complesso». Marinotti aggiunge che finora è comunque stato fatto un bel lavoro, sia nel sistemare gli spazi che nell’organizzazione di mostre che hanno permesso alla fondazione di ottenere riconoscimenti.
Per poter ripartire la fondazione dovrà rinfoltire il consiglio ed è verosimile che l’attuale unico membro assuma la carica di presidente. Stando a nostre informazioni è possibile che la fondazioni inizi a collaborare in progetti immobiliari con la Cima Norma Sa. Proprio il coté commerciale finora non sviluppato doveva, secondo il business plan, garantire il sostentamento delle attività artistiche. Un aspetto sul quale Marinotti ammette però di non essere mai stato interessato.