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Lavoro sempre più precario in Ticino

Le storie di chi aveva un impiego e ora tira la cinghia, come Luigi, padre di 4 figli, il quinto in arrivo, in sei vivono con tremila franchi

Le storie di chi aveva un impiego e ora tira la cinghia, come Luigi, padre di 4 figli, il quinto in arrivo, in sei vivono con tremila franchi

15 marzo 2021
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Come prima di una tempesta, si vive un clima sospeso, anche se gli indizi di una precarietà che avanza ci sono tutti, nella ricca Lugano, come a Chiasso, Mendrisio e nel Sopraceneri. Le città sentono arrivare uno tsunami economico e sociale che fa paura. La prima ondata ha già travolto, chi risponde in prima linea ai morsi della povertà, quella che ti lascia con un mucchio di fatture scoperte e nulla in frigo. Il 2020 è stato un anno record: triplicati gli aiuti erogati da Soccorso d’inverno (850 mila franchi); raddoppiati quelli da Caritas (100mila franchi) e da Croce rossa (535 mila franchi), sotto pressione la fondazione Francesco di fra Martino: 400 mila di aiuti in buoni spesa e fatture saldate. Più persone in fila nei 14 centri di distribuzione di Tavolino Magico, che consegna cibo ogni settimana a 2’016 persone (+10%). Nuovi precari senza un volto ben definito, che la statistica ufficiale inizia a cogliere: 4mila posti di lavoro persi in Ticino (gran parte occupati da donne) nel 2020, che non si traducono in un boom di disoccupati (50mila in più in Svizzera dalla pandemia) sia grazie all’effetto stabilizzante degli aiuti anti-crisi (lavoro ridotto, indennità di perdita di guadagno) sia per il ricorso ai risparmi per non cascare nell’assistenza. Fa molto riflettere inoltre un altro trend: il nuovo aumento dei frontalieri, saliti a 70mila (erano 35mila nel 2004), rappresentano il 28% degli occupati in Ticino. Quasi un lavoratore su tre è frontaliere, il 65% è nel terziario. In vari comuni del Mendrisiotto, ci sono ormai più frontalieri che ticinesi (ad esempio, Stabio ne conta 67%; Mendrisio è al 57%). Come conseguenza, ahimé, c’è chi deve partire: i giovani cervelli ticinesi (800 l’anno) emigrano per trovare lavori più interessanti e meglio remunerati oltre San Gottardo, lasciando alle spalle un Ticino impoverito che di anno in anno vede diminuire la popolazione residente. “Il grosso problema in Ticino è l’occupazione precaria che la crisi sta peggiorando”, spiega l’economista e docente Supsi Christian Marazzi. Insomma essere poveri pur lavorando in un mercato che garantisce sempre meno buoni posti di lavoro. 

L'economista Christian Marazzi

‘Altro che austerità, bisogna investire in sbocchi professionali di qualità’

In Ticino 4mila posti di lavoro in meno, enti caritatevoli travolti dalle richieste, eppure disoccupazione e assistenza sono tutto sommato stabili. Cosa succederà quando la rete di aiuti anti-crisi finirà?

Prevedo un aumento dell’occupazione precaria (di posti di lavoro temporanei e intermittenti) che rischia di consolidarsi nel mercato ticinese. Lo vediamo dalle statistiche, le prime vittime sono le donne: lavoratrici che garantivano, con tempi parziali brevi, stabilità al reddito di molte economie domestiche. Il mercato tiene grazie ai dispositivi anti-crisi (lavoro ridotto, indennità per perdita, crediti agevolati e aiuti diretti a fondo perso a piccole-medie imprese) ma è indubbio che in questi mesi, dentro molte imprese, si stanno pensando e avviando processi di razionalizzazione, di riduzione di costi e personale.

Meno posti di lavoro ma avanzano ancora i frontalieri, le aziende se assumono guardano verso l’Italia ed 800 cervelli ticinesi se ne vanno ogni anno. Si può continuare così?

Si assumono frontalieri perché costano meno, ma anche perché hanno le competenze giuste in settori (sanitario e servizi di cura alle persone). L'uscita dalla crisi pandemica per la nostra economia comporterà una forte pressione sui costi del lavoro, anche perché con la digitalizzazione e l'esplosione del lavoro in remoto la concorrenza si fa sempre più globale. La fuga dei cervelli dal Ticino è inevitabile se non si interviene subito sul livello dei salari e con la creazione di sbocchi occupazionali di qualità. I mezzi ci sono, occorre scegliere quale modello di sviluppo vogliamo.

Un’economia, quella ticinese, già fragile, prima del Covid: chi sono le vittime?

Siamo entrati in questa crisi con numerose criticità che però erano contenute, perché lo stato sociale in Ticino, malgrado reiterati interventi di limatura, è rimasto solido e perché negli ultimi anni il mercato è stato fortemente femminilizzato. Ora gran parte di questi tempi parziali occupati da donne sono spariti, almeno temporaneamente, e molti indipendenti, a causa delle misure anti pandemia, sono scivolati in situazioni di povertà, tamponate da varie associazioni caritatevoli. Le misure di salvataggio economico sono reattive ma non preventive. Non coprono ad esempio le spese di esercizio delle attività, dunque se protratte a lungo mantengono a galla una massa di indipendenti senza però garantire la continuità della loro attività. Chi può attinge ai risparmi, a prestiti familiari o bancari, ma non può durare a lungo. La politica deve chiedersi quale stato sociale vogliamo assicurare per uscire dalla crisi.

Stato sociale ma anche indebitamento pubblico, quali soluzioni per una politica lungimirante?

La sfida sarà usare l’aumento del debito pubblico, non tanto per giustificare politiche di austerità invocando la disciplina dei disavanzi, ma per convertirlo in debito ‘buono’, per dare continuità allo Stato sociale e per creare ‘buoni’ posti di lavoro, in un Cantone che soffre di un’occupazione sempre più precaria. Lo Stato potrebbe creare ad esempio un ente cantonale per l'ambiente, accorpando tutto ciò che è disperso sul territorio, puntando ad una crescita economica sostenibile. Sarebbero nuovi posti di lavoro sicuri, una boccata d’ossigeno. Le premesse per una ripresa forte ci sono, visto anche l’aumento del risparmio, ma dobbiamo orientare gli investimenti verso sanità, socialità, ricerca e cultura.

La testimonianza di Luigi, 36 anni

‘Quattro figli, il quinto in arrivo e il lavoro non c'è più’ 

Luigi C., 36 anni, due anni fa è arrivato in Ticino, in Italia aveva un lavoro come guardia giurata ma la paga era misera per mantenere moglie e quattro figli: “In Italia facevo vigilanza armata di persone e beni, prima a Salerno poi a Ponte Chiasso, mi capitava di lavorare anche 16 ore al giorno, ero pagato 5 euro all’ora, era impossibile tirare avanti”, ci spiega. Grazie ad un parente trova lavoro a Lugano per un’agenzia di sicurezza e si sposta in Ticino, qualche mese dopo la famiglia lo raggiunge e vanno tutti a vivere a Morbio Inferiore. “Andava bene, ero impiegato in galleria ferroviaria per garantire la sicurezza degli operai, era un lavoro su chiamata, più ore facevo più ero pagato. La ditta avrebbe dovuto cambiarmi il contratto lo scorso anno ma è arrivata la pandemia e ha mandato all’aria tutti i piani”, racconta il padre di famiglia. Sta ritirando la spesa al Centro di distribuzione di Tavolino Magico di Chiasso dove è stato indirizzato dai servizi sociali del comune. “Qui ogni settimana riceviamo una spesa grossa con cibo fresco, frutta e verdura, sono prodotti sani e costosi, ci aiuta davvero molto, risparmiando sulla spesa possiamo coprire altre spese, come la fattura del medico”, commenta. La situazione non è rosea. “Per qualche mese ho ricevuto la disoccupazione, erano 3’700 franchi e ce la cavavamo. Ora la ditta mi ha messo in lavoro ridotto, dobbiamo vivere con 3mila franchi in sei”, spiega. Facciamo insieme due conti: 1’300 franchi l’affitto, 200 franchi di mensa scolastica per tre bimbi, altri 1’000 franchi per la cassa malati ma ci sarà una riduzione. Per mangiare restano circa 500 franchi, nessun extra è permesso. “Noi facciamo sacrifici ma ai nostri figli non vorremmo far mancare nulla”, precisa la moglie Raffaella, che non perde la speranza. Un quinto figlio è in arrivo. “Dopo quattro maschi, avremo una bimba”, dice sorridente, col piglio di chi la prende come viene e sa adattarsi. I ragazzi sono in fila, il più grande, 7 anni, va alle elementari, il più piccolino ha 3 anni. I bisogni sono tanti: “Ci servirebbe un'auto più grande, sicuramente d’occasione, ma non possiamo permettercela. Viaggiamo in 6 su un auto per cinque e arriverà la nostra bimba”. La pizza fuori è un miraggio:  “La fa mia moglie a casa. Inoltre sto ancora pagando debiti che avevo in Italia per affitti arretrati. Ogni extra è un lusso per noi e la spesa grossa si fa in Italia”. 

La famiglia si allarga, Raffaella e Luigi sono contenti ma va trovata una soluzione. “L’agenzia di sicurezza doveva farmi un contratto in fisso, ma la pandemia sta rallentando tutto, mi ritrovo con un contratto su chiamata e qualche mese ancora di disoccupazione garantita. Sto facendo di tutto per trovare un contratto di lavoro e richiedere così un permesso di B, ho anche le patenti di camion e bus, che devo convertire da italiane in Svizzere, ho fatto anche il patentino Suva come magazziniere”, precisa. Luigi si dà da fare, tutta la famiglia fa sacrifici, ma non perdono la speranza di un futuro in Ticino. Anche per la bimba che è in arrivo. 

La testimonianza di Vita, 45 anni

‘Vivere con l'assistenza è dura ma ti devi adattare’

Vita M., 45 anni, aveva un buon posto di lavoro, era impiegata in ferrovia, sui vagoni ristorante. “Ho lavorato sette anni sui treni in Svizzera, avevo un buon lavoro e un ottimo salario, ma poi con la nuova galleria di base del Gottardo i tempi di percorrenza si sono accorciati e ci hanno licenziato in 150”, spiega la donna, che vive nel Mendrisiotto. Si mette subito a cercare un altro posto. “Mi sono iscritta alla disoccupazione, dovevo fare 12 ricerche ma ne facevo quaranta, volevo tornare a lavorare nella ristorazione come cameriera o barista, ma il mio profilo, per un motivo o l’altro, non andava mai bene”. Dopo due anni di ricerche a tappeto senza esito, per Vita si apre la prospettiva dell’assistenza. “Da due anni sono in assistenza, non volendo stare a casa perché mi piace essere attiva, lavoro alla Caritas con un programma occupazionale”, precisa la donna. Vivere con l’assistenza in Svizzera non è evidente. Vita viene segnalata dal suo comune a Tavolino magico e ottiene la tessera, ogni martedì si reca al Centro di distribuzione di Chiasso, dove riceve una spesa grossa con frutta, verdura, carne, pane e altri prodotti. “La spesa da Tavolino magico mi aiuta davvero“, dice.  La donna, di origini pugliesi, da 13 anni vive nel Mendrisiotto, ha un permesso C, non ha una formazione specifica e vive sola. 

Facciamo insieme due conti. “L’assistenza paga affitto e cassa malati, anche i trasporti e il pasto fuori casa quando mi reco a Caritas; per tutto il resto mi restano mille franchi, ossia per mangiare, per pagare le fatture (come luce, internet, telefonino). Per i vestiti spendo poco, li trovo di seconda mano a Caritas, per il cibo mi aiuta ogni settimana Tavolino magico e poi faccio la spesa seguendo le offerte dei supermercati. Qualsiasi altro extra è difficile; vivendo con mille franchi al mese, tolte le spese per cibo e fatture, resta ben poco, ma ce la faccio, ci si deve adattare”. Vacanze e una cena fuori ad esempio sono lussi che Vita da tempo non può permettersi. E non per le restrizioni della pandemia. 

Il suo lavoro da Caritas come programma occupazionale le permette di restare attiva, di essere inserita socialmente e arrotondare con un’entrata di 300 franchi al mese. “Ammetto che passare da tremila franchi al mese ai mille dell’assistenza non è stato facile, ma la realtà è questa, ma non mi scoraggio. Il mio obiettivo è tornare nel mercato del lavoro. Vorrei fare il corso di collaboratrice sanitaria della Croce Rossa per occuparmi degli anziani, ma devo fare uno stage e non trovo un posto”, conclude. 

 

Marco Chiesa, presidente Udc nazionale e Soccorso d'inverno 

‘Molti faticheranno ad uscire dalla precarietà’

“La pandemia ha purtroppo creato una nuova povertà”, dice Marco Chiesa. Economista, presidente Udc nazionale, consigliere agli Stati ma anche presidente di Soccorso d’Inverno Ticino. Ottimi osservatori per capire cosa ci aspetta. “Soccorso d'inverno ha triplicato gli aiuti, sostenendo in particolare chi prima riusciva a vivere del proprio salario, penso a lavoratori indipendenti, messi in difficoltà dal lockdown e dalle misure di protezione. Poi ci sono le separazioni, le famiglie che si dividono impoveriscono uno o entrambi i genitori”, precisa. Va comunque sottolineato, continua Chiesa, che la popolazione ticinese ha reagito con grande generosità. “Solo così siamo riusciti ad aiutare così tante persone, grazie alle donazioni della popolazione”.

‘Urgente creare nuovi posti a valore aggiunto’

Le prime statistiche, leggono un Ticino sofferente, 4mila posti di lavoro in meno e un frontalierato ancora in crescita e consolidato nel terziario. “Già prima della crisi, il Ticino aveva un tessuto economico meno resistente rispetto al resto della Svizzera. Colpisce l'ampiezza dei sottoccupati, quasi 20'000. Persone impiegate solo con una percentuale limitata ma vorrebbero lavorare di più, anche questi sono working-poor. È decisamente ora di puntare sulla preferenza indigena, migliorando le competenze qualora vi fossero delle lacune e formando nuove risorse in ambito sanitario e sociale, altrimenti continueremo ad essere dipendenti dall’estero”, commenta. Ottocentomila lavoratori sono ancora in lavoro ridotto, quando gli aiuti dello Stato termineranno, solo allora, si avrà un quadro della situazione, tra chi resiste e chi sarà costretto a chiudere. “La Svizzera vanta un’economia solida, la politica sta dando risposte puntuali, possiamo guardare alle prospettive future con un cauto ottimismo. Molti residenti comunque non usciranno facilmente dalla precarietà”.
Molto dipenderà da come la politica saprà reagire. “In un Ticino, già indebolito dalla contrazione del settore finanziario, è urgente creare nuovi posti a valore aggiunto nel comparto della farmaceutica, sfruttare la nostra vocazione turistica e puntare sull’innovazione mentre creiamo competenze locali nei residenti. Non potremo mai competere sui prezzi ma possiamo produrre qualità. Altrimenti rimarremo imbrigliati in un pericoloso circolo vizioso”.