«Gli ho chiesto, ma perché volevi buttarla dal terrazzo? Mi ha risposto: signora, questa è la nostra cultura».
Un'inquilina di via San Gottardo 8 a Bellinzona, palazzo teatro del presunto omicidio intenzionale per il quale è stato arrestato un 35enne eritreo accusato di aver gettato la convivente dal balcone del loro appartamento situato al quinto piano, accetta di parlare alla 'Regione'. Non del dramma consumatosi ieri sera verso le 23, perché già dormiva e non ha sentito nulla avendo la camera da letto in un altro lato dell'edificio, ma di quanto accaduto una paio di settimane fa.
«Mi è stato riferito da un testimone oculare – spiega la nostra interlocutrice – che mentre i due stavano litigando, facendosi parecchio notare e sentire dal vicinato, lui l'ha sollevata minacciando di gettarla dal terrazzo che dà sul lato dei garage privati riservati ai residenti, verso le Officine Ffs». Che è lo stesso balcone dal quale la giovane è poi stata in effetti scaraventata ieri sera, stando ai primi risultati dell'inchiesta condotta dal procuratore pubblico Moreno Capella e dalla Polizia cantonale. «Litigavano furiosamente – prosegue l'inquilina citando quanto le è stato riferito – mentre i due bambini di due e quattro anni piangevano. Qualcuno ha allarmato la Polizia e la situazione, in quel frangente, è rientrata».
Prima di allora – prosegue l'inquilina – la coppia non si era fatta notare: «Sembrava andasse tutto bene, salutavano quando li si incrociava da soli o con i bambini all'entrata o nel piazzale del palazzo. Poche parole in italiano per lei (giunta recentemente in Ticino con i due bambini, ndr), mentre lui (in Svizzera da alcuni anni, ndr) lo parla meglio. Gentili, si erano stabiliti qui circa tre mesi fa». La nostra interlocutrice conclude con la domanda che ha posto al 35enne alcuni giorni dopo quel primo litigio: «La sua risposta mi ha lasciata senza parole».
Altri inquilini, avvicinati stamane dalla 'Regione', si dicono sconvolti. Nessuno ha assistito alla scena, ma negli attimi concitati seguiti alla caduta dal quinto piano, hanno visto la povera eritrea riversa a terra, esanime in una pozza di sangue. La stessa che qualcuno, questa mattina, ha cercato di rendere meno evidente impiegando una scopa di saggina nel tentativo di cancellare le tracce di una fine tragica. Il convivente 35enne – raccontano ancora – quando è stato rintracciato dalla polizia era fuori di sé, urlava e sbraitava. Gli agenti hanno dovuto immobilizzarlo con la forza per poterlo accompagnare in centrale dov'è stato sottoposto ai primi interrogatori. L'accusa mossagli, come detto, è omicidio intenzionale. Nel frattempo i figli sono stati affidati all'Autorità regionale di protezione, cui la situazione familiare non era sin qui nota.
Finora né la Polizia cantonale né il procuratore pubblico Moreno Capella, che coordina le indagini, hanno interrogato il 35enne. Una prima audizione avverrà probabilmente nella giornata di domani, quando il magistrato inquirente – che non ha incontrato l'arrestato – avrà letto il rapporto di polizia consegnatogli stamane. Agli atti non figura alcuna ammissione di colpa. Anzi, sin da subito, da quando sono intervenuti gli egenti, nega di averla spinta o buttata di sotto. D'altronde le ipotesi su cui gli inquirenti stanno lavorando, oltre a quella dell'omicidio volontario, sono più d'una.