Il Gigante giallo tira dritto: ‘Volumi in calo e l'inerzia per noi non è un'alternativa’. Forte (syndicom): ‘Parlano di trasformazione, ma sono chiusure’
La Posta a livello nazionale cerca dei partner per 170 filiali. Di queste, venti sono in Ticino come anticipato da ‘laRegione’ alla fine di agosto. E quelle «potenzialmente interessate dalla trasformazione» sono Arzo, Bellinzona 2 - Semine, Bellinzona 5 - San Paolo, Breganzona, Cadro, Canobbio, Castel S. Pietro, Cugnasco, Gentilino, Locarno 4 - Solduno, Lodrino, Lugano 6 - Cassarate, Maglio di Colla, Maroggia, Mezzovico, Monteggio, Novaggio, Novazzano, Olivone, Verscio. Cui si aggiunge, nel Grigioni italiano, Mesocco.
Questo, in soldoni, è il riassunto della conferenza stampa del Gigante giallo tenutasi oggi a Berna nella quale è stata presentata la strategia di sviluppo per le proprie filiali: la Posta non riesce più a gestire 2mila filiali, e l'obiettivo da qui al 2028 è confermato: in Svizzera 600 filiali saranno mantenute, mentre per 1'400 l'obiettivo è di arrivare a partenariati. Il conto è presto fatto: 170 uffici postali chiuderanno, con l'intenzione di trasformarli in filiali dentro altri negozi con, appunto, dei partner. Tale l'intenzione. Riuscirci sarà un altro discorso.
Il contesto presentato dal direttore generale Roberto Cirillo e dal suo vice, nonché responsabile di RetePostale, Thomas Baur non è nuovo ed è pieno di nuvoloni neri carichi di pioggia: «Il volume di lettere inviate tra il 2010 e il 2023 è calato del 36%, mentre nello stesso arco temporale le operazioni dei clienti negli uffici postali sono scese del 49% con un calo annuo dell'8% a partire dal 2016». È abbastanza per i vertici della Posta per affermare come «questa tendenza proseguirà inarrestabile anche nei prossimi anni». Aggiungendo il fatto che dal 2010 «i versamenti allo sportello hanno subito un crollo del 68% dobbiamo agire adesso per garantire un servizio universale senza chiedere un centesimo ai contribuenti», come ricordato da Baur.
Quindi, seguendo il Leitmotiv della conferenza stampa – il più volte ripetuto «l'inerzia per noi non è un'alternativa» –, se da un lato la Posta ammette di non essere più in grado di garantire il numero attuale di uffici postali – e quindi di poterne gestire direttamente 600 invece che 770 – dall'altro è pronta «a investire 100 milioni di franchi per fruire di servizi in loco e nuove offerte digitali, con videoconsulenze da affiancare agli sportelli tradizionali».
Per quanto concerne direttamente il Ticino, Cirillo a margine dell'incontro con i media conferma che «abbiamo intenzione di proporre la trasformazione di venti filiali in partenariato, siamo nel pieno del processo di discussione coi Comuni e io stesso ho incontrato pochi giorni fa il governo cantonale che ha espresso chiaramente la volontà di contribuire a trovare soluzioni e il desiderio di trovare quelle più adatte possibile alla realtà ticinese». Il direttore generale della Posta insiste: «Abbiamo ascoltato tutti, assieme a Comuni e Cantone cercheremo di trovare le soluzioni migliori ragionando come facciamo già da un po' di tempo, quindi considerando una rete e il territorio, non i singoli uffici dei singoli comuni. L'obiettivo è continuare a rispettare la prescrizione del servizio universale contenuta nell'Ordinanza sulle poste. Anzi, garantiamo e garantiremo al Ticino che saremo ben al di là di quanto prescritto dalla legge». Che, detta breve, prevede che il 90% della popolazione debba poter raggiungere un ufficio postale o un'agenzia a piedi o coi mezzi entro 20 minuti. La media svizzera nel 2023 fissa l'asticella al 96,7%, con queste modifiche la previsione non si scosta di molto: si arriverà al 96,4%. Per Cirillo, quindi, «anche in Ticino ci saranno questi numeri».
D'accordo, a maggio la stessa Posta parlava di chiusure per questi 170 uffici postali mentre oggi usa il termine "trasformazioni". Ma per il responsabile regionale ticinese di syndicom Marco Forte il discorso non cambia e non si sposta di un millimetro: «Chiuderanno uffici postali per trovare, se andrà bene, un angolino in qualsiasi locale con operazioni limitate, poca privacy e un conseguente peggioramento del servizio pubblico. Per noi sono chiusure a tutti gli effetti, esattamente come significa soppressione di posti di lavoro: andrà così e ne siamo purtroppo sicuri, perché le attività svolte ora dal personale della Posta verranno svolte da personale già impiegato nelle attività dove verrà sviluppato il partenariato». Checché ne dicano i vertici, sostiene tra le righe Forte. Sia in passato sia oggi, infatti, Cirillo ha ribadito che l'obiettivo è di non procedere ad alcun licenziamento salvo situazioni puntuali. Si vedrà.
Forte dubita molto anche della sincerità con cui la Posta si dice pronta a dialogare: «L'unico dialogo che portano avanti è cercar di capire dove mettere quell'agenzia, non certo per cercare i presupposti giusti per lasciare in funzione gli uffici e non toccare il personale».
Afferma il democentrista Piero Marchesi, presidente della deputazione ticinese alle Camere federali. «Abbiamo anche noi discusso del tema. Ci sono ovviamente attenzione e preoccupazione. È chiaro che oggi la Posta può sviluppare la propria strategia in modo autonomo non essendoci da parte dell’azionista unico, cioè il Consiglio federale, indicazioni volte a frenare questa evoluzione di modello di business. Va ricordato che nell’ultima sessione il Consiglio nazionale ha approvato una mozione che chiede di stoppare questa strategia della Posta, bisogna ora vedere cosa succederà agli Stati. Tuttavia se anche la Camera dei cantoni dovesse aderire alla mozione, il cambiamento di rotta non sarebbe in tempi brevi». Ciò premesso, Marchesi, invita a essere «pragmatici»... Nel frattempo, spiega il parlamentare e sindaco di Tresa, «i Comuni interessati dalla ristrutturazione annunciata dalla Posta devono sedersi con quest’ultima intorno a un tavolo ed esigere una soluzione alternativa, devono adoperarsi per delle partnership, per esempio con un negozio o il chiosco annesso a un distributore di benzina. E devo dire, anche come sindaco, che da parte della Posta vi è disponibilità. Non dimentichiamoci che il negozio incassa comunque dei soldi per svolgere servizio postale e non di rado questo contributo è fondamentale per la sua stessa sopravvivenza. Soprattutto nelle zone periferiche, il contributo della Posta può essere finanziariamente parlando una boccata d'ossigeno».
Insomma, afferma Marchesi, «farei attenzione a dare una lettura troppo negativa. Al momento la strategia della Posta è questa, si può condividerla o meno e il Consiglio degli Stati ancora non si è pronunciato sulla mozione: occorre allora essere, ripeto, pragmatici. I Comuni devono discutere con la Posta per garantire a livello locale il mantenimento del servizio tramite appunto delle agenzie. Così è avvenuto prima dell’aggregazione a Ponte Tresa e a Sessa, dove addirittura gli orari di accesso al servizio postale sono stati estesi. Teniamo infine presente che la Posta non può lavorare con uffici postali in perdita poiché coloro che vi fanno capo sono sempre meno: ogni anno la Posta versa alla Confederazione 50 milioni di dividendo, se si obbligasse l’azienda a tenere aperti tutti gli uffici postali, anche quelli che causano importanti perdite, i dividendi che finanziano diversi servizi in favore della cittadinanza, verrebbero meno. Ecco perché bisogna essere pragmatici e non arroccarsi su posizioni ideologiche».
In un’intervista pubblicata ieri dalla ‘Regione’ sugli attuali difficili rapporti tra il Ticino e Berna, il presidente del Consiglio di Stato Christian Vitta ha auspicato da parte della Posta un dialogo con i Comuni che “sia di sostanza e non solo di forma, dove per sostanza intendiamo”, come governo, “la ricerca di soluzioni concordate e laddove ritenuto giustificato anche la rinuncia ad alcuni progetti di trasformazione degli uffici postali”. Un dialogo, rilancia Andrea Pellegrinelli, vicepresidente dell’Associazione comuni ticinesi (Act) e già sindaco di Capriasca, che deve essere «serio e costruttivo», affinché «il servizio non penalizzi l’utenza». Anche Pellegrinelli opta per una linea pragmatica: «Bisogna riconoscere un fatto: coloro che necessitano di recarsi in un ufficio postale sono oggi molto pochi. Su questo aspetto è inutile fare la voce grossa, con delle dichiarazioni declamatorie del tipo ‘vogliamo un ufficio postale in ogni villaggio’». E allora, continua Pellegrinelli, «l’invito che, come vicepresidente dell’Act, mi permetto di fare ai Comuni è di trattare con la Posta per ottenere il miglior servizio per l’utenza locale in funzione delle esigenze di quest’ultima. Questo per dire che ogni Comune ha le sue peculiarità».