Dimezzando il costo del denaro la Bns ha implicitamente riconosciuto di aver sbagliato per eccesso col rialzo dei tassi di interesse tra il 2022 e il 2023
Chiunque conviva col diabete di tipo 1 lo sa bene: se a un certo punto, inavvertitamente, si sbaglia per eccesso col bolo di insulina – qualcosa che può succedere soprattutto a causa di un errore di valutazione sulla quantità di carboidrati presenti nel cibo –, sarà piuttosto difficile evitare l’ipoglicemia. Il diabetico correrà ai ripari non appena vedrà il suo sensore indicare la “doppia discesa”: succo di frutta, Coca-Cola o direttamente la bustina di zucchero. Equivalenti “veloci” che, nella migliore delle ipotesi, poco dopo la crisi ipoglicemica più o meno marcata lo aiuteranno a ritrovare un equilibrio.
Con la politica monetaria succede più o meno la stessa cosa: la settimana scorsa, quando la Banca nazionale svizzera ha deciso – a sorpresa, per molti – di dimezzare il costo del denaro, ha implicitamente riconosciuto di aver sbagliato per eccesso col rialzo dei tassi di interesse tra il 2022 e il 2023. Senza l’idea dell’ammissione (tacita) di colpa, ogni analisi della pesante correzione applicata dalla Bns lo scorso 12 dicembre rimane monca.
È chiaro che l’istituto di emissione, ora sotto la guida di Martin Schlegel, sta cercando di contenere la forza del franco svizzero nei confronti delle principali valute estere (euro e dollaro), e questo per favorire la competitività delle esportazioni elvetiche. Allo stesso tempo la Bns sta provando a lottare contro le pressioni deflazionistiche che lei stessa ha innescato: infatti, la politica monetaria inutilmente restrittiva attuata negli ultimi due anni sta facendo vedere soltanto ora, con il solito delay (Milton Friedman docet), i suoi effetti perversi. Effetti che incidono indistintamente sull’economia privata e sulle finanze pubbliche.
Il problema è che la politica monetaria da sola non basta per contrastare dinamiche e tensioni ‘macro’. L’idea di una Banca nazionale assolutamente indipendente e scollegata da qualsiasi determinazione sociale e politica, che prende decisioni soltanto sulla base di dati “scientifici” scaturiti da complessi fogli di calcolo, è paragonabile nella sua fallacia alla concezione che vede il calcio come uno sport totalmente ascetico e sprovvisto di ogni connotazione politica, sociologica o culturale.
In Svizzera la Bns, dopo aver salvato l’Ubs dal tracollo post crisi dei subprime (2008), ha garantito ai mercati per oltre un decennio fiumi di liquidità a costo nullo o addirittura negativo. Questo è stato il salvagente che ha consentito all’intero sistema finanziario di sopravvivere a una débâcle che altrimenti avrebbe potuto sancire la fine del circuito magico del “denaro che crea denaro”.
Con l’esagerata stretta monetaria del biennio 2022/2023, che mirava a tutelare l’economia elvetica dall’inflazione importata dall’estero grazie alla forza del franco (tutela che sarebbe stata ugualmente raggiungibile in altri modi), la Banca nazionale ha di fatto ridato alla piazza finanziaria la redditività che non aveva avuto per anni. Ha fatto ciò non a costo zero, ma a scapito dell’economia reale e dei bilanci di Confederazione, Cantoni e Comuni.
La rinnovata politica espansiva dell’istituto presieduto da Schlegel potrebbe produrre degli effetti concreti, ma soltanto nel futuro. Effetti comunque limitati, fin quando alla miopia monetarista non si affiancheranno delle politiche pubbliche di bilancio – che poco hanno a che fare con la conclamata austerità – in grado di stimolare l’economia, nonché politiche fiscali capaci di garantire una distribuzione maggiormente equa della ricchezza.