Bellinzonese

La Finestra di Bedretto diventa un laboratorio del Poli

Dal prossimo febbraio il cunicolo di servizio della galleria del Furka ospiterà test di geotermia: in questo campo sarà il centro più importante in Europa

4 agosto 2018
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«Servirà a capire meglio cosa succede nelle rocce in profondità quando cerchiamo di estrarre l’energia geotermica e di incamerare calore da usare in inverno». È con questo obiettivo – illustrato alla ‘Rsi’ dal professor Domenico Giardini, che al Politecnico federale di Zurigo insegna sismologia e geodinamica – che la cosiddetta Finestra di Bedretto risorgerà presto a nuova vita. Si tratta del cunicolo di servizio, lungo 5,2 chilometri, usato negli anni 70 e 80 durante la costruzione della ferrovia del Furka, e che da allora è rimasto inutilizzato, con funzione di aerazione. Più volte, nei decenni, il Comune di Bedretto ha chiesto alle autorità federali di investire per collegarlo alla ferrovia, allacciando così l’alto Ticino all’alto Vallese; ma l’investimento è sempre stato ritenuto oltremodo oneroso. Ora, come anticipato dalla ‘Rsi’, dal prossimo febbraio la ‘camera’ che si trova a metà del piccolo tunnel, messa a disposizione dalla proprietaria Matterhorn-Gotthard-Bahn, sarà trasformata dal Poli in un laboratorio di ricerca dal costo di decine di milioni di franchi – assicurati da fondi pubblici e privati – e con una permanenza prevista a lungo termine. Si comincerà con esperimenti sulla geotermia nell’ambito degli studi condotti dal Centro svizzero di competenze per la ricerca energetica nell’ambito della distribuzione di energia. La necessità odierna di un tale centro di ricerca scientifica – il professor Giardini spiega che sarà il più importante in Europa, mentre in America se ne sta realizzando uno simile che sarà operativo più tardi – si spiega col grande interesse legato al potenziale energetico accumulato nel sottosuolo dove, a una profondità di alcuni chilometri, ci sono temperature superiori ai 100° C. Un’energia pulita, sempre disponibile e praticamente inesauribile, sfruttabile – oltre che per accumulare calore diretto – anche per produrre energia elettrica tramite centrali a vapore. Ciò che potrebbe essere un’alternativa alla centrali nucleari ricercata dalla Politica energetica 2050 della Confederazione. «Per riuscire a capire cosa succede quando si lavora a 4-5 chilometri di profondità in rocce molto calde, necessitiamo di condurre esperimenti che non siano di laboratorio – sottolinea il geofisico italiano ai microfoni della ‘Rsi’ –. Abbiamo bisogno di spostarci a circa un chilometro di profondità e condurre esperimenti su scala 10-100 metri in modo da avvicinarci quanto più possibile alle condizioni profonde che si incontrano quando si fa un vero progetto industriale di sfruttamento della geotermia».