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Dalla roulotte all'Oscar, incontro con Hilary Swank

L'attrice due volte premio Oscar si è raccontata al pubblico di Locarno: dal lincenziamento da Beverly Hills 90210 al successo. In mezzo tanto lavoro...

10 agosto 2019
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Quando l’hanno (ri)convocata negli studi di Berverly Hills 90210, Hilary Swank ha temuto di essersi sbagliata, aveva creduto in un sogno non alla sua portata. Le avevano assegnato quel ruolo, la giovane madre, doveva durare due anni, ma la serie veleggiava verso la decima stagione e il vento era non era più con lei. Dunque? Licenziata. Per fortuna, può dire oggi, «a volte quando ti si chiude una porta se ne apre un’altra».

Hanno scritto che dal niente ero arrivata al successo: ma erano nove anni che sgobbavo duro

Davanti a lei si è aperto un cancello: provino e ruolo per ‘Boys don’t cry’, che (la leggenda vuole) a 75 dollari al giorno d’ingaggio l’ha portata dall’anonimato all’Oscar: «Un film che ha aperto una strada sul tema transgender, ma se lo avessi capito allora avrei sentito troppa responsabilità». Era il 1999, vent’anni fa. Certo, ha raccontato l’attrice al pubblico sabato mattina, «i giornalisti hanno scritto che dal niente ero arrivata al successo: ma erano nove anni che sgobbavo duro».

Interpretare certe vite è un’esperienza fortissima, te le porti dentro per sempre. Oggi vorrei ruoli che riflettano la mia felicità

Nata in Nebraska, cresciuta in una roulotte nell’estremo nord-ovest degli Usa, Hilary Swank ama ricordare le sue origini umili. Una vera scuola di recitazione non l’ha seguita, gli studi li ha abbandonati, giunta a Los Angeles con sua madre per molto tempo non se l’è passata tanto bene. Ma ben presto è riuscita a trovare i primi piccoli ruoli in tv: «Io volevo un ruolo drammatico, ma mi sono specializzata in commedie di mezz’ora». Non le prime cose da far rivedere agli amici quando vengono a casa, confessa col suo sorriso sicuro e radioso, da non capire se faccia parte di un ruolo da cui sono emarginate le proprie ombre o se scaturisca dalle certezze di chi ha attraversato vincente la propria tempesta.

Il primo Oscar? Ti senti come una palla di cannone sparata in cielo. poi però senti la responsabilità di restare lassù

E oggi? «Sono sposata, mio padre ha subito un trapianto di polmoni e gli ho dedicato tanto tempo. Quando sei giovane pensi solo alla carriera, ora leggo ciò che mi viene proposto. Spesso sono cose belle, ma mi dico che se anche non le faccio non è poi la fine del mondo. Interpretare certe vite è un’esperienza fortissima, te le porti dentro per sempre. Oggi vorrei ruoli che riflettano la mia felicità, nel nostro mondo c’è bisogno di leggerezza. Invece sul set mi tocca sempre piangere... A volte sbotto: hei, ma non doveva essere una commedia?!».

Due Oscar a trent’anni: come si reagisce? «Il primo, per Boys don’t cry, era del tutto inaspettato. Ero solo pazza di gioia, ti senti come una palla di cannone sparata in cielo. Poi però ti ritrovi lassù e senti la responsabilità di restare a quel livello: questo non fa bene alla creatività, quindi ti metti a studiare e lavorare». E così è arrivato pure il secondo, per ‘Million Dollar Baby’ di Clint Eastwood. Per il primo aveva dovuto perdere molto peso, per il secondo mettere su massa muscolare. Vita da attore: «Il cinema è divertente, ma anche molto faticoso». In fondo è questo che si sente di consigliare a un giovane attore: «Oggi ci sono più opportunità, grazie alle tv e allo streaming. Anche quando le occasioni non arrivano l’unica cosa da fare è lavorare e studiare, per trovarsi pronti. È un continuo processo di apprendimento, anche io sento di aver ancora tanto da imparare per arrivare dove vorrei».

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