laR+ l’intervista

‘È Hamas che non vuole mettere fine alla guerra’

L’ambasciatrice israeliana Ifat Reshef: ‘Grazie a Berna per aver messo al bando Hamas. Ma non capiamo come possano appoggiare certe risoluzioni Onu’

L’ambasciatrice israeliana in Svizzera Ifat Reshef
(Keystone)
28 dicembre 2024
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Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, la comunità internazionale e gran parte dell’opinione pubblica si erano schierate con Israele. Dopo oltre un anno di guerra, molti giudizi sono cambiati. Abbiamo provato a fare il punto con l'ambasciatrice israeliana in Svizzera Ifat Reshef, che ci ha parlato di episodi antisemiti, delle ragioni di Netanyahu, dei torti dell’Onu e delle mosse diplomatiche della Svizzera nei confronti di Israele: talune giudicate buone, altre decisamente meno.

Ambasciatrice, lei è una diplomatica abile e di esperienza, altrimenti non sarebbe stata scelta per un Paese così strategico a livello diplomatico come la Svizzera. Quanto è difficile il suo lavoro da quando è iniziata la guerra e in molti la percezione di Israele è cambiata in peggio?

È passato più di un anno dal massacro del 7 ottobre. E non è ancora finita. È stato un anno doloroso e difficile segnato da una guerra che Hamas ha cominciato contro di noi. A ciò hanno fatto seguito, dall’8 ottobre in poi, Hezbollah e gli altri alleati dell’Iran, compreso lo stesso Iran. Per questo abbiamo otto fronti aperti. Per noi tutti rappresentanti di Israele molto è cambiato. Tutto quello che faccio qui è collegato alla guerra, anche perché siamo impegnati a difenderci da una campagna molto ben organizzata per influenzare l’opinione pubblica contro Israele. E questo campo è proprio quello in cui ambasciatori e diplomatici ci troviamo ad avere a che fare. Siamo quindi particolarmente colpiti dagli effetti di questa campagna e di questa guerra. Dobbiamo poi assistere e rapportarci anche a un’orribile ondata di antisemitismo in tutto il mondo, Svizzera compresa.


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Un poster che ricorda gli ostaggi del 7 ottobre 2023

In passato ha criticato la Svizzera per non aver intrapreso azioni contro Hamas. Ora che Hamas è stata messa al bando Lei ha posto l’accento sui nuovi aiuti per l’Unrwa. Non crede che queste posizioni intransigenti su Gaza abbiano un effetto boomerang su Israele?

Voglio ringraziare il governo e il parlamento svizzero per aver completato la messa al bando di Hamas, definendola per quel che è, un’organizzazione terroristica. Noi meritavamo di avere questo riconoscimento di combattere un nemico terrorista e anche la popolazione di Gaza merita un degno, legittimo rappresentante politico e un governo che non li utilizzi come armi contro Israele, ma che li protegga. Per quanto riguarda Hezbollah siamo solo all’inizio del processo e la messa al bando non è ancora in vigore. Voglio lodare anche la Svizzera per aver capito il problematico e inaccettabile atteggiamento dell’Unrwa nel suo ruolo all’interno dell’apparato terroristico di Hamas. Se ho un problema, specialmente con il ministro degli Esteri (Ignazio Cassis, ndr) o con il governo svizzero, sono i testi che alcune volte al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea generale dell’Onu sono stati appoggiati dalla Svizzera. Anche recentemente è passato un testo per noi inaccettabile che ignora completamente il massacro del 7 ottobre e non riconosce gli enormi sforzi da un punto di vista umanitario fatti da Israele per la gente di Gaza. Il dito è puntato contro di noi e non contro i membri di Hamas, che sono i veri responsabili delle sofferenze del loro popolo. Un testo che non tiene conto della richiesta di liberare tutti gli ostaggi israeliani per arrivare a una tregua, ma promuove azioni punitive contro Israele. Condizioni per noi intollerabili.

Ci sono però voci sempre più insistenti di una tregua in arrivo e di una liberazione degli ostaggi. Può confermarlo?

Dopo molto tempo, c’è la speranza in Israele, chiamiamola una cauta speranza, che si possa veramente essere vicini a un accordo. Ma sottolineo il più possibile la parola cauta, soprattutto per le famiglie degli ostaggi che stanno soffrendo in maniera inimmaginabile da troppo tempo e sono così in ansia per il destino dei loro cari. Non meritano di essere delusi ancora. Nonostante ci siano segnali che ci portino a pensare che questa volta i leader di Hamas stiano facendo sul serio, c’è sempre il rischio che stiano giocando brutti scherzi, che una volta vicini all’accordo possano irrigidire le loro posizioni. In passato siamo già stati in situazioni in cui l’accordo sembrava imminente, ma alla fine hanno posto nuove condizioni. Siamo convinti che i leader di Hamas siano molto attenti a quel che dice la comunità internazionale, quindi l’approvazione di risoluzioni controverse da parte dell’Onu come quella a cui accennavo prima, avallata anche dalla Svizzera, rischiano di irrigidire le loro posizioni. Sono convinti che più pressione c’è su Israele, più sarà facile che Israele metta fine ai combattimenti anche senza il rilascio di tutti gli ostaggi. E gli ostaggi per loro sono importanti, perché li usano come merce di scambio. Questo è molto pericoloso. Ecco perché io e altri diplomatici israeliani siamo molto arrabbiati per quella risoluzione Onu. Tuttavia, cosa potrebbe spingerli a considerare più seriamente un accordo è il fatto che Israele ha ottenuto una serie di successi militari anche nei confronti di Hezbollah in Libano. Ora lì abbiamo una tregua molto fragile, ma finché resiste, crediamo che questo influenzi Hamas, perché i suoi leader, tra cui Yahia Sinwar, che non è più tra noi, hanno sperato insieme agli altri alleati dell’Iran, di iniziare una guerra regionale contro Israele, che sarebbe stata troppo difficile da sostenere per noi. E ora vedono che Israele sta prevalendo militarmente e che Hezbollah non può aiutarli. Questo almeno è quel che noi crediamo, potrebbe essere la spinta per loro per considerare una tregua. Ma non dimentichiamoci che sono terroristi. Quindi non è finita finché non è finita.


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Bambini di Gaza si affacciano da un palazzo distrutto

Cosa dice della Siria? Siete preoccupati della nuova leadership? Cosa sta facendo davvero Israele lì? Molti vostri detrattori la considerano un’invasione in piena regola…

Se guarda alle dichiarazioni che arrivano dall’Onu circa un’invasione di Israele in Siria, siamo ben oltre il cinismo. Ci sono altri Paesi vicini che stanno entrando in Siria da anni, anche in profondità, mettendo a rischio una minoranza che provava ad avere un minimo di stabilità, sto parlando degli assalti ai curdi (da parte dei turchi, ndr). Hanno colpito città e comunità, ma poi gli invasori siamo noi israeliani. Credo che ci sia un’ipocrisia e un cinismo che arriva da New York e che debba essere chiaro a tutti. Poi, certo, siamo preoccupati per quel che sta accadendo in Siria e non sappiamo dove ci condurrà tutto questo. Nessuno sta piangendo lacrime per Assad, che era un dittatore. Ma sappiamo da dove arrivano le persone che ne hanno preso il posto, sono jihadisti legati ad al-Qaeda, ai gruppi di Daesh. E sì, pare che si dipingano come dei “jihadisti riformatori”, ma bisogna fare molta attenzione e non concedere la nostra fiducia troppo velocemente. Mi auguro fortemente che il popolo siriano possa avere un governo moderato che si preoccupi per loro, ma Israele non può permettersi di correre rischi. Questa è gente che parlava di raggiungere Gerusalemme o che non ha mostrato alcun rispetto per i diritti delle donne. Se guardiamo a Idlib, che è dove i jihadisti stavano governando prima di arrivare a Damasco, non è proprio un esempio di democrazia o rispetto dei diritti umani. Israele ha la responsabilità, il diritto e il dovere di proteggere le sue comunità. Ci sono uomini armati che sono entrati nella cosiddetta zona cuscinetto e non possiamo mettere a rischio la sicurezza delle forze Onu o delle nostre comunità. Quindi siamo entrati temporaneamente, in modo limitato, in alcuni punti di controllo della zona cuscinetto, perché lì non può esserci alcuna milizia. Non abbiamo ambizioni territoriali in Siria. Voglio rassicurare la comunità internazionale che non abbiamo intenzioni ostili nei confronti del popolo siriano. Vogliamo solo salvaguardare la nostra sicurezza ed evitare che armi strategiche appartenenti al regime di Assad cadano nelle mani sbagliate, compresi i jihadisti che potrebbero attaccare Israele o altri Paesi della regione. Vogliamo che ciò che accade in Siria rimanga in Siria e non abbia ripercussioni negative sui Paesi moderati.

Nel gennaio scorso, intervistata dal nostro giornale, lei disse “stiamo facendo il possibile per limitare il numero di vittime civili. Il bilancio all’epoca era di 25mila vittime. Ora stando ai numeri diffusi da Hamas, i morti sono 45mila. Al di là delle colpe di Hamas, non crede che sia stato superato il limite e che dire “stiamo cercando di limitare il numero di civili morti” non sia abbastanza?

Innanzitutto, come ha detto Lei, quelli sono dati che dà Hamas. Sono le stesse persone che dopo il 7 ottobre dissero “abbiamo colpito solo militari e nessun civile”. E invece avevano rapito anche bambini e nonne. Quindi, no, non crediamo ai numeri diffusi da Hamas. Anche i portavoce dell’Onu a un certo punto hanno detto di ritenere che quelle cifre siano gonfiate, soprattutto quando si tratta di donne e bambini. Detto ciò, non nego che a Gaza ci sia grande sofferenza e empatizzo con ogni persona innocente colpita da questa guerra. Ma bisogna anche capire che stiamo combattendo una guerra che non volevamo, una guerra che non avevamo pianificato né scelto di fare. Ma dopo il 7 ottobre non avevamo alternative. Hamas ha iniziato questa guerra ed è Hamas che non accetta di fare ciò che è necessario per porvi fine. Nel momento in cui Hamas volesse finire questa guerra, la guerra finirebbe. Basterebbe liberare i nostri ostaggi e deporre le armi. Sappiamo che nascondono i loro militanti in mezzo a strutture civili, tra donne e bambini o negli edifici dell’Unrwa, da dove attaccano i nostri soldati. E ricordiamo che c’è una sproporzione quando un Paese democratico, che fa parte dell’Onu, cerca di ridurre al minimo i rischi non solo per la propria popolazione, ma anche per quella altrui, mentre dall’altra parte, c’è un’organizzazione terroristica pronta a sacrificare qualsiasi civile, usandolo come arma contro di noi. Mi dica, quale altro Paese avvisa i civili del nemico di evacuare un edificio o una strada prima di un attacco? Niente a che vedere con la pulizia etnica di cui veniamo spesso accusati. È Hamas che vuole che la propria gente venga uccisa. Questa è la folle realtà in cui viviamo.


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Pattugliamenti di soldati israeliani al confine con la Siria

Capisco la sua posizione. Tuttavia stiamo vivendo una continua disumanizzazione del nemico, da entrambe le parti. Non crede che questo modo di agire sia più grave per Israele, in quanto democrazia? E anche più difficile da accettare per un osservatore esterno? Qualche tempo fa abbiamo intervistato lo scrittore Etgar Keret, che, tra le altre cose, ci ha detto: “Le radici del nostro conflitto vengono dal fatto che sia il sistema educativo israeliano che quello palestinese negano la possibilità di un’altra narrazione. Questo rifiuto netto rende impossibile il dialogo e qualsiasi futura negoziazione, perché ti hanno insegnato che tu hai completamente ragione e gli altri sono tutti violenti e razzisti. Si tira una riga sulla mappa e si dice ‘di qua i buoni e di là i cattivi’”. E finisce lì.

Rispetto molto Keret, credo che sia uno scrittore talentuoso, ma non sono d’accordo con lui. Credo che ci sia disumanizzazione da un lato. Vari rapporti hanno dimostrato che, nelle scuole gestite dall’Unrwa, ai bambini palestinesi viene insegnato che non solo Israele, ma tutti gli ebrei, non meritano di vivere. Inoltre vengono glorificati terroristi, indicati come modelli da seguire. In Israele non è affatto così. Io sono cresciuta in Israele, sono il prodotto del sistema educativo israeliano e, certo, la narrativa del sionismo c’era, come la narrazione nazionale di qualsiasi Paese. Ma il mondo in cui siamo cresciuti, i modelli e gli obiettivi erano tutti orientati verso la pace. La pace fa parte di noi, anche quando ci incontriamo e salutiamo qualcuno. Quando alla fine della settimana diciamo “Shabbat shalom”, auguriamo non un buon sabato, ma un “sabato di pace”. La pace è parte ineludibile della nostra cultura. Ma bisogna allo stesso tempo ricordare come siamo stati trascinati in questa guerra e quanto la situazione a Gaza sia complicata. Lei mi parla di accuse nei confronti di Israele di disumanizzare i palestinesi. I bambini di Gaza malati di cancro venivano curati nei nostri ospedali. Alcuni di loro sono stati portati in questo ospedali da volontari provenienti dalle stesse comunità attaccate il 7 ottobre. Uno dei primi posti colpiti quel giorno dai terroristi è stato proprio uno dei valichi di frontiera utilizzati dalla gente per andare al lavoro, per trasportare merci. E anche per trasportare i loro malati nei nostri ospedali per le cure. È Hamas che ha tolto i mezzi di sussistenza alla propria gente. E quindi, chiedo, chi è che sta disumanizzando la popolazione di Gaza, Israele o i terroristi di Hamas al governo?

Keret dice anche che Hamas è un mostro cresciuto e nutrito da Netanyahu per i suoi interessi…

Noi, come Israele, abbiamo senz’altro sbagliato con Hamas. Perché abbiamo voluto credere non tanto nella loro bontà, ma in un loro approccio realistico. Di sicuro però non abbiamo creato Hamas, ma Hamas si è creata da sola. Il nostro errore è stato credere di poter ragionare con loro. La lezione però l’abbiamo imparata, e da lì in poi abbiamo completamente perso la fiducia in loro. Ecco perché facciamo tutto il possibile per impedire loro di acquisire armi o ricevere denaro o qualsiasi tipo di sostegno dall’Iran o da altri alleati che consenta loro di ricostruirsi. Dopo il 7 ottobre credo sia inutile spiegare come Israele sia diventato il Paese più minacciato al mondo, eppure l’Onu, con le sue risoluzioni non oggettive, ma di stampo politico, pare non voler capire.


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Benyamin Netanyahu a processo

Qual è invece la sua opinione sulla Corte penale internazionale (Cpi)? Molti Paesi vicini a Israele hanno gioito quando la Cpi ha spiccato un mandato d'arresto per Putin, ma poi hanno iniziato a delegittimarla dopo il mandato d’arresto per Netanyahu. C’è da pensare che il problema non sia la Cpi, ma il fatto che se colpisci un nemico sono bravi e se colpisci un amico sono incompetenti e corrotti. Il che pone più ombre su chi la critica che sulla corte stessa.

Quei mandati d’arresto sono scandalosi. Netanyahu è il primo ministro di un Paese democratico che si sta difendendo da terroristi. Da quella corte Netanyahu e l'ex ministro della Difesa Gallant sono stato posti allo stesso livello di Yahia Sinwar e di altri arciterroristi di Hamas. Questo dimostra come in alcuni casi la comunità internazionale sia spinta troppo in là nei confronti di Israele. Anche perché non è un caso isolato. Si fa troppa confusione tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Noi non abbiamo mai riconosciuto la giurisdizione della Cpi perché temevamo, come è successo, che potesse essere politicamente usata come arma contro di noi, come è successo. C’è un grosso difetto nel sistema, perché l’autorità giudiziaria nazionale deve essere rispettata prima che la Cpi decida di intervenire. Le accuse devono essere prima esaminate, i sospettati interrogati e, se giustificato, perseguiti all'interno dei rispettivi sistemi giudiziari nazionali, non al di fuori. Perché creare questo scandalo internazionale, attaccando una democrazia? La Cpi sta minando la propria stessa credibilità. Così facendo stanno perdendo la fiducia della gente e degli Stati. E l’intera comunità internazionale pagherà il prezzo di queste decisioni.

Negli ultimi mesi Netanyahu ha perso molto consenso in Europa e in Occidente. È contestato anche in patria e sta affrontando un processo per corruzione. Non crede che un cambio di leadership possa migliorare l’immagine di Israele? È davvero l’unica opzione in questo momento?

Come ambasciatore non commento la politica israeliana. Ma questa resta comunque una decisione presa dagli israeliani, così funziona la democrazia. Netanyahu sta affrontando scelte e dilemmi che nessun altro ha dovuto affrontare. Non giorno per giorno, ma ora dopo ora. Solo il fatto che sia sotto processo dimostra come funzioni la democrazia israeliana e come nessuno sia al di sopra della legge. Questo rende ancora più grottesche le richieste della Cpi. È arrivata l’ora, per la comunità internazionale, di lavorare con Israele e non contro Israele.


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La Cpi ha spiccato un mandato d’arresto contro Netanyahu

C’è stato un aumento di episodi antisemiti in Europa, Svizzera inclusa. Cosa può dirci a riguardo?

Sono preoccupata. Tuttavia continuo a ritenere la Svizzera un Paese molto migliore di altri in Europa, o di alcune aree degli Stati Uniti, del Canada o dell’Australia, dove abbiamo visto cose orribili, come sinagoghe in fiamme, non si tratta solo di incitamento all’odio, ma siamo arrivati al punto che gli israeliani, o talvolta anche solo ebrei, non possono farsi vedere in pubblico o non possono partecipare a eventi culturali o a manifestazioni sportive senza prendere le distanze dal governo israeliano altrimenti sono soggetti a molestie, intimidazioni e minacce. Ultimamente ci sono state intimidazioni e minacce anche in Svizzera, che sto seguendo personalmente. E so che le autorità svizzere a ogni livello, federale, cantonale e locale, fanno del loro meglio, ma bisogna fare il possibile perché non accadano più, assicurando un maggior senso di sicurezza, ad esempio nelle università e agli eventi culturali. Abbiamo visto situazioni in cui rappresentanti di Israele o ebrei sono stati interrotti o divenuti bersaglio di proteste e manifestazioni d'odio. Dobbiamo essere tutti molto vigili e limitare l’antisemitismo in modo che non sfoci in fenomeni ancor più pericolosi. La comunità ebraica in svizzera è innanzitutto una comunità di cittadini svizzeri. Le autorità hanno il dovere di proteggerli. Sappiamo tutti che la libertà di parola è fondamentale, ma dobbiamo anche ricordarci il confine tra libertà di parola e incitamento all’odio.


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La polizia sorveglia una sinagoga a Zurigo dopo un episodio antisemita