di Maurizio Agustoni
Ho letto con profondo interesse l’ultimo contributo di Andrea Ghiringhelli sul rapporto tra legge e giustizia. La questione, non nuova, è quella di sapere se esistano principi assoluti e inviolabili, superiori alle leggi. Il punto di partenza di ogni discussione sul tema è l’Antigone di Sofocle (442 a.C.), citata infatti anche da Ghiringhelli, incentrata sul conflitto tra la legge della città che impediva di seppellire i nemici e le leggi divine che imponevano ai parenti di dare sepoltura ai propri morti. Credo che la discussione debba articolarsi su due domande principali: 1. Esistono diritti superiori, intangibili e inviolabili? 2. I tribunali, nell’applicazione delle leggi, devono tenere conto di questi diritti? Andrea Ghiringhelli, nel suo contributo, sembra rispondere affermativamente ad entrambe le domande. È un’opinione che si fonda su argomenti convincenti, ma che rischia di mettere in discussione alcuni principi su cui si fonda la nostra società: la democrazia, la laicità e la separazione dei poteri.
In una democrazia il legislatore è il popolo; nella maggior parte dei casi questa competenza è delegata a un parlamento, ma in alcuni casi il popolo legifera direttamente. In Svizzera esiste di fatto una “democrazia assoluta”, dove il popolo può decidere tutto su ogni cosa. Il popolo non è ovviamente infallibile (il che è abbastanza facile da dimostrare con una reductio ad absurdum: se il popolo fosse composto da una sola persona, bisognerebbe ammettere che quella persona sia infallibile), ma il popolo è sovrano e le sue decisioni sono vincolanti, quantomeno per le autorità statali. Una società democratica nella quale il volere del popolo è sotto la costante minaccia di essere sconfessato dall’applicazione di presunti “diritti superiori” rischierebbe di vivere nell’incertezza e nell’insicurezza. E il diritto, per garantire la pacifica convivenza tra le persone, deve essere certo e sicuro. Inoltre, come sosteneva Charles de Gaulle, democrazia e sovranità (nazionale) sono due concetti inscindibili l’uno dall’altro. Uno Stato nel quale delle autorità possono decidere di non applicare le decisioni del popolo non è democratico, dato che il potere non sarebbe detenuto dal popolo, ma da chi può sindacare sulle decisioni popolari.
Un’altra difficoltà è quella di definire quali sarebbero “i diritti fondamentali superiori” che dovrebbero prevalere sulle leggi. Per esempio il Catechismo della Chiesa cattolica stabilisce che “la legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura in cui si conforma alla retta ragione; da ciò è evidente che essa trae la sua forza dalla legge eterna” (n. 1902). Non sono convinto che questa definizione possa accontentare tutti. Andrea Ghiringhelli cita i valori “dichiarati universali nella carta del 1948 e […] quelli elencati nella convenzione del 1989 sui diritti dei fanciulli”. Ma si tratta ancora e pur sempre di leggi, oltretutto meno universali di quel che si potrebbe pensare. Del resto basta riflettere al caso di Antigone; nella discussione tutti sembrano dare per scontato che Antigone avesse il diritto di seppellire il fratello Polinice, e che la legge della città fosse ingiusta. Ma è davvero così? Polinice, mobilitando dei soldati stranieri, aveva mosso guerra alla città di Tebe perché pretendeva di diventarne re. È così incomprensibile che le autorità cittadine volessero evitare che la tomba di Polinice diventasse oggetto di culto da parte dei loro avversari? Le salme dei principali gerarchi nazisti sono state cremate e le ceneri sono state disperse in fiumi e torrenti. Se un loro discendente chiedesse alle autorità tedesche di concedere loro un loculo in un cimitero, non sono convinto che un eventuale rifiuto sarebbe davvero sbagliato. Insomma, neppure le “leggi divine” invocate da Antigone sembrano poi così assolute. La realtà è che in una società laica è problematico riconoscere l’esistenza di diritti assoluti, perché implica di riconoscere una fonte del diritto trascendentale.
Anche ammettendo che esistano diritti assoluti, superiori alle leggi dello Stato, dobbiamo chiederci quali debbano essere le conseguenze per l’attività medesima dello Stato. Andrea Ghiringhelli sostiene che “lo Stato di diritto pretende il diritto di resistenza”, spiegando che la resistenza a certe norme “ingiuste” sospingerebbe lo Stato “a progredire e a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”. L’opinione di Ghiringhelli, di nuovo, è ragionevole e condivisibile. San Tommaso d’Aquino ha scritto che “chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio”, lo stesso si potrebbe quindi dire di chi trasgredisce una legge tirannica. La domanda decisiva – e qui sta secondo me tutto il problema – non è tanto se il trasgressore meriti un premio (o l’assoluzione), ma chi debba elargire questo premio. Ghiringhelli sembra sostenere che tocchi ai tribunali dello Stato, personalmente ho qualche riserva. In effetti si investirebbero i giudici di un potere quasi oracolare di pronunciare “leggi divine” (più forti di quelle umane), ciò che secondo me è contrario ai fondamenti di uno Stato democratico e alla separazione dei poteri. Credo sia preferibile che sia invece il popolo legislatore a raccogliere gli stimoli di una resistenza, di una disobbedienza o di un’obiezione di coscienza, traendone le debite conseguenze (p.es. modificando una legge o concedendo delle grazie).
Andrea Ghiringhelli, in chiusura del suo articolo, si sorprende “come pure alcuni esponenti del liberalismo ticinese si ergano indignati a reclamare le dimissioni dal Gran Consiglio della deputata socialista” che avrebbe trasgredito le leggi. Non entro nel merito del caso Bosia Mirra, dato che non c’è ancora una decisione finale della magistratura. Credo però che lo stupore di Ghiringhelli non sia del tutto giustificato. Il liberalismo è per sua natura positivista e razionalista. I liberali non hanno nel loro orizzonte né il “sol dell’avvenire” dei socialisti, né l’“alba di tutto” (R. Benson) dei democristiani, non hanno – in termini più prosaici – la convinzione che la nostra società sia solo un’inevitabile tappa verso una condizione migliore (la società comunista di Marx o l’età dello Spirito del beato Gioacchino da Fiore). Questo non significa che i liberali non abbiano valori e principi morali – anzi – ma è certamente meno viva la tendenza a pensare la società (e lo Stato) al di fuori del presente e delle sue leggi. Non mi sorprende quindi che, per un liberale, la trasgressione di una norma giuridica non abbia particolari scusanti, se non quelle che potrebbero trovarsi nella legge stessa (legittima difesa, stato di necessità ecc.) oppure in altri testi giuridici.
Un ultimo accenno ad Antigone; il re di Tebe, per finire, si lasciò convincere dai suoi consiglieri e decise di perdonare ad Antigone la “sepoltura” del fratello Polinice. Il ravvedimento arrivò troppo tardi: Antigone si era già suicidata e ne conseguirono numerose tragedie. Anche la Storia ci insegna che le leggi umane non sono sempre “giuste”. È quindi necessario – come politici e come cittadini – interrogarci costantemente sull’equità e la ragionevolezza delle nostre leggi e modificarle, se necessario, prima che si producano situazioni contrarie al comune senso di giustizia. Questo richiede che ciascuno di noi vada oltre le meschinità delle vita quotidiana e, ogni tanto, esca “a riveder le stelle” e da esse si lasci ispirare.